Extraospedaliera
L’uso dell’ossigenazione extracorporea a membrana veno-arteriosa (VA-ECMO) in associazione con la rianimazione cardiopolmonare (eCPR - Extracorporeal cardiopulmonary resuscitation) si associa a promettenti miglioramenti nel tasso di sopravvivenza neurologica dei pazienti in arresto cardiaco rispetto al tradizionale approccio ACLS. Tuttavia, questo particolare ambito risulta essere ancora oggetto di studio e di dibattito, vista soprattutto l’attuale scarsa casistica nel merito.
Gestione dell’arresto cardiaco
Durante un arresto cardiaco si verifica uno stato di ipoperfusione sistemica che può portare a devastanti lesioni multiorgano che, se non attenuata, può condurre alla morte della persona colpita.
Gli attuali protocolli avanzati di rianimazione cardiopolmonare prevedono l’adozione combinata di compressioni toraciche precoci e di alta qualità, defibrillazione rapida e farmaci vasoattivi al fine di mantenere la perfusione cardiaca e cerebrale mentre viene ricercata, diagnosticata e risolta la causa dell’arresto cardiaco.
Durante le manovre rianimatorie, che possono anche in determinate e particolari condizioni durare a lungo, un’opzione possibile può essere quella di adottare la circolazione extracorporea attraverso l’ECMO.
Il supporto ECMO durante la rianimazione cardiopolmonare
L’arresto cardiaco induce una disfunzione sistemica della circolazione e della pompa cardiaca, motivo per il quale si erogano le compressioni toraciche, le quali garantiscono circa un quarto della normale gittata cardiaca.
L’ipoperfusione causata dall’arresto cardiaco e il supporto non ottimale fornito dalle compressioni toraciche portano a uno stato di costante ipoperfusione durante la rianimazione cardiopolmonare. Di conseguenza, la produzione di acido lattico aumenta causando acidosi, condizione che peggiora la vasodilatazione e la disfunzione cardiaca.
In questo, il ruolo centrale dei sistemi dell’ECMO veno-arterioso (ECMO V-A) è quello di fornire un supporto circolatorio e ventilatorio al fine di sostituire la funzione cardiorespiratoria del paziente.
Il sistema permette difatti di recuperare il sangue del paziente dalla circolazione venosa sistemica, pomparlo attraverso l’ossigenatore dove viene ossigenato e, contemporaneamente, liberato dall’anidride carbonica, per poi infine essere restituito al paziente tramiate un’arteria centrale.
Tuttavia, a differenza del bypass cardiopolmonare convenzionale, che richiede una sternotomia della linea mediana e l’incannulazione diretta dei grandi vasi, il moderno supporto ECMO V-A può essere rapidamente istituito nel laboratorio di cateterizzazione cardiaca, al letto del paziente o in sala operatoria tramite incannulazione percutanea dei vasi periferici.
Nel dettaglio, la procedura di incannulazione viene eseguita in condizioni di sterilità attraverso l’inserimento di cannule di grosso calibro attraverso l’arteria e la vena femorale comune. La punta della cannula venosa si trova tipicamente nella vena cava superiore o nell’atrio destro e la punta della cannula arteriosa si trova tipicamente nell’aorta discendente o nell’arteria iliaca comune.
Una volta posizionate, il sangue del paziente viene rimosso attraverso la cannula venosa da una pompa centrifuga, che spinge successivamente il sangue attraverso l’ossigenatore. Dopo l’ossigenazione, il sangue viene restituito attraverso la cannula arteriosa al fine di perfondere l’albero arterioso in modo retrogrado. Il grado di ossigenazione fornito al sangue è determinato dalla frazione di ossigeno fornita nel gas che scorre attraverso l’ossigenatore, dove contestualmente avviene la rimozione dell’anidride carbonica.
Alla luce di ciò, le misurazioni chiave dell’intensità della terapia sono il flusso del circuito (misurato in litri al minuto), la frazione dell’erogazione di ossigeno (percentuale) e la rimozione dell’anidride carbonica (misurata in litri al minuto).
Il ruolo dell’eCPR nell’arresto cardiaco
L’uso dell’eCPR come parte del trattamento dell’arresto cardiaco extra-ospedaliero è stato descritto sin dagli anni ‘80 e questa tecnica è stata ampiamente utilizzata nel contesto postoperatorio fino all’emergere, nell’ultimo decennio, dell’ECMO V-A, fattore che ha aumentato la portabilità e la rapidità con cui l’eCPR potrebbe essere istituita in un contesto acuto.
Le strategie eCPR sono ora più comunemente impiegate per quei pazienti che non hanno un ritorno sostenuto della circolazione spontanea dopo gli sforzi iniziali derivanti dalla rianimazione cardiopolmonare avanzata.
Dai dati derivanti da un registro europeo basato sulla popolazione pubblicato di recente si piò evincere come siano stati trattati con l’eCPR il 4% degli arresti cardiaci extra-ospedalieri per presunta causa cardiaca con tentativo di rianimazione verificatisi tra maggio 2011 e gennaio 2018 e che non c’erano differenze nella sopravvivenza tra i pazienti trattati con eCPR o con rianimazione convenzionale. Oltre a ciò, l’uso dell’eCPR per il trattamento dell’arresto cardiaco refrattario in cinque centri europei si è associato a un tasso del 19% di esiti neurologici favorevoli tra tutti i partecipanti a 3 mesi.
Tuttavia, ad oggi non sono presenti studi clinici controllati randomizzati pubblicati che confrontino l’eCPR con gli approcci rianimatori convenzionali. In questo senso, sono però attualmente in corso diversi studi randomizzati, la maggior parte dei quali presentano criteri di inclusione più rigidi rispetto a quelli adottati dai registri di cui sopra.
Vero anche che l’adozione dell’ECMO V-A da sola non è sufficiente per la sopravvivenza di un paziente, in quanto una volta posizionato la responsabilità della cura del paziente deve passare in mano a un ampio team multidisciplinare che coinvolge solitamente cardiologi, cardiochirurghi, intensivisti e neurologi, i quali a loro volta collaborano con infermieri, perfusionisti e terapisti. Questo in quanto l’obiettivo dell’eCPR è quello di fornire supporto emodinamico e respiratorio continuo mentre vengono affrontate le cause alla base dell’arresto cardiaco indice.
Le linee guida ERC 2021
Le linee guida 2021 pubblicate dall’European Resuscitation Council (ERC) dedicano un paragrafo all’eCPR, la cui adozione ha mostrato un aumento sia per arresto cardiaco intra- che per quello extra-ospedaliero. Il gruppo di revisione che ha stilato le indicazioni in merito, dopo una revisione sistematica della letteratura, ha prodotto la seguente raccomandazione:
Suggeriamo che l’eCPR possa essere considerata come una terapia di salvataggio per pazienti selezionati con arresto cardiaco quando la RCP convenzionale non riesce e in contesti in cui questa tecnica può essere implementata (raccomandazione debole, certezza dell’evidenza molto bassa)
.
Il motivo della debolezza della raccomandazione e del basso livello di evidenza è dato dal fatto che in letteratura è presente solamente un recente piccolo studio controllato randomizzato di eCPR per l’arresto cardiaco extra-ospedaliero da fibrillazione ventricolare refrattaria, mentre molti altri sono attualmente in corso.
Inoltre, ERC afferma come come non ci siano indicazioni universalmente concordate per l’eCPR rispetto a quali pazienti e al momento ottimale di inizio della procedura durante le manovre di rianimazione cardiopolmonare avanzata.
Tuttavia, i criteri comunemente usati includono:
- Arresto cardiaco testimoniato con rapido inizio della rianimazione cardiopolmonare
- Tempo per iniziare l’eCPR inferiore a 60 minuti dall’inizio della rianimazione cardiopolmonare
- Pazienti giovani (meno di 65-70 anni) con nessuna comorbilità maggiore che precluda un ritorno a una vita indipendente
- Causa sottostante di arresto cardiaco nota o che si sospetta sia trattabile
Inoltre, l’adozione dell’eCPR è prevista in caso di arresto cardiaco in alcune particolari circostanze, quali:
- Anafilassi
- Tossicità sistemica da anestetici locali
- Asma
- Iperkaliemia (in particolare per rimuovere il potassio dall’organismo)
- Embolia polmonare
- Trombosi coronarica
- Annegamento
- Ipotermia
- Gravidanza
- Intossicazione
- Arresto cardiaco avvenuto in sala operatoria, cardiochirurgia o emodinamica
Nonostante l’elenco sembri ampio, va considerato il fatto che l’adozione di un programma eCPR richiede un approccio sistemico completo (dentro e fuori l’ospedale) e risorse considerevoli per essere implementato in modo efficace, e che non tutti i sistemi sanitari hanno a disposizione risorse sufficienti.
Complicanze dell’eCLS
Le complicanze dell’eCLS si possono suddividere in quattro gruppi principali: complicanze del sito, complicanze emorragiche, complicanze trombotiche e sindrome Nord-Sud.
Complicanze del sito
Le complicanze del sito di accesso rappresentano la complicanza più comune in quanto sono state segnalate ne 20% circa dei pazienti. Tali manifestazioni possono emergere dalla necessità di reperimento urgente di un accesso arterioso e venoso di grande diametro.
Lo spettro delle complicanze del sito di accesso può includere ematomi dei tessuti molli/muscolari, ematomi retroperitoneali, pseudoaneurismi, perforazione dei vasi, dissezione dei vasi e ischemia acuta degli arti da embolia e/o trombosi.
Inoltre, le evidenze suggeriscono che tali complicanze avvengano con una maggiore incidenza nei pazienti con malattia delle arterie periferiche e vasculopatia diabetica. Per questo motivo si rende fondamentale evitare l’incannulamento in questa popolazione in quanto le complicanze vascolari si sono associate a un considerevole aumento della mortalità.
Al fine di ridurre l’insorgenza di questa categoria di complicanze si può prendere in considerazione di reperire l’accesso vascolare per via ecoguidata, tecnica che permette una visualizzazione dei vasi tanto rapida quanto precisa e che quindi è in grado di limitare le complicanze del sito di accesso. Inoltre, l’uso profilattico di un catetere di riperfusione dell’arto distale nell’arto nel quale viene posta la cannula arteriosa femorale può limitare l’incidenza dell’ischemia acuta dell’arto. Infine, il monitoraggio frequente dell’arto incannulato attraverso la spettroscopia potrebbe facilitare la diagnosi precoce e la correzione dell’ischemia.
Complicanze emorragiche
Oltre alle complicanze emorragiche del sito di accesso, esiste un rischio intrinseco di complicanze emorragiche sistemiche in seguito a eCPR a causa della necessità di somministrazione di anticoagulanti sistemici. Inoltre, è stato riportato come i pazienti con eCPR mostrino un aumento del consumo dei fattori intrinseci della coagulazione, così come un’attivazione costante del sistema fibrinolitico.
Alcuni esempi di complicanze emorragiche includono sanguinamento gastrointestinale spontaneo superiore e inferiore, emotorace, emopericardio, sanguinamento intraperitoneale, sanguinamento retroperitoneale ed emorragia intracranica.
Sebbene l’anticoagulazione sia necessaria per mantenere l’efficacia del circuito ECMO V-A e ridurre le complicanze trombotiche, lo stato coagulativo dovrebbe essere frequentemente valutato e strettamente controllato per bilanciare i rischi tra sanguinamento e trombosi. In questo, sono monitorati diversi parametri laboratoristici quali il tempo di coagulazione, il tempo di protrombina (PTT) e il livello di eparina anti-fattore Xa.
Complicanze trombotiche
Le complicanze trombotiche sono un’altra categoria di complicanze che possono verificarsi con una discreta frequenza. In questo senso, possono verificarsi trombosi sistemiche e nella pompa a causa del contatto del sangue e delle superfici non endotelializzate col circuito ECMO V-A. Inoltre, i pazienti possono essere pro-coagulabili a causa dell’attivazione del sistema infiammatorio derivante dal loro stato critico.
Al fine di prevenire queste trombosi, viene adottata di routine nei pazienti in ECMO V-A una terapia anticoagulante, principalmente a base di eparina o bivalirudina. La trombosi della pompa può verificarsi in corrispondenza della testa della stessa e rappresenta un evento raro ma spesso catastrofico, in quanto può portare a un’emolisi significativa o alla perdita del supporto emodinamico e alla morte. Inoltre, qualsiasi trombosi sul lato arterioso del circuito può portare a tromboembolia sistemica. Per questo motivo, la scoperta di un coagulo arterioso può richiedere la sostituzione del componente del circuito interessato.
Sindrome Nord-Sud
La sindrome Nord-Sud è una complicanza peculiare della terapia ECMO V-A periferica. Questa sindrome richiede che sia la funzione cardiaca nativa che la funzione polmonare siano gravemente compromesse. In questo caso, il sangue scarsamente ossigenato proveniente da volumi significativi di flusso contrattile cardiaco anterogrado nativo viene pompato in avanti fino al punto in cui incontra il flusso ECMO V-A periferico retrogrado, con un conseguente rischio di scarsa ossigenazione di tutti gli organi perfusi dal sangue anterogrado.
Il rischio più elevato è presente per le arterie coronarie e per i tessuti perfusi dall’arteria brachiocefalica, compreso il cervello destro; tuttavia, tutti i grandi vasi possono essere perfusi con il sangue anterogrado se la funzione cardiaca è sufficiente.
La sindrome Nord-Sud si verifica tipicamente nel contesto del flusso sanguigno retrogrado dal circuito ECMO V-A quando la contrattilità cardiaca nativa sta migliorando. Per questo motivo deve essere monitorata attentamente la saturazione di ossigeno con la pulsossimetria o attraverso la misurazione del gas nel sangue arterioso nel territorio perfuso dall’arteria brachiocefalica, come la mano destra, il braccio o il viso.
Nella maggior parte dei casi, la sindrome Nord-Sud viene risolta regolando il ventilatore al fine di migliorare l’ossigenazione del sangue anterogrado. Se ciò non è possibile, è possibile aggiungere una cannula di perfusione venosa separata per creare un circuito ECMO venoarterio-venoso in cui il sangue ossigenato viene perfuso sia nella cannula arteriosa femorale preesistente che nella cannula di perfusione venosa giugulare interna destra. In questo modo si ossigena il sangue nell’atrio destro, limitando così la necessità della funzione polmonare.
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