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Editoriale

Pronto soccorso: chi è il carnefice?

di Mimma Sternativo

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Premessa obbligata e sentita: non si può morire perché si ha l’aorta addominale rotta e l’attesa in Pronto soccorso è di sette ore. Non può mai, specie a 62 anni. Mi riferisco all’uomo morto all’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino) e alla drammatica vicenda che ha portato alla condanna per omicidio colposo dell’infermiere che al triage aveva assegnato lui un codice verde. Appena possibile leggerò le motivazioni della sentenza per contestualizzare l’accaduto e quel che è certo sin da oggi è che il lavoro della magistratura è un capitolo che non viene neanche lontanamente preso in considerazione in questa sede. La domanda però è: l’infermiere di Ps che ha la responsabilità enorme di stabilire la gravità delle condizioni del paziente è realmente messo in condizione di farlo?

Pronto soccorso, dove gli infermieri cercano di portare a casa la pelle

Il Pronto soccorso è un luogo di lavoro che concede di applicarsi al meglio alla professione, quindi all’assistenza dei malati, o è il luogo in cui provare a “portare a casa la pelle”, la propria e di chi devo assistere?

Sovraffollamento, incapacità dei reparti di assorbire i propri pazienti, che quindi rimangono nell’area emergenza. Medicina del territorio inesistente al netto degli slogan e dei soldi gettati dalla finestra, con conseguente intasamento dei nosocomi.

Numeri da capogiro: un infermiere per 60 pazienti, è accaduto e il fatto che non stupisca gli addetti ai lavori fotografa una situazione drammatica. Gli infermieri sono pochi, mal utilizzati e mal retribuiti. Viene messa in dubbio la loro capacità di fare triage senza valutare se siano in messi in condizione di esercitare la professione, questo in assoluto ma all’ombra di questa vicenda nel particolare. Chiediamoci anche come mai non c’era un infermiere flussista e come mai un’attesa così importante.

Proprio negli ultimi mesi si è tanto parlato del perché medici e infermieri non scelgano più di lavorare in Pronto soccorso. Questa sentenza, o meglio il dubbio che non sia una condanna dovuta alla negligenza del singolo, ma che possa essere stato un dramma creato da un insieme di “condizioni”, oggi lo ha pressoché chiunque lavori in quel ruolo. E questa è già una risposta, forse. La domanda che si fanno più spesso quei lavoratori è: ne vale la pena? Questa è una sconfitta del Sistema.

Nessun particolare riconoscimento sociale ed economico per questa responsabilità enorme, che ha anche un aspetto penale che va ben oltre l’abituale. Chi sostiene che negli ultimi anni chiunque abbia esercitato in un Pronto soccorso italiano, alle condizioni lavorative date, non abbia rischiato di commettere un errore anche grave (un errore non dettato da incapacità, pigrizia, incuria, che sono un discorso altro) o non è mai stato in Pronto soccorso o mente

La politica, le istituzioni scelgono o fingono di non vedere le ovvietà. Tra queste, che un professionista va retribuito secondo responsabilità e oneri e chi lavora in triage non lo è affatto. E che la sanità italiana ha un enorme problema di carenza d’infermieri. E che questo in alcuni reparti - e di certo in Ps - lo pagano con la vita i cittadini e i professionisti. In quei casi il carnefice chi è, dunque?

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