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Asepsi, definizione del concetto in sala operatoria

di Luca Cozzolino

Sala Operatoria

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L’asepsi - procedimento finalizzato ad impedire la contaminazione da parte di microrganismi di substrati precedentemente sterilizzati – e un viaggio nella sua storia: dalle prime scoperte in merito risalenti all’epoca di Ippocrate e Galeno, alla definizione moderna del concetto di asepsi correlato in particolar modo alla sala operatoria.

Asepsi, un po' di storia

Asepsi” è un termine che deriva dal greco (α - privativa e σῆψις - putrefazione) ed indica una serie di procedure atte a prevenire l'accesso di microrganismi, patogeni e non, ad un substrato sterile di natura o sterilizzato artificialmente.

I grandi medici dell'antichità, da Ippocrate a Celso e Galeno, pur conoscendo l'infezione come entità patologica non ne conoscevano le cause e quindi non ebbero concezione né della disinfezione né dell'asepsi.

Intuirono che alcune epidemie, che oggi sappiamo infettive, potevano essere evitate allontanando le popolazioni dalle città colpite o isolando i malati e che alcune lesioni come le ferite guarivano meglio se lavate con aceto o vino e bendate con teli puliti, ma non riuscirono a trovare una spiegazione razionale. I tempi non erano ancora maturi.

Florence Nightingale

Il concetto moderno di infezione nacque nel XIX secolo con gli studi di Louis Pasteur, insieme ai quali va ricordata la straordinaria intuizione di Ignaz Philipp Semmelweis, che, avendo disposto che tutti i medici e gli studenti che frequentavano il reparto ostetrico fossero obbligati a lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calcio prima di visitare le partorienti, riuscì ad ottenere un calo drammatico della percentuale di febbri puerperali che le colpiva, decimandole.

Successivamente Joseph Lister, seguendo le teorie di Pasteur, introdusse l'uso dell'acido fenico nel trattamento delle ferite riducendo significativamente l'incidenza della gangrena che le complicava con esiti mortali.

È a questo chirurgo inglese che si deve il termine antisepsi, anche se lo stesso assumerà il suo significato corretto di procedimento atto a ridurre la carica microbica presente in un sito solo con le scoperte di Robert Koch, che qualche anno più tardi riuscirà a scoprire e dimostrare la responsabilità dei microrganismi nelle malattie infettive.

Per arrivare alla asepsi e quindi al concetto di sterilizzazione, si dovrà attendere fino all'introduzione nella pratica ospedaliera dell'autoclave costruita nel 1880 ed utilizzata a questo scopo da Ernest von Bergmann (1896).

Fu proprio alla fine dell'Ottocento che il chirurgo, abituato fino a qualche decennio prima ad operare in condizioni igieniche deplorevoli, iniziò ad utilizzare strutture dedicate esclusivamente alla pratica operatoria e ad indossare indumenti più consoni al suo delicato lavoro.

In pochi anni si diffuse l'uso dei camici, quindi dei cappelli (con Gustave Neuber nel 1883), poi dei guanti (con William Halsted) ed infine delle mascherine (con Johann von Mikulicz), che formando una sorta di barriera tra chirurgo e paziente costituiscono un elemento di protezione in entrambi i sensi.

Perché l'asepsi in sala operatoria

Le azioni chirurgiche privano il paziente di significative barriere contro le infezioni e ledono la superficie cutanea. Ogni volta che l'integrità della pelle viene violata, come avviene in chirurgia, i microrganismi hanno l'immediata opportunità di invadere i tessuti interni e proliferare al loro interno. Ecco che devono essere messe in pratica le procedure per la gestione del rischio infettivo in sala operatoria

In chirurgia, infatti, devono essere seguite specifiche regole. Queste regole si chiamano tecniche asettiche. La tecnica asettica è la base sulla quale si appoggia praticamente ogni attività chirurgica.

Queste regole non sono semplici linee guida, ma vere e proprie leggi della sala operatoria e violarle significa sottoporre i pazienti al pericolo di malattie e/o infezioni.

In aggiunta alle regole dell'asepsi, vengono seguite delle pratiche che assicurino che la sala operatoria sia il più possibile pulita e non patogena. I soggetti sono almeno due: il paziente, che deve essere tutelato e l'operatore, che deve tutelare.

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