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Dirigenza infermieristica

Infermiere Dirigente

di Marco Alaimo

Parlando della Professione Infermieristica e in particolare del ruolo del Dirigente Infermieristico vediamo chiaramente come l’evoluzione di una professione è possibile. Possiamo ben dire che tra le professioni sanitarie quella infermieristica è stata quella che maggiormente ha contribuito alla salvaguardia del Sistema Sanitario con i propri professionisti, che negli anni sono riusciti ad evolvere professionalmente, scientificamente e costruendo una nuova di figura di Infermiere.

Infermiere Dirigente

Lasciate alle spalle le vecchie idee di ausiliarietà almeno nello sviluppo teorico e professionale, la figura di Infermiere Dirigente ha trovato la sua giusta collocazione anche se non sono mancati negli anni alti e bassi, crisi e riformulazioni, prese di posizione e scatti in avanti di consapevolezza di un cambiamento oramai necessario e inarrestabile.

Sono cambiati i bisogni di salute della popolazione, ma anche le necessità organizzative e le aspettative degli stessi infermieri; infermieri laureati, con dottorato di ricerca, master di I e II livello professionalizzanti e specifici per alte competenze; anche nell’area dirigenziale si è evidenziata quindi la necessità di Infermieri Dirigenti preparati e formati alla specifica governance dell’assistenza infermieristica e a salvaguardia del sistema salute di cui gli Infermieri sono sempre più espressione di garanzia e qualità delle cure.

Gli sviluppi futuri sono legati strettamente alla crescita professionale sia dal punto di vista manageriale che clinico-assistenziale degli infermieri, collegata alle nuove competenze e alle specialistiche per poter meglio sviluppare la continuità ospedale-territorio e i modelli di assistenza basati sull’intensità di cura e la complessità assistenziale, come richiesto dall’attuale quadro demografico ed epidemiologico.

Dirigere significa, etimologicamente parlando, “volgere verso una meta, avviare in una determinata direzione” oppure “indirizzare” e “guidare, regolare l’andamento, il funzionamento, lo svolgimento, o essere a capo di qualche cosa”: essere a capo nel senso del “buon padre di famiglia”, di colui cioè che guida e indica la giusta via verso una meta, uno scopo condiviso e per il bene di tutti.

La complessità dei sistemi sanitari evolve con la modifica dei bisogni di salute dei cittadini e con l’aumentata richiesta di specializzazione manageriale e di governo. Gli Infermieri dirigenti con gli anni stanno proprio acquisendo questa importante consapevolezza e sempre più le sfide del futuro vedono la professione infermieristica inserita a livello decisionale e strategico nei sistemi di governo sanitario.

Purtroppo non sempre questo è quello che vediamo o che percepiamo, o che ci viene detto, anche perché molti Infermieri o semplici cittadini non sanno bene cosa faccia o sia un dirigente né tanto meno un Infermiere Dirigente.

La nascita che possiamo attribuire ufficialmente alla figura del Dirigente Infermieristico è data da una norma del 2000 con l’avvio della Laurea specialistica e di dirigenza, la Legge 251/2000 (link ad articolo su Legge 251/2000) ovvero “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”, dove si stabilisce che gli infermieri in possesso dei titoli di studio rilasciati con i precedenti ordinamenti possono accedere alla laurea di secondo livello in Scienze infermieristiche, ma soprattutto vi è un riconoscimento ufficiale della dirigenza (art.7): per gli infermieri si aprono così le porte per l’accesso alla nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario.

In attesa dell’entrata a regime della specifica disciplina concorsuale, disposizioni transitorie stabiliscono che le Aziende sanitarie possono comunque procedere all’attribuzione degli incarichi di dirigente dei Servizi dell’assistenza infermieristica e ostetrica "attraverso idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati".

A tali figure sono attribuite la responsabilità e la gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni, nonché la revisione dell’organizzazione del lavoro incentivando modelli di assistenza personalizzata.

Il professionista dirigente, secondo la Legge n. 43 del 2006 (art. 6) è un professionista in possesso della laurea specialistica/magistrale di cui al D.M. 2 aprile 2001 che abbia esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni. “Contribuisce alla definizione della mission, vision e dei valori guida dell’azienda e persegue il loro raggiungimento attraverso il razionale uso delle risorse umane e materiali disponibili.

Fa in modo che sia erogata un’assistenza efficace, efficiente, di qualità; contribuisce alla formazione continua e all’aggiornamento del personale di competenza. È costantemente sotto controllo e viene valutato per i risultati ottenuti sia economici sia sanitari (La dirigenza infermieristica di C. Calamandrei). Ovviamente non è la posizione a creare il ruolo, ma sono coloro che la esercitano e non è il titolo di studio universitario ad insegnare ad essere un leader.

Il lavoro dei leader potrebbe essere definito come gestione di energia. Loro compito principale è creare un ambiente nel quale questa energia non vada sprecata in lotte intestine e giochi di potere…” (Kets de Vries Leader, giullari, impostori. 1998)

Quindi ricapitolando da un punto di vista Legislativo i punti cruciali per la Dirigenza sono nella Legge 251/2000.

In molte aziende sanitarie infatti è il SITRA (Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale) il luogo di governo del Dirigente infermiere che organizza e coordina il personale infermieristico, ostetrico, tecnico sanitario, riabilitativo e della prevenzione, oltre che gli operatori di supporto. La direzione di questo servizio è generalmente affidata ad un infermiere, ma a seconda del contesto potrebbe anche essere data ad un’altra figura tra quelle sopra citate.

Il riconoscimento del valore e dell’autonomia decisionale del SITRA dipende dalla sua collocazione nell’organigramma aziendale. Può essere collocato presso la direzione generale o presso la direzione sanitaria. Inoltre, può essere in line (nella linea gerarchica) o in staff (cioè con ruolo di consulenza a sostegno della linea gerarchica, ma senza autonomia decisionale). Questa è una grande differenza che è necessario conoscere prima di poter “valutare” l’operato del dirigente infermieristico della propria azienda. Il Servizio infermieristico, tecnico riabilitativo aziendale, di cui il dirigente infermiere è a capo in coerenza con la mission aziendale, si propone generalmente di:

  • Assicurare un'assistenza personalizzata e di qualità a tutti gli utenti garantendo l'impiego ottimale delle risorse disponibili, nel rispetto delle norme etiche e deontologiche;
  • Garantire alla persona la risposta ai bisogni di assistenza infermieristica, ostetrica, riabilitativa e sociale in relazione allo stato di salute ed alle condizioni (famiglia, ambiente, cultura, religione) che possono produrre una sua modificazione;
  • Garantire le attività tecnico sanitarie;
  • Garantire gli interventi di supporto assistenziale e di natura domestico-alberghiera al fine di rispondere alle necessità di accoglienza ed ospitalità della persona;
  • Assicurare il raggiungimento dei risultati qualitativi e quantitativi concordati con la Direzione Aziendale attraverso la programmazione, la direzione ed il coordinamento delle risorse umane, tecnico-strumentali ed economiche assegnate nonché alla loro valutazione;
  • Gestire le attività assistenziali, formative e di ricerca al fine di raggiungere la migliore qualità dell’assistenza anche attraverso la revisione dei processi organizzativi e la valutazione dei risultati.

Interessante è quanto detto dalla Dr.ssa Barbara Mangiacavalli (presidente IPASVI) in una recente intervista:

Riteniamo strategico, per la dirigenza infermieristica e per tutta la categoria professionale che questa Federazione rappresenta avere un quadro completo, reale ed esaustivo dei possibili sbocchi, come anche delle eventuali limitazioni che possono presentarsi a questo futuro sviluppo. Gli infermieri dirigenti puntano, grazie alla loro sempre maggiore qualificazione professionale, a contribuire a disegnare una riorganizzazione delle strutture e di appropriatezza non solo delle prestazioni, ma anche dei percorsi di cura e dei modelli organizzativi. E per farlo c’è bisogno di attivare un confronto sugli ambiti in cui l’azione può essere svolta. Infatti oltre alla questione ‘normativo-regolamentare’ c’è anche la questione del significato e dell’opportunità di avere un livello manageriale e di governo delle risorse assistenziali nei nostri sistemi complessi: quali risultati assistenziali, organizzativi, di sistema, realizza la dirigenza infermieristica? Quali sono gli elementi di forza e di valore che la presenza dell’infermiere dirigente dà al sistema-Salute?

In questa breve presentazione non possiamo non citare una realtà importante per tutta la dirigenza ovvero il Comitato Infermieri Dirigenti (CID) che sta cercando da diverso tempo di:

  • superare le disomogeneità presenti nel territorio nazionale, nella struttura organizzativa di dirigenza infermieristica e delle professioni sanitarie, troppo spesso soggetta ad “interpretazioni” ed a volte negata; il rafforzamento di tali strutture e l’articolazione in diversi livelli con ambiti di dirigenza e coordinamento specifici;
  • l’accesso dei dirigenti infermieri a tutte le opportunità dirigenziali offerte dal sistema sanitario;
  • lo sviluppo di processi formativi specifici per la dirigenza in ambito socio sanitario attraverso percorsi integrati con enti accademici e imprenditoriali italiani ed esteri.

La motivazione nel Dirigente

La motivazione di sé stessi è invece la capacità di padroneggiare le emozioni ed è un requisito fondamentale per riuscire a concentrarsi, per trovare motivazione e controllo di sé e poi sugli altri.

È un requisito indispensabile per motivarsi al raggiungimento di un certo obiettivo e a persistere nell’impegno quando le situazioni si fanno altamente frustranti. La motivazione è il motore interno che spinge a mettere in atto tutta una serie di comportamenti che consentono il raggiungimento dello scopo. Quando le emozioni negative sono forti e concentrano l’attenzione dell’individuo sulle proprie preoccupazioni, esse interferiscono negativamente con i suoi eventuali tentativi di concentrarsi su qualcos’altro.

Nella misura in cui le azioni sono motivate da sentimenti di entusiasmo e di piacere, sono proprio tali sentimenti a spingere verso la realizzazione. In questo senso l’intelligenza emotiva è un’abilità fondamentale che influenza profondamente tutte le altre, di volta in volta facilitandone l’espressione, o interferendo con esse.

In questo ambito può essere di notevole utilità insegnare alle persone a sviluppare un pensiero positivo. Seligman definisce il pensiero positivo “ottimismo flessibile” ed è collegato alla convinzione di essere in grado di raggiungere in modo positivo i risultati prefissati. Come ha evidenziato Bandura nel 2000, c’è una differenza considerevole fra il possedere certe sottoabilità e l’essere capace di integrarle in corsi d’azione adeguati ed eseguirle bene in circostanze difficoltose. Spesso le persone non riescono a offrire prestazioni ottimali, anche se sanno benissimo che cosa devono fare e possiedono le abilità necessarie per farlo.

Il pensiero su di sé attiva i processi cognitivi, motivazionali ed affettivi che governano la traduzione delle conoscenze e delle abilità in un’azione competente. In sintesi il senso di autoefficacia non riguarda il numero di abilità possedute, ma ciò che si crede di poter fare con i mezzi a propria disposizione in una varietà di circostanze diverse.

La motivazione di sé stessi è, secondo Bandura, strettamente legata alle proprie aspettative di autoefficacia. L’autore definisce l’autoefficacia in termini di credenze nei confronti delle proprie capacità di regolare il comportamento ed intervenire attivamente nei confronti della scelta dei propri obbiettivi e delle azioni che possono essere scelte per il loro raggiungimento. L’autoefficacia, quindi, è strettamente interconnessa al concetto di sé.

Queste sono solo alcune piccole riflessioni, ma di alta valenza per far sì che una dirigenza sia veramente efficace e che produca l’obiettivo finale che, come avevamo detto all’inizio, sta nel “guidare verso una meta, regolare l’andamento, il funzionamento, lo svolgimento, o essere a capo di qualche cosa”.

Essere dirigente sicuramente metterà le persone con tale incarico ad un duro confronto con sé stesse e sarà necessario fare un percorso di crescita anche su aspetti che possono sembrare secondari, ma che in realtà possono fare della Leadership una leva strategica per il cambiamento e il miglioramento qualitativo di tutti gli Infermieri.

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Commenti (1)

gfrancoferrari

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2 commenti

il dirigente con la D maiuscola

#1

Troppo spesso gli infermieri dirigenti si dimenticano di essere prima infermieri e poi dirigenti, la dirigenza non si esplica solo diminuendo il personale di assistenza , come desiderano politici ed amministratori ! ma mettendo in condizioni il personale di lavorare bene. Lavorare bene significa: identificare i punti tecnici da rafforzare nel personale; evitare che il personale salti i riposi o sia sottoposto a turni che hanno il solo significato di risparmiare danaro !; trattare chi assiste in modo "umano" e ragionevole; ascoltare le esigenze di chi lavora e non fa marchette; gratificare, motivare e coinvolgere tutto il personale in ogni atto organizzativo.