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Infermiere di anestesia, tra blocco operatorio e criticità

di Ivan Loddo

Sala Operatoria

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Tra le figure più distinte e maggiormente responsabilizzate del panorama infermieristico italiano, l'infermiere di anestesia gode di un’autonomia e di un livello di preparazione esclusivi.

Infermiere di anestesia

Chi è l'Infermiere di anestesia?

L'infermiere di anestesia svolge il suo lavoro a contatto con diverse figure professionali che vanno dal medico anestesista al tecnico di sala operatoria, passando per l'infermiere di sala e l'infermiere strumentista.

Da eccezionale accumulatore di adrenalina qual è, divide il suo operato nei blocchi operatori tra la camera operatoria e la sala risveglio, dove, in collaborazione con il medico anestesista, è responsabile della gestione del paziente narcotizzato, della conoscenza e del governo dei macchinari di infusione e monitoraggio e della gestione del paziente nell'immediato post-operatorio, sia in condizioni di stabilità clinica che di emergenza-urgenza.

In passato l'infermiere di anestesia era considerato, all'interno delle mura ospedaliere, un ruolo disgiunto da quelli del resto dell'équipe infermieristica di sala operatoria, quasi riservato. Oggi lotta, invece, perché la figura non venga assorbita da quella dell'infermiere di sala e perché non venga coinvolta nei meccanismi di interscambiabilità professionale che piacciono tanto alle aziende sanitarie moderne a causa dei drastici tagli alla sanità.

Se in Italia per questa figura professionale sono anni amari, la situazione subisce un netto capovolgimento di fronte in Svizzera e, soprattutto, negli Stati Uniti, dove i percorsi formativi sono ben distinti dal resto delle specializzazioni infermieristiche, con riconoscimenti economici e condizioni lavorative sorprendenti, che ne fanno - negli USA - il terzo miglior lavoro in sanità e il quarto migliore in assoluto, dimostrando la tragica piccolezza del Bel Paese in tale ambito.

Responsabilità e preparazione dell'infermiere di anestesia

La definizione ufficiale di dolore è stata delineata nel 1979 dall'International Association for the Study of Pain (IASP) che la descrive come “esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”. Gli interventi chirurgici si ricollegano chiaramente ad un'ampia gamma di stimoli dolorosi, ed è su questa base che l'équipe anestesiologica formata dai medici anestesisti rianimatori e dagli infermieri di anestesia svolge il suo lavoro, cercando di gestire l'esperienza dolorosa raggiungendo lo stato di analgesia.

L'infermiere di anestesia svolge il suo ruolo principalmente all'interno del blocco operatorio, sia nella sala operatoria dove vengono effettivamente eseguite le operazioni chirurgiche, sia nella sala risveglio, dove avviene la presa in carico e il monitoraggio del paziente successivamente all'intervento.

La figura dell'infermiere operante nel servizio anestesia rappresenta un professionista sanitario che può lavorare in autonomia, dotato di una raffinata tecnica infermieristica di base alla quale sono associate importanti doti di autocontrollo e gestione delle situazioni di criticità.

La conoscenza dei macchinari, dei presidi utili all'anestesia e degli effetti prodotti dai farmaci, l'impatto delle diverse comorbilità sulla gestione anestesiologica, unite all'acquisizione delle manovre salva-vita devono essere certificate, in modo che il lavoro sia svolto con padronanza e competenza.

La componente umana è essenziale. Seppur tra i pazienti che accedono al blocco operatorio e gli infermieri di anestesia non vi sia lo stretto rapporto che si instaura con gli infermieri delle unità operative, l'educazione sanitaria e il supporto psicologico rimangono dei capisaldi.

Le responsabilità all’interno dell’équipe chirurgica sono diversificate e quelle dell’infermiere di anestesia comprendono:

  • l'accoglienza del paziente in sala operatoria, unitamente all'identificazione e all'individuazione della corrispondente tipologia di intervento;
  • la valutazione infermieristica generale e la verifica delle informazioni utili al momento dell'anestesia e al momento del risveglio;
  • la segnalazione al medico di indicazioni fondamentali quali, ad esempio, variazioni della terapia domiciliare e ospedaliera e la presenza di allergie eventualmente non notificate in sede di valutazione anestesiologica.

Una volta superata questa fase, a seconda dell’intervento chirurgico in questione, l'infermiere di anestesia reperisce uno o più accessi venosi per la somministrazione dei farmaci e l'infusione dei liquidi. Segue il monitoraggio del paziente, la predisposizione dei farmaci e dei presidi utili all'induzione e al mantenimento dell'anestesia.

Per ciò che concerne il monitoraggio è fondamentale che l'infermiere di anestesia abbia una eccellente preparazione in merito alle metodiche, che possono essere invasive o non invasive e che prevedono l'osservazione dei parametri cardio-circolatori, il monitoraggio dell'ossigenazione, della temperatura corporea, della ventilazione e la loro registrazione sulla scheda anestesiologica, in modo che la stabilità emodinamica del paziente, la concentrazione di ossigeno e dei gas medicali siano accertate.

L'operato dell'infermiere si plasma a seconda della tecnica anestesiologica prevista dall'intervento chirurgico, dalle condizioni cliniche del paziente e dalle decisioni in merito dell'anestesista, in condizioni critiche e di stabilità.

La gestione del paziente e il supporto tecnico al medico anestesista avvengono durante il corso di tutte le tre fasi principali del processo di narcotizzazione:

  • la fase di induzione;
  • la fase di mantenimento;
  • la fase di risveglio.

Di primaria importanza è la gestione del dolore post-operatorio, tema estremamente caro al paziente quanto all'équipe anestesiologica.

Non è raro che la collaborazione del personale infermieristico del servizio anestesia venga richiesta in altre unità operative diverse dal blocco operatorio, in caso di necessità di professionisti esperti nella venipuntura e nell'incannulamento dei vasi sanguigni in pazienti con insolite caratteristiche o affetti da determinate patologie.

Infermiere di anestesia: formazione e riconoscimento socio-professionale

Negli ultimi anni si è assistito ad una riduzione drastica del numero di infermieri di anestesia nelle Asl e nelle cliniche private italiane. A causa della spending review una grossa fetta del personale in servizio è stata ridistribuita in altri servizi e unità operative, altri invece hanno dovuto sostenere un processo formativo che li ha portati a specializzarsi anche in altri ambiti.

Avere personale dedicato esclusivamente all'anestesia è più raro. Formare dei professionisti polivalenti può, da un lato, favorire la multidisciplinarità dell'équipe, ma dall'altro priva l'équipe stessa di personale altamente specializzato che fa la differenza nelle situazioni difficili e nella gestione di pazienti critici.

Sostanzialmente alle aziende fa comodo avere personale factotum, in barba ad una riduzione della qualità dei servizi più che evidente. In realtà il ruolo dell'infermiere di anestesia non ha mai avuto un riconoscimento formale, ma la dicitura è presente da sempre nelle check-list e nei registri operatori compilati e firmati dai chirurghi.

In passato considerata una tra le figure infermieristiche d'élite, oggi si appresta a vivere anni difficili seppur la considerazione - soprattutto da parte dei medici anestesisti - e l’effettiva preparazione ne facciano dei professionisti esclusivi.

La formazione degli infermieri di anestesia è un concentrato di tecniche di base evolute ed affinate alle quali si aggiungono importanti conoscenze frutto dello studio approfondito della farmacologia e della fisiologia e l’attitudine alla gestione delle criticità derivata dall'esperienza.

Oggigiorno i Master Universitari per infermieri spuntano come fughi e, si sa, sono un grosso business. Si possono contare più di 20 Università italiane che offrono la possibilità di effettuare un Master in Management e Coordinamento delle Professioni Sanitarie, ma soltanto l'Università degli Studi di Milano-Bicocca offre un Master in Scienze Infermieristiche di Anestesia e Terapia Intensiva; un'offerta formativa troppo scarna per un ruolo che ha bisogno di così tante conoscenze e che cerca un decisivo riscatto professionale.

La realtà statunitense

In tema di anestesia e di infermieristica una menzione speciale la meritano gli Stati Uniti con il loro controverso sistema sanitario. L'infermiere di anestesia statunitense (Certified Registered Nurse Anesthetist – CRNA) gode di un'autonomia a 360 gradi in ambito anestesiologico, favorito dalle leggi americane che vedono nella pratica anestesiologica un atto statale e non di esclusiva pratica medica, scoraggiando così la formazione dei monopoli professionali.

La formazione infermieristica americana in anestesia è sicuramente differente e mirata alla realizzazione di professionisti ultra-specializzati che garantiscano un'assistenza qualitativamente elevata, che non sfigura minimamente al cospetto di quella dei medici.

Utopia? In Italia sicuramente, ma anche in America i medici anestesisti hanno fatto le loro resistenze.

Per diventare infermieri di anestesia negli Stati Uniti, dopo il conseguimento della laurea, è necessario dimostrare una licenza che attesti lo stato lavorativo di infermiere, un anno di esperienza in area critica e l'ottenimento del Master Universitario specifico (accesso a numero chiuso) della durata di 24/36 mesi. La certificazione dell’infermiere in anestesia è poi garantita dall’iscrizione all’American Association of Nurse Anesthetist (AANA).

L'infermiere americano può agire anche in assenza del medico anestesista in quanto la responsabilità si riversa propriamente su chi compie l'atto anestesiologico, a vantaggio dell'autonomia professionale, ma con responsabilità decisamente superiori.

Il fatto che fra le posizioni lavorative degli americani, tra i migliori lavori in assoluto l'infermiere di anestesia si piazzi in quarta posizione, raggiungendo il terzo posto tra i lavori preferibili in sanità e il decimo più remunerato in assoluto, testimonia quanto questo professionista sia fondamentale e di come la conoscenza e la formazione specifica di questa figura possa essere incentivata anche in Italia, dimostrando poco lungimiranti le politiche aziendali locali che optano per la scomparsa del ruolo.

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Commenti (2)

Elvira Pulitano

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1 commenti

No agli infermieri pediatrici in SO

#2

Anche a me sarebbe piaciuto tanto continuare a lavorare in SO, ma con questa qualifica.
Siccome, però, sono un'infermiera pediatrica, allora non posso, perché dovrei limitare il mio operato solo in pediatria.
Così, fuori anche dal blocco operatorio...
Peccato!

chiarastella

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1 commenti

Regioni in Italia

#1

Salve,
sono anni che corteggio questa professione, in alcune regioni non se ne conosce nemmeno l'esistenza e solitamente gli anestesisti che ne sentono parlare storcono il naso (credo, per ignoranza, nella più delicata accezione del termine, ovviamente). Cosa deve fare un infermiere italiano per affermarsi in questo campo? Attualmente conosco solamente una regione - il Trentino Alto Adige - nella quale questa figura operi appieno. Non conosco, tuttavia, i termini contrattuali e l'inquadramento di questi professionisti. Grazie per le eventuali informazioni.
Chiara Stella