La sortita del Migep sulle questioni dei ruoli e delle responsabilità professionali dell’infermiere, ben descritta dalla presidente nazionale Ipasvi Barbara Mangiacavalli come iniziativa priva di ogni supporto di carattere giuridico, tecnico e scientifico
, entra a gamba tesa in un contesto abituale - ahimè.. - di questo Paese: quello di una diffusa precarietà delle regole del gioco.
Oss e infermiere, ma se rispettassimo le norme in vigore e basta?
In questo Paese, l’arrivo di un operatore che si potesse inserire fra l’infermiere e l’ausiliario è una idea che nasce negli anni Ottanta e che si è sviluppata insieme alla proposta, pressante, dell’ingresso della formazione in università per gli infermieri prima e per tutte le professioni sanitarie poi. Gli anni Novanta consentirono agli infermieri di approdare nelle università e già nel 1991 arrivò la figura dell’ota, operatore tecnico addetto all’assistenza; dopo un altro decennio si giunse alla costruzione della figura che oggi costituisce – a livello di adesioni- l’ossatura principale del Migep, l’oss, operatore socio sanitario.
I problemi che ruotano intorno alla figura dell’oss sono almeno rintracciabili in quattro grandi gruppi: c’è, in primis, quello normativo, legato a una generica ambiguità del testo della Conferenza Stato Regioni del 22.1.2001 che ne fotografa non sempre chiaramente le competenze; vi è poi quello organizzativo, che vede in molte realtà (pubbliche e private) un inserimento non adeguato nel team multi professionale; il terzo aspetto è quello formativo, sul doppio fronte universitario (non tutti i programmi svolti nelle sedi italiane trovano tempo e modo di illustrare bene chi è e cosa deve fare l’operatore socio sanitario ) e naturalmente sul fronte del corso oss, dove si è andati spesso a implementare accordi per percorsi formativi più brevi, se già in possesso di particolari requisiti (comunque in forma e modo diseguale nel Paese).
Infine, c’è una difficoltà culturale che costituisce un limite all’inserimento dell’oss, difficoltà alla quale partecipano, a vario titolo e in varia forma, tutti i principali attori e interpreti della sanità italiana. Inoltre, qualcosa manca anche a livello ufficiale, dunque normativo: se aprite, infatti, la pagina del ministero della Salute dedicata all’elenco delle professioni in sanità troverete che l’operatore socio sanitario, solo soletto, occupa la categoria “altre figure”.
Altra figura? E cioè? Cosa significa, esattamente? Questo dimostra il margine di ambiguità della questione. Non poche ragioni hanno gli oss e le loro associazioni di riferimento a chiedere chiarezza normativa, ma serve cautela e attenzione: ciò non può autorizzare in alcun modo lo sconfinamento nei territori chiaramente altrui.
Infatti, nel contesto professionale la responsabilità dei vari profili è disciplinata dalle norme in vigore, e non dal personale pensiero di Tizio, o dalle abitudini del reparto XY, o dall’ordine di servizio della Rsa WY! E la responsabilità dell’assistenza infermieristica è dell’infermiere (cfr DM 739 del 14.9.1994) e se questo non bastasse, possono (amaramente) bastare gli avvisi di garanzia sempre spediti agli infermieri in servizio quando c’è un problema che ha riguardato l’assistenza, e solo in determinate situazioni indirizzati anche al restante personale.
Nella assistenza infermieristica, la responsabilità di pianificazione è demandata al solo infermiere, mentre la responsabilità di esecuzione è assunta sia dall’infermiere che dall’oss.
La tentazione, per chi rappresenta gli oss a vario livello, di chiedere delle forme di riconoscimento che possano andare oltre quanto pare possibile, data la formazione e l’impianto della figura, riconosce un motivo nei precedenti di questo Paese: queste forme sono le famigerate sanatorie, che permettono di arrivare dove la vigente normativa non consente.
Quelli che se lo ricordano sono ormai pochi, ma nel periodo che andò dal 1980 al 1986 partì la strategia dell’infermiere unico e polivalente, sostenuta dalle organizzazioni sindacali del tempo. Partì un percorso di riqualificazione straordinaria (Legge 243 del 3.6.1980), una sanatoria che aveva trasformato gli infermieri generici in "professionali", con corsi interni che calcolavano le ore di lavoro come ore di formazione…
Una botta niente male (sic!) alle ambizioni della categoria: vennero contestualmente chiusi i corsi di specializzazione, e si tentò di eliminare la figura del capo sala (oggi: coordinatore infermieristico). Esisteva, marcata, la tendenza al livellamento (verso il basso…) sostenuta dalla filosofia del tutti possono fare tutto.
Si trova in Rete una citazione, sull’argomento, molto interessante, a cura della Scuola superiore dell’economia e delle finanze, di certo un testimone più neutrale di chi scrive: Gli anni Ottanta ereditano il lungo, acceso e controverso dibattito politico, sindacale e professionale sul concetto di infermiere unico e polivalente. Il confronto poggia sul principio, dimostratosi poi non così vero, che avere nei servizi tutti infermieri professionali avrebbe automaticamente determinato un aumento della qualità dell’assistenza
. In pratica, questa citazione conferma che non avere ruoli definiti e chiari dentro la equipe aggiunge soltanto confusione!
C’è poi la questione terapia e su questo la legislazione è piuttosto ferma e netta: è solo l’infermiere il garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico terapeutiche (art 1- comma 3, punto d del DM 739/1994). Ora, abbiamo situazioni dove si somministrano farmaci in assenza di infermieri, e ciò avviene in particolare in alcune strutture della sanità privata. Eppure, questo compito complesso non può essere fatto da altre figure, cosa già ricordata in più di una sentenza (ad esempio, quella del Tar toscano dell’11/6/1998, la numero 552).
Qui si potrebbe benissimo agire lavorando meglio sull’organizzazione, a partire dalla definizione di fasce orarie di servizio dell’infermiere e terapia compatibili. E forse sarebbe bene osservare con occhio attento anche la scrittura, la redazione di una prescrizione parenterale programmata in una fascia oraria nella quale, notoriamente, non sono previsti, in quella realtà, degli infermieri.
È qui che il Migep chiede di riconoscere - forzando la norma - ciò che già avviene nei fatti, usando lo stesso criterio distorto che varò la citata Legge 243/80: in pratica, siccome abbiamo oss che fanno cose da infermieri, diamo loro maggiori riconoscimenti normativi (ed economici).
E se invece cercassimo di rispettare le norme in vigore, tutti. E non di avere nuove norme che vadano a sanare le storture del caso?
Lavorare in team comporta sempre il riconoscimento dell’altro, del suo agire, insieme al rispetto dei suoi limiti operativi e delle sue caratteristiche normative e professionali: partire dalla buona conoscenza di chi fa che cosa, è alla base del buon lavoro di squadra: di tutta la squadra, qualsiasi ruolo si rivesta in essa. E questo sempre, e ovviamente non solo nei team sanitari, ma ovunque vi siano obiettivi comuni a più diverse professionalità e inquadramenti.
fabio1979
14 commenti
anche le capre parlano
#10
Marco Dante cosa ti hanno riconosciuto? hai un corso con un attestatino su dai. Se vuoi riconosciuto qualcosa... bisogna STUDIARE, LAUREA di primo livello, Ordine, Albo Professionale, Professionista Sanitario a te parole sconosciute a quanto pare. Tu conosci solo le parole "Personale di supporto e ausiliario". Ti rode eh... Datti pace