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Emergenza-Urgenza

L’importanza dei First Responder in caso di arresto cardiaco

di Giacomo Sebastiano Canova

Extraospedaliera

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La figura dei First Responder in Italia non è così diffusa, sebbene l’esperienza dell’Emilia Romagna col progetto “DAE respondER” sia più che positiva. Tuttavia, la letteratura ha affrontato numerose prospettive di questo importante anello della catena di soccorso, in quanto allertare personale in grado di effettuare una rianimazione cardiopolmonare (e di utilizzare un defibrillatore, se disponibile nelle vicinanze) è in grado di aumentare notevolmente le chances di sopravvivenza del paziente vittima di arresto cardiaco extraospedaliero.

Uno studio sulla figura del First Responder nella rianimazione cardiopolmonare

Di recente, in merito alla figura dei First Responder è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Resuscitation uno studio volto a valutare i tassi di inizio della rianimazione cardiopolmonare da parte di First Responder appartenenti alla Polizia o ai Vigili del Fuoco, l’uso di defibrillatori esterni automatizzati nonché il loro impatto sugli esiti dell’arresto cardiaco extraospedaliero.

In questo studio sono stati analizzati un totale di 25.067 arresti cardiaci avvenuti sul territorio. Da un punto di vista di caratteristiche dell’arresto cardiaco, tra i pazienti che hanno sostenuto il ROSC l’età media era di 60,9 anni (DS 18,7) e il 61,3% erano maschi. Meno di un quarto (23,0%) dei pazienti ha sostenuto ROSC all’arrivo in PS. Coloro che hanno sostenuto il ROSC avevano maggiori probabilità che l’arresto cardiaco fosse avvenuto in un luogo non residenziale (20,1% Vs. 12,6%) e di presentare un ritmo defibrillabile iniziale (31,0% Vs. 16,1%) rispetto a quelli che non hanno sostenuto il ROSC. Dei pazienti che hanno sostenuto ROSC, il 37,4% (n=2.152) aveva iniziato una gestione della temperatura mirata, il 20% (n=1, 150) è stato sottoposto a angiografia coronarica e il 9,3% (n=537) ha ricevuto almeno uno stent cardiaco. Complessivamente, l’8,3% dei pazienti è sopravvissuto alla dimissione dall’ospedale e il 6,9% è sopravvissuto con un buon esito neurologico.

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