Testimonianze OSS
All’inizio di questa pandemia non si faceva altro che parlare di quanto rischioso sarebbe stato questo virus se contratto da persone anziane, magari con un quadro clinico già delicato a causa di altre patologie preesistenti. I dati statistici mondiali rispetto al COVID-19 ci parlano ancora oggi di un tasso di letalità situato al 21,9% per i soggetti sopra gli ottant’anni. Ciò significa che su una struttura ospitante 100 anziani - dove spesso la media di età è proprio sopra gli ottanta - ad esempio, 21 rischierebbero di morire, senza contare quelli che potrebbero versare in gravi condizioni a causa di complicanze respiratorie. Il condizionale purtroppo, per molte strutture non vale più perché questi dati sono realtà, realtà persino sottostimate.
Covid-19, alle residenze per anziani si è pensato troppo tardi
Tutti, quindi, sapevano che se il focolaio avesse mai interessato le case residenze per anziani avrebbe rischiato di creare enormi danni, incapaci di essere realmente calcolati per la mancanza di tamponi per tutti.
Tutti potevano presupporre che le case protette mai avrebbero potuto competere con l’organizzazione degli ospedali, capaci di creare reparti appositi e in grado di accedere più velocemente alla disponibilità di dispostivi di protezione individuale adeguati per tutelare gli operatori sanitari.
La realtà, però, è che alle residenze per anziani - e non solo in Emilia-Romagna, visti i danni evidenti verificatisi in Lombardia - si è pensato a nostro modesto parere troppo tardi. Ci si inizia a pensare ora, anzi, apprendendo dai giornali che i NAS sono in circolazione per verificare le circostanze interne alle strutture che poi, detta così, suona pure male perché fa pensare ad eventuali colpe o responsabilità dirette o comunque circoscritte alle case protette.
La sola “colpa” primordiale delle case protette, a nostro avviso, è quella di non essere abituate, attrezzate e formate per sostenere un simile e grave stato di emergenza come quello presentatosi con la pandemia di SARS-CoV-2.
Come è ormai appurato, i focolai dilagano, gli anziani si ammalano in percentuali davvero preoccupanti, il numero statistico dei morti cresce senza che nessuno riesca a provare, ma nemmeno a negare, che siano morti da COVID.
Il dato più allarmante riguarda quello degli operatori sanitari che si ammalano nelle case protette e che cadono come birilli uno dopo l’altro, giorno dopo giorno
E non stiamo qui parlando di un semplice raffreddore che passa in tre giorni: stiamo parlando di qualcosa di lungo, anche per i tempi diagnostici che devono definire un dato di negatività certo dopo il trascorso della malattia prima di poter rientrare al lavoro. I reparti sono dimezzati del personale e l’assistenza agli ospiti, per crudele logica conseguenza tende inevitabilmente a scarseggiare.
Tutto deve essere ridimensionato: ruoli, mansioni, programmi, tempi e priorità. La domanda però è: per quanto si potrà andare avanti così nelle strutture per anziani senza che il rischio non sia quello di compromettere non solo la salute di tutti gli operatori, ma anche, sempre per crudele logica conseguenza, quella di tutti gli anziani alcuni dei quali già eventualmente compromessi dall’infezione o più in generale dai fattori di rischio che da essa ne conseguono? Quanto potrà reggere tutto questo?
Nondimeno è necessario porre l’attenzione sull’aspetto più umano che caratterizza il lavoro degli operatori all’interno delle case di riposo in questo preciso e difficoltoso momento: il rapporto empatico forte nella relazione ospite-professionista sanitario si carica di intensità emotiva e di sofferenza, a cui tutti gli operatori sono inevitabilmente sottoposti.
È una situazione professionalmente ed umanamente insostenibile e sappiamo bene che uno dei motivi per il quale le case protette non sarebbero mai state adeguatamente pronte per far fronte all’emergenza è che le stesse non possono disporre di un assetto riorganizzativo di cui invece gli ospedali possono più facilmente disporre per plurime ragioni (spazi, disposizione del personale, risorse, strumenti e via discorrendo).
Prima che catastrofi silenziose e oramai, per fortuna, persino poco silenziose continuino a succedersi, crediamo sia giunto, seppur in clamoroso ritardo, il momento che qualcuno dall’alto delle autorità politiche, sanitarie ed amministrative competenti prenda in mano seriamente la situazione cercando di trovare soluzioni, soluzioni che mirino anzitutto all’invio immediato di rinforzi per garantire una degna assistenza a tutti gli ospiti che risiedono nelle strutture.
Non lasciate sole le case protette. Perché, altrimenti, alla fine di tutto qualcuno dovrà dare conto di quanto sarà accaduto e di quanto si sarebbe potuto far sì che non accadesse intervenendo prima e non lasciando scoperto il fianco più fragile e più a rischio della nostra società.
Articolo a cura di:
- Cristiano Lugli, Operatore Socio-Sanitario
- Francesca Bertolini, Fisioterapista
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?