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Lavorare come OSS

Oss tra burnout e lavoro gravoso

di Redazione

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Deterioramento dell’impegno emozionale e delle capacità di adattamento dell’individuo. Ecco il fenomeno più comunemente conosciuto col nome di burnout, inizialmente legato al contesto lavorativo, ma che poi può estendersi anche ai rapporti non strettamente legati alla professione, motivo per cui il burnout è stato riconosciuto come patologia a tutti gli effetti.

Oss a rischio burnout

Sono diverse le attività lavorative a rischio burnout, ma il lavoro dell’operatore socio sanitario è tra quelli più a repentaglio. Spesso ci si trova a dover fare i conti con la carenza di personale, i molti pazienti da gestire, la mancanza di tempo.

Avete mai passato il Natale in una struttura, guardando negli occhi e ascoltando il triste silenzio di chi soffre?

O vi siete mai trovati ad ascoltare lo sfogo di una persona alla quale è stata sentenziata una diagnosi infausta? O peggio ancora avete mai dovuto gestire il decesso di un paziente? Dinamiche uniche in ogni loro manifestazione e nuove ogni volta per l’operatore socio sanitario.

L’Oss oggi è la figura spesso più vicina alla persona assistita e per questo deve sapersi guadagnare la fiducia e del paziente e dell’équipe con cui lavora. L’Oss si pone in una situazione di ascolto incondizionato, oltre a rispondere ai bisogni base della persona assistita al fine di aiutarlo nelle sue Adl, Activities of daily living. Dopo un paio di anni, il mal di schiena è assicurato. Senza considerare la fatica psicologica, con l’unico riconoscimento di essere taggato come “personale di supporto”. Con a monte, questo non lo dimentichiamo, il poco chiaro confine di responsabilità tra lui e gli altri professionisti.

Per questo c’è bisogno di formazione equa a livello nazionale e formazione specifica in base all’ambito nel quale l’operatore socio sanitario andrà a lavorare. E forse più che un lavoro gravoso dovrebbe essere considerato un vero e proprio lavoro usurante.

Luca Gusperti, operatore socio sanitario

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