Terremoto in centro Italia. L’ultima, forte scossa, in ordine di tempo, è delle 5:10 di questa mattina. Il clima surreale e di terrore che vivono i civili non può trovare spazio tra i professionisti sanitari, che spendono ogni residuo di energia nel tentativo di salvare vite umane. Non può trovare spazio soprattutto in Sala Operatoria, dove calma, concentrazione, mantenimento della compostezza dei movimenti e dell’ordine dei locali, devono risultare parte attiva del lavorare in condizione di estrema emergenza.
L’ambito sala operatoria nel percorso maxiemergenze
Per catastrofe si intende un avvenimento inopinato, di grandi proporzioni, che si realizza improvvisamente e colpisce la collettività umana, provocando danni importanti sia sul piano umano, che materiale.
Evento che configura uno squilibrio acuto tra le risorse disponibili e i bisogni delle persone coinvolte. È un avvenimento che richiede l’attivazione di mezzi di soccorso straordinari.
La macchina dei soccorsi nell’evento catastrofe
Per comprendere come la macchina dei soccorsisi muova nell’ambito maxi-emergenza, citiamo alcuni stralci del DM 13 febbraio 2001, che enuncia i “criteri di massima per i soccorsi sanitari nelle catastrofi”.
Una lettura estremamente importante, in quanto colloca la sala operatoria, all’interno di queste maxi-emergenze, come una parte del tutto, nel più tradizionale “approccio sistemico”, per il quale non è possibile esaminare una fase senza tenerne in considerazione le interazioni, interconnessioni e interrelazioni con il tutto.
Viene male allo stomaco quando nei talk-show si vogliono ricostruire gli eventi, non per comprendere le “condizioni” che hanno condotto alla tragedia - e quindi trarre profitto dalla lezione affinché quanto accaduto non abbia a ripetersi – ma per ricercare a tutti i costi un colpevole ed aumentare lo share della trasmissione.
Un misero tentativo di spiegare un sistema complesso con un semplice algoritmo. Una vergognosa speculazione sulle tragedie.
Ma torniamo a noi.
Sala operatoria e calamità naturali
Una volta fatta una prima diagnosi ad ogni persona corrisponde un percorso terapeutico, che può variare dalla dimissione immediata, all’intervento chirurgico. In caso di catastrofe è naturale che i percorsi di cura risultino differenti da quelli attuabili nella “normalità”, ma devono, comunque, trovare una loro stabilità ed adeguatezza al contesto.
In questi frangenti le risorse umane dei professionisti dedicati e le loro forze sono un bene inestimabile che va protetto in ogni modo. Ma pure le risorse di beni e materiali sanitari devono essere adoperate con grande giudizio professionale. Tutto deve essere preservato per i casi maggiormente urgenti e per tutta la durata dell’emergenza.
Così deve risultare per le procedure chirurgiche. Innanzitutto chi di dovere dovrà garantire la fruibilità dell’ospedale, o degli ospedali, della zona colpita. Ciò vuol dire, per esempio in caso diterremoto, poter essere certi dell’agibilità dell’edificio in questione.
Fatto ciò, ci si deve preoccupare di verificare il censimento delle sale operatorie agibili e quindi richiamare in servizio tutti gli addetti. Se l’evento catastrofico avviene nelle ore diurne, quindi di maggior attività chirurgica, si devono immediatamente sospendere gli interventi programmati portando a conclusione quelli in corso. Dovrà essere attuato il piano d’emergenza che ogni realtà ospedaliera deve aver pronto all’uso.
Una volta compresa la disponibilità di locali e personale si deve eseguire il censimento degli interventi da eseguire in urgenza e classificarne la tipologia, in modo tale da poter collocare ogni procedura chirurgica all’interno di strutture adeguate. Si pensi che le possibili patologie chirurgiche urgenti e non differibili, possono risultare di natura: vascolare, chirurgica, neuro-chirurgica, ostetrica, ortopedica, toracica.
Per questo devono essere individuati poli chirurgici ad hoc. Come già detto, tutto il personale deve essere richiamato in servizio ed essere disponibile a turni di servizio che vanno oltre l’ordinario.
È utile ribadire che in caso di maxi-emergenza deve esser fatto tesoro delle risorse professionali a disposizione, ma pure devono essere chiare le priorità chirurgiche.
La destinazione dei traumatizzati deve essere fatta con criteri assoluti, così pure come assoluta e garantita deve essere la priorità chirurgica individuata e da individuare. Si prendano ad esempio una frattura di femore e un’amputazione parziale di arto. Appare del tutto evidente che la precedenza vada al trattamento della persona che presenta l’amputazione parziale. Primo, perché altrimenti si rischia di metterne in pericolo la vita, secondo perché se esiste una minima possibilità di salvare l’arto, questa viene resa possibile dall’immediatezza dell’intervento. Mentre appare scontato che una frattura da dover ridurre chirurgicamente, può risultare differibile di ore.
Anche le centrali di sterilizzazione devono risultare funzionanti e sicure, in modo tale da garantire la loro massima fruibilità. Ogni azienda produttrice materiale sanitario, nello specifico da sala operatoria, deve adoperarsi affinché gli approvvigionamenti avvengano nel minor tempo possibile. Fatte salve le condizioni di percorribilità stradale e di possibilità di produzione.
Nel caso che le strutture ospedaliere della zona non risultino agibili, si deve allargare il raggio di azione alle zone maggiormente vicine a quelle colpite. Vale, eventualmente, per questi altri ospedali e le loro sale operatorie quanto detto sopra.
Il lavoro del personale, tutto, di sala operatoria, anche in caso di emergenza, deve cercare di garantire elevati standard di sicurezza. Le scorciatoie possono trovare deroga solo in caso di “imminente pericolo di morte”. In tutte le altre condizioni devono essere rispettate le procedure garantenti la sicurezza del Paziente.
La check-list per la sicurezza, ad esempio, deve essere eseguita - a maggior ragione in queste situazioni - quando lo stress e la fatica rischiano di impadronirsi dei professionisti. Lavorare in uno stato di emergenza comporta un tale stato di stress da aumentare a dismisura la quantità di adrenalina in circolo, con il derivato beneficio di uno stato di iper-attivazione, ma pure con il rischio di uno stato di eccessiva concentrazione sullo stato di calamità tale da far dimenticare, o sospendere, i comportamenti atti a garantire la sicurezza.
Se si vuole, un po’ l’effetto “gorilla”. Non è pensabile, per esempio, evitare la “conta” delle garze o del “materiale tutto”, perché si agisce in uno stato di maxi emergenza. Ribadiamo il concetto per cui l’unica deroga concessa è l’urgenza/emergenza di dover provare a salvare una vita.
Alcune condizioni lavorative devono essere garantite pure in circostanze così tragiche. La calma e la concentrazione, unite al mantenimento della compostezza dei movimenti e dell’ordine dei locali, devono risultare parte attiva del lavorare in condizione di estrema emergenza.
Si deve essere in grado di fare consapevolezza situazionale anche nei momenti di maggiore stress emotivo e fisico. Solo in questo modo si possono porre le basi per outcome efficaci anche in momenti così difficili come quelli delle catastrofi.
Solo Professionisti preparati, oltre le sole competenze tecniche, sono in grado di garantire qualità ed efficienza anche in simili frangenti. Mi piace portare ad esempio il comportamento del Pilota dell’Airbus A 320 Sullenberger che il 15 gennaio 2009, ammarando sul fiume Hudson, riuscì a salvare la vita a 155 persone.
Subito dopo la partenza dall’aeroporto LaGuardia, l’Airbus, volo 1549, vide i due motori spegnersi a causa di un impatto con dei grossi uccelli. Nei pochi minuti successivi il comandante “Sully”, insieme al proprio equipaggio dovette decidere il comportamento da attuare in una circostanza che non trovava, sino ad allora, descrizione su alcun manuale.
L’esperienza, unita alla calma e alla concentrazione resero possibile l’ammaraggio sull’Hudson e il salvataggio di tutte le 155 persone a bordo dell’aereo.
Questo è un esempio importante per tutti noi, perché sta a dimostrare che bisogna mantenere i nervi saldi e una grande concentrazione e capacità di fare “consapevolezza situazionale” in tutte le situazioni e condizioni, anche quelle che appaiono come le più disperate.
Per tale motivo ha senso compiere periodicamente esercitazioni simulanti maxiemergenze, specie nelle zone dove certi episodi catastrofici si ripetono nel tempo.
Si prendano ad esempio il centro Italia, per l’attività sismica, o la Liguria per le frequenti alluvioni causate sì dal dissesto idro-geologico, ma pure dalla mano incauta dell’uomo. La simulazione, anche in questi terribili frangenti, ha la propria insostituibile valenza.
Sapere cosa fare, quando farlo e come farlo è una condizione talmente importante da poter spostare i destini di molte persone.
Un ringraziamento ai colleghi
Desidero rivolgermi ai colleghi che veramente hanno vissuto situazioni drammatiche come quelle ultime del terremoto in centro Italia. A tutti loro va la mia più grande stima e gratitudine per quanto fatto.
La mia unica esperienza che neanche si avvicina agli ultimi fatti accaduti, ma per certi versi ne ricalca le emozioni professionali, risale ad alcuni anni fa, durante il G8 di Genova. Allora – ricordo - fummo precettati in ospedale per turni di 24 ore. In quelle giornate ci trovammo a curare parecchi ragazzi che avevano ricevuto manganellate e botte; ciò che non posso dimenticare era il clima surreale che si era impadronito della città.
Chiudo nella speranza che qualche collega, che ha vissuto in prima persona l’ambito sala operatoria in maxi-emergenza, ci voglia raccontare la propria storia.
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