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La pandemia Covid-19 ha messo sotto forte pressione diversi sistemi sanitari. Al fine di indagare la mortalità extra-ospedaliera per infarto miocardico durante la prima ondata della pandemia, la regione Emilia-Romagna ha pubblicato recentemente uno studio sulla prestigiosa rivista Lancet, dimostrando come a fronte di una diminuzione delle ospedalizzazioni per infarto miocardico sia aumentata la mortalità extra-ospedaliera.
Covid-19 e l'aumento significativo delle morti cardiache extraospedaliere
Al fine di indagare l’andamento dei pazienti con infarto miocardico durante la prima ondata pandemica, i ricercatori hanno analizzato il registro di mortalità dell’Emilia-Romagna e i dati amministrativi di tutti gli ospedali da gennaio 2017 a giugno 2020, valutando l’andamento temporale dei ricoveri ospedalieri per infarto miocardico, le caratteristiche, gestione e mortalità a 30 giorni di questi pazienti e la mortalità extra-ospedaliera per causa cardiaca.
I principali risultati derivanti dall’analisi dei dati sono risultati i seguenti:
- La diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 si è associata a una significativa riduzione dei ricoveri ospedalieri per infarto miocardico
- Durante la prima ondata pandemica, i pazienti con infarto miocardico ricoverati in ospedale erano più giovani e con minori fattori di rischio e comorbidità. Questi pazienti hanno continuato a ricevere i trattamenti gold-standard e la loro mortalità a 30 giorni, dopo l’aggiustamento per potenziali fattori confondenti, era in linea con i valori storici
- Il numero di pazienti con infarto miocardico con infezione concomitante da SARS-CoV-2 era limitato (1,5%, IC 95% 1,1 – 1,9); tuttavia, questi pazienti erano sottotrattati e la loro prognosi era sfavorevole
- In concomitanza con la diffusione dell’infezione SARS-CoV-2 e la riduzione dei ricoveri ospedalieri per infarto miocardico, è stato osservato un aumento significativo delle morti cardiache extraospedaliere
Nel dettaglio, analizzando i dati appare chiaro come i numeri rispetto ai ricoveri abbiano iniziato a diminuire dal 22 febbraio 2020, giorno in cui è stato segnalato il primo caso italiano documentato di infezione da SARS-CoV-2.
Due ipotesi spiegano calo ricoveri ospedalieri per infarto miocardico
Questo calo dei ricoveri ospedalieri per infarto miocardico può essere spiegato da due ipotesi. La prima è che i cambiamenti dello stile di vita causati dalla pandemia e dal lockdown (stare a casa, meno stress, meno inquinamento atmosferico) abbiano innescato un minor numero di eventi coronarici.
La teoria opposta suggerisce che la paura del contagio e l’errata interpretazione della campagna governativa "resta a casa" potrebbero aver ostacolato la decisione delle persone di andare in ospedale in caso di sintomi di infarto miocardico.
Pur non cercando di trarre conclusioni definitive da un dibattito che non si è concluso, ciò che emerge dai dati raccolti (inizio della riduzione dei ricoveri ospedalieri per infarto prima del blocco nazionale, mancanza di relazione con il numero locale di casi Covid-19 e ritorno alle statistiche pre-pandemia che coincide con la fine della prima ondata) è che la seconda ipotesi potrebbe essere quella più plausibile.
Osservando contemporaneamente i dati riguardante il numero di ricoveri per ischemia cardiaca e di morte cardiaca extraospedaliera, i ricercatori suppongono che gran parte di queste morti possano essere ricondotte agli infarti non ricoverati in ospedale. Ciò potrebbe essere dovuto alle campagne mediatiche per la prevenzione del contagio che hanno trovato ampia diffusione in tutta Italia, mirando e influenzando in particolare i pazienti più anziani con più fattori di rischio e comorbidità.
Per questo motivo, le persone anziane percepivano di avere un rischio di morte più elevato in caso di contagio da SARS-CoV-2 ed erano quindi più riluttanti a chiamare i servizi di emergenza in caso di sintomi di infarto cardiaco; è proprio questo atteggiamento che potrebbe aver portato a un aumento significativo delle morti cardiache extra ospedaliere.
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