Triage Pronto soccorso, cosa c'è di vero sulle nuove linee guida

Intraospedaliera

Nei giorni successivi alla pubblicazione da parte del Ministero della Salute delle nuove linee di indirizzo sul triage intraospedaliero sui social si è potuto assistere ad una miriade di commenti che hanno sollevato numerose opinioni provenienti sia da cittadini che da professionisti sanitari. Abbiamo provato a raccogliere le più frequenti e rilevanti, girandole direttamente a Daniele Marchisio, presidente di Gruppo Formazione Triage, che ha partecipato attivamente al processo di stesura dei questi importanti documenti: Che nessuno utilizzi questi importanti documenti come alibi per non andare avanti nel processo di risoluzione dei problemi e di miglioramento della qualità delle cure.

Triage oltre i social: cosa cambia davvero con le nuove linee di indirizzo

Una delle novità introdotte dalle ultime linee di indirizzo sul triage è l’introduzione dei cinque codici (anziché quattro) e il passaggio dai codici colore ai codici numerici.

Questo passaggio è visto da molti come inutile, dato l’ingente numero di pazienti che costantemente accedono al Pronto soccorso e alle ben note carenze di personale di questo reparto

Tutti i sistemi validati in bibliografia e utilizzati a livello internazionale stratificano la priorità di accesso al trattamento in cinque livelli e non quattro. La scelta di passare a cinque codici è dovuta al fatto che l’attuale stratificazione a quattro racchiuda in unico codice (solitamente nel verde) più di un terzo della totalità dei pazienti; una differenziazione in cinque codici permette dunque una maggiore stratificazione ed è funzionale alle esigenze del Pronto soccorso.

La scelta di passare ai numeri e di togliere colori (cosa che per me non è sostanziale) nasce dall’esigenza di differenziare il codice di triage da altri codici quali quelli di percorso o gravità, in quanto il triage parla di priorità.

La cosa che però mi sta più a cuore e che vorrei fosse cruciale per tutti i professionisti non è tanto il numero dei codici, ma il metodo e il modello teorico utilizzato dal triagista nel momento in cui verranno applicate le linee guida, in quanto su questo al momento è presente estrema eterogeneità a livello nazionale, situazione che se da una parte garantisce l’aderenza alle differenze delle varie realtà d’altra parte non è più giustificabile.

Mi preme ricordare che il codice rispecchia una categorizzazione che riassume per sommi capi una cosa molto più complessa, ovvero la valutazione di triage: all’interno dello stesso codice, difatti, vi sono tutta una serie di variabili dove l’ultimo dei fattori che determina la priorità è l’ordine temporale di arrivo (due codici gialli come un paziente con lussazione di spalla e un altro con dolore toracico sono due situazioni a rischio evolutivo differente).

Ulteriore questione è quella delle risorse, la quale meriterebbe una trattazione a parte. Solamente dopo aver specificato quali siano le attività svolte in triage e quale sia il processo che dev’essere sviluppato occorrerà compiere una valutazione sia della quantità che delle qualità delle risorse da dedicarci.

Prima ancora di affermare che serve personale (cosa tanto ovvia quanto logica), per dimostrare l’effettiva necessità di incremento di risorse è importante formalizzare come e con che cosa bisogna fare triage. In questo credo che le linee guida appena emanate possano essere uno dei fattori in grado di facilitare la richiesta di personale.

C'è molta confusione anche rispetto ai tempi d’attesa. Il minutaggio previsto per ogni codice a cosa si riferisce?

Concordo sul fatto che si sta facendo molta confusione, ma ritengo un passo epocale il fatto che oltre a fornire tempi di rivalutazione vengano finalmente espressi i tempi di accesso alle aree di trattamento.

Nel primo documento tecnico che ha costituito la base per queste linee si parlava di “tempo di inizio del percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale”. Secondo me con questa scelta coraggiosa si ribadisce il fatto che in Pronto soccorso il paziente deve iniziare il trattamento in tempi congrui.

Questo fatto costituisce un’importante vincolo che spero porti le aziende ad iniziare dei processi di revisione dei processi di cura, ovvero a far sì che il triage non diventi l’unico ad avere il cerino in mano, ma che tutto il Pronto soccorso e, allo stesso tempo, tutta la struttura ospedaliera lavori per garantire un inizio tempestivo delle cure.

Nel documento si fa riferimento al fatto che se il paziente aspetta non è più “colpa” del triage. Di cosa si tratta?

In verità non è mai stata colpa del triage, ma non era mai stato scritto. Ora finalmente questo viene formalizzato ed è congruente con l’ottica sistemica con cui occorre guardare l’organizzazione del Pronto soccorso all’interno della struttura (organizzazione dell’OBI, gestione dei posti letto, attività del bed manager, ecc.)

Per questo vi è la necessità di sviluppare flussi di trattamento dei pazienti basati sulla complessità di cure e non solo sul grado di priorità, trovando anche modelli “innovativi” - per modo di dire, in quanto in altre realtà funzionano da più di 10 anni - quali fast track, anticipazione di trattamenti e triage avanzato.

Un altro fattore è rappresentato dalla necessità che tutti gli step organizzativi del percorso di cura del Pronto soccorso (servizi diagnostici, consulenze specialistiche, ecc.) funzionino con tempi e modalità accettabili e congruenti.

Inoltre è necessario che venga data la possibilità di poter dimettere il paziente del Pronto soccorso quando questi ne ha la necessità: in questo faccio riferimento all’appropriatezza del ricovero in OBI, alla disponibilità di posti letto e alla relativa gestione e, se fosse possibile, alla riduzione degli accessi impropri in Pronto soccorso, ovvero tutti quei casi nei quali il cittadino dovrebbe trovare le risposte ai suoi bisogni di salute in altre strutture sanitarie esterne al Pronto soccorso prima che le sue necessità si acuiscano e che quindi si veda costretto a rivolgersi al PS per motivazioni magari discutibili, ma comunque che lo inducono a rivolgersi all’unica struttura aperta 24 ore su 24, 365 giorni l’anno.

In rete uno degli obiettivi più colpiti è il modello See and Treat, in quanto un infermiere non viene reputato in grado di risolvere in autonomia problematiche “minori”. Oltre a questo, il verbale comunque viene chiuso da un medico, che di fatto non ha partecipato attivamente al percorso di cura del paziente

Questo argomento merita a mio avviso un particolare approfondimento. Sicuramente con questo modello di trattamento – e non di triage, in quanto questa attività viene svolta successivamente all’assegnazione della priorità - ci si spinge oltre.

Facendo riferimento al modello toscano, che ha dedicato una particolare attenzione alla strutturazione e progettazione di questo modello di trattamento per alcune problematiche minori e bassa complessità, si può affermare come sia un modello che non ha avuto problemi sostanziali di danni diretti ai pazienti.

In questo i medici sono stati coinvolti nella strutturazione dei protocolli e per questo ne validano l’applicazione su casi specifici anche a posteriori. Di certo su questo sistema vanno fatte scelte ponderate e valutazioni accurate.

Un’ulteriore critica deriva dal fatto che il documento sostenga che l’infermiere di triage “può essere specificatamente autorizzato alla somministrazione di alcuni farmaci”, come già avviene in numerosi Pronto soccorso. Pensiamo al protocollo analgesia, ad esempio

Non capisco il problema, o meglio capisco che si tratta di una strumentalizzazione di un’inutile guerra tra professioni che non appartiene ai professionisti dell’emergenza.

Chi lavora sul campo sa perfettamente che l’inizio di alcuni trattamenti e/o procedure diagnostiche, se debitamente protocollati e frutto di una riflessione di un team multiprofessionale, aumenta l’appropriatezza e tutela da rischi di fughe in avanti

Avrei molto da dire su questa parte, ma preferisco non incrementare un dibattito che non ha come obiettivo il reale interesse dell’efficientamento dei processi di cura. Credo invece sia necessario che queste attività avvengano mettendo dei precisi paletti, sia per evitare fughe (soprattutto in avanti) sia verso personalizzazioni che espongono a rischi oggi non più giustificabili. L’esperienza di Gruppo Formazione Triage, anche su questi punti, ha visto un’estrema eterogeneità a livello nazionale.

C'è ancora chi si interroga sul fatto che sia un infermiere (e non un medico) a svolgere la funzione di triagista

Basta! È dal 1996 che sono preseti delle norme nazionali che attribuiscono questa funzione alla professione infermieristica. Ciò non per il peso politico di questa categoria, ma per la specificità della funzione che non è una pre o mini visita, ma è l’accoglienza della persona, l’individuazione dei problemi di salute della stessa e la pianificazione della priorità con cui la struttura risponde ad essi.

In tutti i modelli previsti in letteratura il triage è fatto dall’infermiere. Prima di individuare un’inadeguatezza della figura che tutto il mondo individua per questa funzione occorre comprendere cosa sia veramente questa funzione, in quanto anche su questo ci sono immagini mentali errate.

L’indispensabilità della funzione di triage per garantire efficacia ed efficienza della struttura di Pronto soccorso di fronte ad un crescente sovraffollamento e ad un mutare di bisogni di salute della popolazione è ormai indiscussa.

Proviamo a fare qualche passo avanti e non indietro, andando a definire cosa questa attività debba fare e a creare dei presupposti affinché l’intero team contribuisca ciascuno secondo le sue competenze e specificità al miglioramento di esse.

Chi si pone ancora questi problemi parli con i molti medici che oggi svolgono un’importante funzione di supporto all’attività di triage, che ben sapranno spiegare loro quale sia l’importante ruolo del medico rispetto questa attività, che non è sicuramente quella di anticipare la visita.

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