La relazione tecnica trasmessa in Parlamento insieme alla legge di bilancio trasforma in cifre i risultati del confronto tra la Funzione pubblica e il ministero dell’Economia sulle buste paga degli statali: sul tavolo delle trattative, tra vincoli di legge e destinazioni obbligate, restano in pratica 330 milioni, che si tradurrebbero in un aumento medio da poco meno di 10 euro a dipendente.
Statali, 1,1 miliardi ai contratti ma il 70% dei fondi è già bloccato
La legge di bilancio mette sul piatto del prossimo anno 1,1 miliardi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Ma il 70% di questi fondi è già prenotato per vincoli di legge o per destinazioni di fatto obbligate.
Gli 1,1 miliardi, che diventano 1,45 nel 2020 e 1,78 nel 2021, produrrebbero un aumento medio intorno da 33 euro lordi al mese nel primo anno, 41 euro nel secondo e 49 nel terzo. Non sono numeri trascurabili, tanto più che arrivano pochi mesi dopo la firma dei contratti 2016-18. Ma nel passaggio dalla teoria alla pratica intervengono le quote già prenotate.
La prima è rappresentata dai 250 milioni all’anno dell’elemento perequativo, cioè l’aumento temporaneo con cui l’ultima tornata contrattuale ha irrobustito un po’ le buste paga più basse. Questa voce decadrebbe a gennaio, ma un aumento con l’elastico - come fa notare Il Sole24ore - è un problema politico non da poco.
Perché lasciare le cose come stanno significherebbe di fatto sforbiciare gli stipendi più bassi. Altri 310 milioni il primo anno, e 500 dal secondo, servono per finanziare l’indennità di vacanza contrattuale, cioè la voce dovuta per legge ai dipendenti pubblici quando il rinnovo tarda.
Una terza fetta, 210 milioni all’anno, è poi destinata alla specificità di forze di polizia e vigili del fuoco, con il solito meccanismo che incrementa i loro fondi integrativi per compensare le attività operative su strada.
Dopo questa pulizia, per il confronto fra governo e sindacati ai tavoli dell’Aran restano 330 milioni il primo anno, 465 per il 2020 e 815 per il 2021. Cifre che ricordano da vicino quelle stanziate nel 2016 dal governo Renzi dopo che la Corte costituzionale stabilì l’illegittimità del congelamento sine die per i rinnovi contrattuali. In quel caso, i soldi in grado di avviare davvero le trattative arrivarono solo nel 2018, al terzo anno del contratto da rinnovare.
E le condizioni della finanza pubblica suggeriscono anche per questa volta un percorso simile. Il tutto mentre per i 150mila dirigenti pubblici è ancora in stallo la trattativa per il 2016-18 e in particolare per i medici, che sono l’ampia maggioranza degli interessati, le richieste sindacali imporrebbero somme aggiuntive in manovra.
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