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Emergenza-Urgenza

Somministrazione farmaci salvavita, cosa dice la legge

di Tiziano Garbin

Extraospedaliera

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Secondo la normativa in vigore in Italia il medico è l’unico professionista sanitario che può prescrivere una terapia farmacologica dopo aver fatto una diagnosi medica. Il contesto dell’emergenza/urgenza, però, presenta caratteristiche peculiari in virtù delle quali la legge permette all’infermiere di gestire alcune criticità vitali anche in autonomia.

L'infermiere e i farmaci d'urgenza, considerazioni giuridiche

paziente in ambulanza

In emergenza/urgenza l'infermiere avvia autonomamente misure immediate per il mantenimento in vita del paziente

Il professionista infermiere si trova a lavorare regolarmente con prescrizioni farmacologiche e somministra la terapia conoscendone gli effetti attesi e quelli collaterali e conosce le modalità di monitoraggio e sorveglianza che un determinato farmaco richiede.

Secondo la normativa in vigore in Italia il medico è l’unico professionista sanitario che può prescrivere una terapia farmacologica dopo aver fatto una diagnosi medica. Questo non esula l’infermiere dal conoscere i farmaci che deve preparare e somministrare, poiché la responsabilità è anche di colui che fisicamente commette una determinata manovra (ad esempio somministrazione di un farmaco regolarmente prescritto a cui il paziente è allergico). Questo è quanto accade nei contesti di quotidianità e di routine.

A gennaio del 2016 il Consiglio dei ministri ha approvato, in via definitiva, il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/55/UE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

Il decreto introduce, in linea con la direttiva UE, alcune importanti novità come la definizione delle competenze per gli infermieri.

Il titolo di infermiere responsabile dell'assistenza generale sancisce la capacità del professionista di applicare una lista di competenze, tra le quali al quarto punto si legge:

  • la competenza di avviare autonomamente misure immediate per il mantenimento in vita e di intervenire in situazioni di crisi e catastrofi.

La Società italiana di medicina di emergenza-urgenza (SIMEU) e l'Italian Resuscitation Council (IRC) hanno elaborato un policy statement comune che chiarisce ancora meglio la questione del “Trattamento farmacologico da parte dell'infermiere nell'emergenza territoriale” al fine di garantire la “massima efficacia del servizio al paziente e nel rispetto dell'identità professionale delle figure che operano nell'emergenza sanitaria”.

Naturalmente sono necessarie alcune condizioni propedeutiche, ovvero:

  • che sia attuato uno specifico percorso formativo accreditato e finalizzato al trattamento anche farmacologico delle patologie tempo dipendenti in ambito di emergenza territoriale;
  • che esistano protocolli condivisi ed emanati ufficialmente dal Direttore della Centrale Operativa 118 competente per territorio;
  • che i professionisti infermieri siano sottoposti ad addestramento continuo, tramite tecniche di simulazione avanzata, audit periodici su casi clinici e problematiche specifiche;
  • che ci sia la disponibilità di continuo contatto tra gli infermieri di emergenza territoriale, il Medico di Centrale Operativa e i Medici del Dipartimento di Emergenza, anche tramite reti Telematiche e di Telemedicina (consulto telefonico su linea registrata).

Questo policy statement non è però legge ed ecco allora che è necessario ricorrere al codice penale, che prevede la situazione dello stato di necessità (art. 54): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Questo significa che se un professionista infermiere, iscritto all’Ordine e con adeguata formazione, somministra un farmaco salvavita senza prescrizione medica, non commette esercizio abusivo di professione (art 348 c.p.) in quanto ha agito per stato di necessità.

Un esempio potrebbe essere un grave coma ipoglicemico in cui viene somministrato del glucosio, oppure un arresto cardiaco in cui si somministra adrenalina secondo linee guida, oppure una overdose da oppiacei con grave depressione respiratoria dove viene somministrato il naloxone, ecc.

L’organizzazione del nostro sistema sanitario prevede che l’infermiere possa utilizzare i protocolli operativi condivisi dal team e approvati dal direttore medico del servizio, che permettono di eseguire determinate manovre o azioni se viene riscontrata una data situazione.

In questo modo l’infermiere agisce riconoscendo i criteri di attivazione del protocollo (ad esempio glicemia sotto 50 mg/dL oppure arresto cardiaco) e attuando le indicazioni previste dal protocollo (ad esempio somministrare soluzione glucosata oppure adrenalina). Questo funge da ulteriore tutela dell’infermiere che somministra un farmaco in una situazione di criticità che è stata individuata dal giusto protocollo.

Secondo la legge si rischia di incorrere nel reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.), anche perché l’articolo 40 del codice penale afferma che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Quindi se si possiede un’adeguata esperienza e una formazione specifica bisogna intervenire per il bene del paziente secondo le proprie competenze.

Un infermiere durante il turno è un incaricato di pubblico servizio e se omette un determinato trattamento può incorrere nel reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.). L’eventuale morte o danno alla persona che dall’omissione possano derivare potranno essere puniti a titolo di colpa professionale ed è ovvio che l’omissione di soccorso non è problematica relativa solo al momento lavorativo dell’infermiere, ma anche obbligo in ambiente extra-ospedaliero.

La fattispecie relativa all’art. 593 (omissione di soccorso) si applica non solo al sanitario, ma a chiunque, fermo restando che all’infermiere, in quanto professionista della salute, è richiesto un intervento competente, adeguato alla gravità del caso ed alla preparazione di chi lo esegue.

Come esempio pratico si può immaginare un paziente con convulsioni prolungate che non si fermano da sole e che richiede una sedazione con midazolam o valium, un arresto cardiaco che necessita di adrenalina per rendere efficace la RCP, un grave attacco d'asma che trae beneficio dalla inalazione di salbutamolo oppure un coma ipoglicemico che richiede la somministrazione di glucosio, ecc. Senza l'intervento farmacologico, in questi casi il paziente rischia concretamente di morire.

Nel caso, invece, di un dolore lombare non è giustificata la somministrazione di un antidolorifico fans senza prescrizione medica, in quanto il fatto non è proporzionato al pericolo (il paziente non rischia di morire) e si incorre nel reato di esercizio abusivo di professione medica.

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