La contenzione è un particolare atto sanitario-assistenziale effettuato attraverso mezzi che possono essere fisici, chimici o ambientali utilizzati direttamente sull’individuo o applicati al suo spazio circostante con l'obiettivo di limitarne i movimenti. L’evoluzione culturale che, in tal senso, si sta tentando di portare avanti è di tipo semantico poiché non si parlerà più di contenzione, ma di protezione, temine più vicino al Dna dei professionisti sanitari.
Contenzione fisica: De-finiamola
Il Royal College of Nursing definisce la contenzione come la restrizione intenzionale dei movimenti o del comportamento volontario del soggetto.
Nel 1987 l’omnibus budget reconciliation act (OBRA) - noto anche come legge sulla riforma delle case di cura - ha coniato una prima estensiva definizione del lemma contenzione: metodica manuale o fisica, strumento meccanico, materiale o altra attrezzatura applicata al corpo del paziente o nelle sue vicinanze, che non può essere rimossa facilmente dall’individuo e che ne limita la libertà dei movimenti ovvero la normale accessibilità al proprio corpo.
Qualche anno dopo, (1991) L.K. Evans definisce i mezzi di contenzione fisici e meccanici come quei dispositivi applicati al corpo, o nello spazio circostante la persona, per limitare la libertà dei movimenti volontari.
Infine la Federal Drug Administration designa i suddetti presidi di costrizione come quegli accessori o dispositivi creati per uso medico, adottati al fine di limitare i movimenti del paziente per il tempo necessario a consentire il trattamento, l’esame clinico o la protezione.
Si tratta perciò di mezzi fisici – chimici – ambientali che, in una qualche maniera, limitano la capacità di movimenti volontari dell’individuo (Belloi, 2001).
Queste prime definizioni si limitano però a considerare esclusivamente la variabile materiale: si parla infatti di metodica manuale o fisica, tralasciando quelle che poi diventeranno ulteriori modalità di costrizione nei confronti del malato.
Il termine contenzione nel passato
John Conolly, psichiatra inglese direttore dell’ospedale psichiatrico di Hanwell (Londra), attraverso il sistema “no restraint” nel 1850 permise l’abolizione dei tradizionali mezzi di contenzione. Nel suo libro “The Treatment of the insane without mechanical restraint” (1856)scriveva:
Se si permette che mani e piedi vengano legati, come prassi di ordinaria amministrazione nell’istituto, a discrezione dei sorveglianti, in breve si riscontrerà nel paziente un totale processo di regressione e si darà l’avvio a ogni genere di trascuratezza e tirannia
Ad inizio del ventesimo secolo in Italia, in occasione del primo congresso della Società freniatrica italiana, si ribadì la necessità di escludere tutti i mezzi di contenzionedalla pratica manicomiale: Essi possono – e quindi devono – essere sostituiti dalla sorveglianza continuata di personale idoneo ed in numero sufficiente e dall’impiego di opportuni calmanti.
Alcuni decenni dopo, in occasione della sua prima visita al manicomio di Gorizia, Franco Basaglia afferma: No, io non lo firmo il registro della contenzione. Probabilmente quel no è stata la prima disobbedienza che ha portato alla legge 180 e all’abolizione dei manicomi in Italia (Piero Cipriano, Il manicomio chimico, 2015).
A margine di questa sua affermazione, qualche anno dopo Basaglia, consapevole degli ostacoli che si stavano presentando dopo la chiusura dei manicomi, ridimensiona il suo ottimismo post legge 180: Abbiamo chiuso i manicomi, va bè, ma tanto, fatta la legge, in Italia si trova l’inganno, perché c’è un altro manicomio che è più manicomio di quelli che noialtri siamo riusciti a chiudere che si chiama medicina, che si chiama ospedale.
È pertanto opportuno in questo momento aprire una vecchia questione irrisolta, tipica della psichiatria e della legislazione psichiatrica, nella quale la contenzione viene indicata come una particolare tipologia di limitazione della libertà: quella applicata ad una persona che è (o sta per essere) soggetta a cure sanitarie o assistenziali, al fine di proteggere la persona stessa (o altre) da danni che potrebbero altrimenti derivare da comportamenti indotti dalla malattia (M. Massa, Il nodo della Contenzione, 2015).
La contenzione nel futuro: Protezione
L’evoluzione culturale che, in tal senso, si sta tentando di portare avanti è di tipo semantico, giacché la parola che sarà scritta nei protocolli, procedureed istruzioni operative non sarà più contenzione, ma protezione, temine più vicino al Dna degli operatori sanitari.
Due ultime definizioni “di comodo” ce le fornisce l’avvocato Giandomenico Dodaro, ricercatore di diritto penale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca:
Prevenire, attenuare o bloccare atteggiamenti o comportamenti del paziente, quali irrequietezza, agitazione o aggressività, proteggere presidi terapeutici, permettere la somministrazione di farmaci, prevenire traumatismi da caduta, evitare il vagabondaggio, praticare l’alimentazione forzata di malati che rifiutano attivamente il cibo. È la risposta del servizio a un problema di gestione del paziente, inevitabile non per ragioni oggettive ma per ragioni soggettive interne al singolo servizio, come conseguenza dell’assenza di risorse in grado di offrire una modalità d’intervento differente.
Vi sono infatti luoghi, pratiche ed esperienze, ove l’autonomia delle persone si interseca con la loro vulnerabilità, il bisogno di cura e di sostegno, creando condizioni di asimmetria di potere, di subordinazione, che evocano lo scacco, la sconfitta, la perdita dell’autonomia e della libertà (S. Rossi, “Il Nodo della Contenzione. Diritto, psichiatria e dignità della persona”, AB Edizioni, 2015).
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