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La Professione Infermieristica

di Sara Di Santo

Per parlare di Professione Infermieristica moderna occorre fare necessariamente un passo indietro nel tempo e ricostruire le tappe fondamentali che hanno fatto la storia degli infermieri. Dalla madre-soccorritrice alle intuizioni di Florence Nightingale: il passo non è stato breve e la categoria chiede ancora oggi un riconoscimento sociale, culturale, economico ed occupazionale che stenta ad arrivare.

Evoluzione del processo di professionalizzazione dell’infermiere

Scuola infermieri Milano

L’Infermieristica è un corpus complesso e sistematico di conoscenze e strumenti teorico-metodologici volti all’esercizio delle funzioni di tutela e promozione della salute, individuale e collettiva.

Per giungere a questo livello si sono dovute attuare una serie di disposizioni normative (D.M. 739/94, Legge n.42/99, Legge 251/2000, Legge 43/2006, Codice Deontologico), che hanno sancito il definitivo superamento del concetto di ausiliarietà e mera esecutività dell’assistenza infermieristica in relazione alla professione medica.

L’evoluzione nell’ambito dell’esercizio della professione è andata di pari passo con un parallelo processo di riforma del sistema formativo dell’infermiere (D.M. 509/99), che ora si articola in diversi livelli di studio universitario; gli infermieri sono sempre più preparati e competenti e contribuiscono ad un miglioramento effettivo nel campo della pratica clinica, della cura e dell’assistenza alla persona.

Cenni storici

Florence NightingaleIl concetto di ad-sistere (stare accanto) storicamente è legato alla figura della donna, madre-compagna-soccorritrice. Proprio ad una donna è attribuita l’istituzione di quello che può essere considerato il primo ospedale della storia: nel 390 d.C. circa, Fabiola, nobildonna romana, istituì il Valetudinaria (da “valetudo”, “buona salute”), l’ospedale romano in cui operavano medici affiancati da servi che, presumibilmente, svolgevano funzioni infermieristiche.

Con l’arrivo del Medioevo, la cura e l’assistenza vengono assicurate soprattutto dal clero all’interno di conventi, monasteri e lungo le vie di pellegrinaggio (proprio in questi ambiti nasce il termine infermiere: l’infirmus era il monaco che si occupava dell’accoglienza e dell’assistenza di malati e bisognosi). L’istituzione ospedaliera ebbe origine nel contesto religioso e socio-culturale del mondo cristiano.

Mentre i primi ospedali erano strutture adibite al ricovero di chiunque si trovasse nel bisogno, verso la metà del ‘400 ci fu un cambiamento radicale dell’assetto istituzionale e organizzativo degli ospedali: il prendersi cura non veniva più considerato solo in termini di carità cristiana, ma anche in termini di pratica produttiva di salute corporale. Si iniziò a distinguere i malati in base alle loro condizioni e alle loro necessità assistenziali; gli infermieri, religiosi e laici, dovevano conoscere non più solo le sacre scritture, ma anche i rudimenti delle varie malattie e i medicinali con i quali trattarle. 

Sarà proprio la rivoluzione iniziata dall’Umanesimo che porterà all’avvicinamento dei concetti di salute e malattia secondo un approccio scientifico.

A partire dal Seicento, con il fiorire di nuove scoperte medico-scientifiche, si assiste alla nascita di nuove teorie e concezioni riguardanti la salute: i “medici clinici” avanzano le prime classificazioni delle malattie sulla base dell’osservazione di segni e sintomi condotta al letto del malato.

La malattia diventa un fenomeno che deve essere studiato come qualsiasi altro fenomeno naturale ed è a partire da questa epoca che il medico si avvale del proprio bagaglio percettivo, del proprio intuito, dell’esperienza accumulata anche grazie all’impiego dei primi strumenti diagnostici.

Il progresso scientifico che accompagna l’avvento dell’Illuminismo settecentesco vede uno strapotere dei medici, sotto lo stretto controllo dei quali gli infermieri erano chiamati a compiti puramente alberghieri e di sorveglianza notturna. 

La vera svolta per la figura infermieristica è legata all’intervento di Florence Nightingale (1820-1910), nobildonna inglese dalla forte vocazione religiosa, la prima alla quale sia possibile attribuire propriamente il titolo di “infermiera”. 

Durante la guerra di Crimea del 1853 la Nightingale, insieme ad altre 39 infermiere da lei selezionate, prese in mano la situazione dell’ospedale militare inglese di Scutari, nonostante l’iniziale diffidenza da parte dei medici.

Applicando un nuovo metodo organizzativo che garantisse, in primis, l’igiene dell’ambiente terapeutico riuscì a far diminuire in maniera formidabile il tasso di mortalità e fu tra i primi a comprendere l’importanza dell’epidemiologia e statistica medica per interpretare le informazioni sull’evoluzione di una malattia e sull’efficacia delle prestazioni fornite.

Tornata in patria come un’eroina, la Nightingale offrì il suo principale contributo alla professionalizzazione dell’assistenza infermieristica nell’ambito della formazione: con l’obiettivo di innalzare lo status sociale delle infermiere, intuì fondamentale la capacità di dirigere e insegnare ad altre. Selezionò, dunque, le prime 15 infermiere uscite dalla scuola collegata all’ospedale S. Thomas, donne dal ceto nobile e dal comportamento ineccepibile, che mandò all’estero a diffondere il “modello Nightingale”.

Dispose che le allieve risiedessero obbligatoriamente presso un convitto all’interno del quale venivano “plasmate”, nella tecnica e nel carattere, dalla disciplina inflessibile della direttrice. Nell’organizzazione prevista dalle Scuole Nightingale era esclusa qualsiasi interferenza fra l’opera dei medici e quella delle infermiere, poiché le rispettive attribuzioni erano ben distinte; il sistema formativo della Nightingale aveva come obiettivo la padronanza, da parte dell’infermiera diplomata, di una perfetta competenza tecnica e dell’irreprensibilità di carattere e condotta.

La realtà italiana

L’assistenza infermieristica negli ospedali italiani dell’epoca era molto scadente: pessime erano le condizioni di lavoro e l’assistenza infermieristica era priva di qualità e organizzazione.

Fu Anna Celli (1878-1958), infermiera tedesca trasferitasi in Italia, a criticare aspramente le attività degli ospedali italiani, affidate in gran parte ad inservienti impreparati, sfruttati e sottopagati.

Celli seguì le orme di Nightingale e indicò, come soluzione per avviare un processo di professionalizzazione dell’assistenza infermieristica, la formazione di una figura infermieristica femminile laica, di ceto sociale elevato e senza impegni familiari, alla quale affidare le funzioni direttive.

Sotto il regime fascista sorsero le prime scuole convitto con obbligo di internato in Italia, destinate alle sole donne.

Solo nel 1971, con la Legge n.124 del 25 febbraio, viene soppresso l’obbligo di internato e viene aperto l’accesso alle scuole per infermieri anche agli uomini; nel 1973, con l’applicazione del Decreto di Strasburgo, la durata del corso di studi passa da 2 a 3 anni e con il DPR 225 del 1974 viene stilato l’elenco delle mansioni degli infermieri.

Aspetti normativi dell’infermieristica moderna

Le fondamenta dell’esercizio infermieristico sono profondamente mutate negli ultimi anni, nonostante l’applicazione pratica delle leggi che caratterizzano la professione infermieristica sia ancora in divenire.

A dire chi è oggi l’infermiere è il D.M. 739/1994, ovvero il Profilo professionale dell’infermiere che ne individua il campo proprio di attività e responsabilità. Con la Legge 42/99 (abrogazione mansionario) l’infermiere assume lo status di Professionista Sanitario che, in quanto tale, risponde direttamente delle sue azioni.

La Professione, dunque, dice chi è l’infermiere (D.M. 739/94), cosa sa l’infermiere (Ordinamento didattico, Legge 251/2000, Legge 43/2006), cosa fa l’Infermiere e secondo quali principi (Codice Deontologico dell’Infermiere)

Il processo di professionalizzazione

Con “professione” si intende un’attività svolta a servizio degli altri e in modo autonomo, da soggetti che siano in possesso di specifiche conoscenze scientifiche e competenze tecniche acquisite con un lungo periodo di scolarità.

Secondo Afaf I. Meleis, infermiera statunitense contemporanea, le tappe fondamentali dell’evoluzione dell’assistenza infermieristica verso il raggiungimento di un’identità professionale e un campo d’azione proprio sono state:

  • stadio della pratica: (il “fare”) periodo precedente a qualsiasi teorizzazione infermieristica, coincidente con l’assistenza quotidiana ai malati e ai bisognosi, fondata sulla vocazione caritativa, sulla scienza medica e sulla sensibilità artistica dell’infermiera;
  • stadio della formazione e organizzazione: (educazione e amministrazione risultato dell’attività di ricerca promossa negli anni ’60) interesse per la formazione e il management in aggiunta alla definizione di norme e standard da utilizzare nella formazione degli studenti e nella gestione del personale;
  • stadio della teoria: produzione di modelli e teorie concettuali che affrontano gli interrogativi riguardanti l’assistenza infermieristica, il suo mandato e il suo scopo;
  • stadio della filosofia: esigenza dei professionisti di fornire una valida giustificazione epistemologica (di conoscenza scientifica) ed etica alla disciplina infermieristica nel suo complesso.

Una professione, per essere tale, ha bisogno di possedere determinati attributi:

  1. teoria sistematica: notevole conoscenza sistematica acquisita durante un percorso di formazione specifico;
  2. autorità professionale: in riferimento al Codice Civile, sussiste l’obbligo di garantire un risultato rispetto alla prestazione richiesta, sempre in ambito di autonomia;
  3. sanzioni della comunità: riconoscimento della propria utilità sociale e, dunque, legittimazione istituzionale;
  4. codice etico: insieme di principi etici che vincolano e guidano l’operato del professionista;
  5. cultura professionale: garantita da gruppi formali ed informali di professionisti (ad es. associazioni, sedi formative, ecc.)

Conoscenze organizzate in un corpo sistematico di teorie e principi applicati secondo un insieme condiviso di strumenti metodologici e tecnici, lo sviluppo scientifico delle conoscenze possedute e utilizzate dagli infermieri, un linguaggio tecnico specifico e un proprio oggetto di studio alimentato dai continui aggiornamenti ottenuti dai risultati della ricerca teorica e clinica, fanno dell’Infermieristica una scienza:

  • umanistica, poiché ha l’uomo come oggetto di studio e come beneficiario dei risultati dell’assistenza;
  • dialogica, poiché instaura una relazione reciproca con l’assistito al fine di comprendere i suoi bisogni di salute;
  • organizzata, poiché si articola in una serie di principi, concetti ed asserzioni di base, teorie e modelli che costituiscono la struttura concettuale della disciplina;
  • prescrittiva, poiché si prefigge uno scopo pratico, ovvero quello di soddisfare e migliorare le condizioni di partenza dell’assistito.

Infermieri moderni

Il soddisfacimento dei bisogni di assistenza infermieristica non è solo questione di teoria, metodo, e standard specifici, ma si tratta anche di stile professionale, cioè della messa in campo di un insieme di comportamenti che nel rapporto assistenziale con il malato non coincidono con la sola rete dei concetti, ma con la personalizzazione dell’assistenza infermieristica.

“L’infermieristica non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione”, scrisse Florence Nightingale; è un sapere che ha bisogno di un metodo, di una forma mentis che permetta al professionista di porre in relazione l’insieme di conoscenze astratte con la finalità pratica (la soddisfazione dei bisogni dell’utente) e quindi con la risoluzione dei problemi.

Mentre il medico si occupa della malattia, l’infermiere si occupa delle risposte della persona alla malattia, risposte che sono di natura biologica, psicologica, sociale e spirituale e che sorgono in conseguenza ad eventi, a problemi di salute reali o potenziali, a processi vitali.

Scopo dell’assistenza infermieristica è dunque quello di promuovere il benessere, prevenire la malattia e ripristinare la salute nell’individuo, nella famiglia a nella comunità.
Per raggiungere questo scopo, l’infermiere si avvale del proprio metodo scientifico di risoluzione dei problemi: il processo di assistenza.

Il processo di assistenza è l’applicazione del problem solving all’assistenza infermieristica

È un processo le cui fasi si susseguono in modo logico-consequenziale e dinamico.

Il processo di assistenza è un metodo di risoluzione dei problemi, è sia mentale che scritto (il piano di assistenza è la progettualità espressa in forma scritta) e si articola in varie fasi:

  1. accertamento: può essere iniziale, continuo, mirato e d’emergenza e consiste nella raccolta, analisi ed interpretazione dei dati, nell’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica;
  2. pianificazione: progettazione, attraverso un piano per obiettivi, dell’assistenza (si stabiliscono il problema, l’obiettivo, i criteri di esito e gli interventi da attuare per raggiungere tale obiettivo);
  3. attuazione: messa in pratica del progetto;
  4. valutazione: verifica che gli interventi assistenziali abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati.

Per la presa in carico dell’assistito e la pianificazione di un piano di assistenza che, in linea con la Legge 251/2000, sia per obiettivi e sia dunque tarato sul singolo paziente, l’infermiere si serve della Diagnosi Infermieristica: un giudizio clinico relativo ad un individuo, famiglia o comunità in merito agli attuali o potenziali problemi di salute/processi vitali. Essa fornisce le basi per i trattamenti finalizzati al raggiungimento di risultati dei quali l’infermiere è responsabile.

La Diagnosi Infermieristica, che può essere:

  • reale;
  • di rischio;
  • possibile;
  • di benessere.

Deve avere:

  • veridicità;
  • completezza;
  • precisione;
  • chiarezza.

È essa stessa un metodo, un processo e uno strumento di pianificazione ed è formata da:

  • titolo,
  • fattori correlati (la causa del problema),
  • caratteristiche definenti (segni e sintomi, ovvero dati oggettivi e dati soggettivi).

Gli obiettivi, che sono l’opposto del problema iniziale, devono essere realistici, raggiungibili, centrati sul singolo paziente e devono essere formulati con soggetto (l’assisto), un verbo di azione, una condizione, un criterio e un arco di tempo entro il quale devono essere attesi.

Gli interventi costituiscono attività pratiche che l’infermiere, seguendo Linee Guida, Protocolli, Procedure ed Istruzioni Operative, mette in atto per risolvere la causa del problema.

La valutazione, in itinere e a distanza, consiste nel verificare che gli interventi attuati abbiano portato ai risultati prefissati dall’obiettivo.

Il processo di assistenza infermieristica, dunque, è il metodo che la disciplina infermieristica adotta per identificare i bisogni del singolo o di un gruppo sociale e per pianificare una risposta appropriata, efficace ed efficiente a tali problemi attraverso un complesso di prestazioni di totale competenza e responsabilità infermieristiche.

Alla nuova sfera di autonomia operativa dell’infermiere si affianca l’adozione di una documentazione infermieristica, necessaria per certificare correttamente e registrare storicamente le prestazioni infermieristiche erogate, attività che esprime valenza legale in qualità di atto pubblico di incaricato di pubblico servizio.

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Commenti (1)

luigi.gradante

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2 commenti

diventare infermiere.....

#1

Buongiorno, vorrei condividere con voi la mia esperienza lavorativa e personale in questi ultimi anni segnati dalla pandemia e dalla crisi della professione.
Ho scelto di intraprendere il percorso di infermieristica nel 2017, a 33 anni.
A Torino, dove ho studiato, avevo già annusato la "puzza" dietro questo percorso rispetto ad altri vedendo in me e nei miei colleghi delle caratteristiche negative crescenti rispetto ad altre persone che frequentavano altre facoltà e che erano più liberi, meno ansiosi e me no frustrati.
A fine percorso mi sono trasferito in Emilia Romagna per amore ma il lavoro non mi ha permesso di essere libero e tranquillo come volevo.
Mai un festivo o un fine settimana libero, orari vincolanti, ero l'unico a dover dire sempre no in caso di una serata o di una semplice cena tra amici a causa d orari e turni assurdi, riposi saltati e ferie negate.
Adesso, a distanza di 3 anni, tra frustrazione, ansia e paragoni con gli altri, è finita la mia storia d'amore, sono solo e senza amici e non riesco più a fare questo lavoro che mi è costato tutto, compresa la mia stabilità emotiva....
Come si può ancora incentivare questo? Chi denunciare? Come fate ancora a parlare di riscatto o voglia di fare questo lavoro che, in alcuni casi, ti porta via tutto senza preavviso rendendoti al tempo stesso responsabile di tutto e con carichi e turni che non ha nessun altro?
Vorrei solo tornare indietro e scegliere diversamente ma ormai...non ho latro da fare che andare avanti (o non farlo, sarebbe meglio) e vedere cosa succederà...
Scusate lo sfogo e buona giornata.
Un ex infermiere ucciso dal suo lavoro.