Responsabilità Professionale
Una caduta è definita come il raggiungere involontariamente con il corpo il pavimento o un’altra superficie a livello inferiore rispetto alla posizione eretta senza alcun intervento di una forza esterna
. Le cadute rientrano tra gli eventi avversi più frequenti nelle strutture sanitarie e possono determinare conseguenze immediate e tardive anche gravi fino a condurre, in alcuni casi, alla morte del paziente.
Se il paziente cade, di chi è la responsabilità?
La raccomandazione ministeriale n. 13 del 2011 per la “Prevenzione e la gestione della caduta del paziente nelle strutture sanitarie” stima che circa il 14% delle cadute in ospedale sia classificabile come accidentale, ovvero possa essere determinato da fattori ambientali (es. scivolamento sul pavimento bagnato), l’8% come imprevedibile, considerate le condizioni fisiche del paziente (per esempio un improvviso disturbo dell’equilibrio), e il 78% rientri tra le cadute prevedibili per fattori di rischio identificabili della persona (è il caso di un paziente disorientato o con difficoltà nella deambulazione).
Si evidenzia dunque come gran parte dei casi di caduta possa essere prevenuto e, dunque, evitato. L’individuazione del profilo di responsabilità dei sanitari a seguito di questo evento avverso è molto discusso sia in letteratura sanitaria che in letteratura giuridica.
Il riconoscimento della responsabilità non è cosa semplice, in quanto tutti i sanitari, in base al loro profilo di competenze, possono essere ritenuti responsabili della caduta di un paziente; a complicare questo processo vi è anche la singolarità di ciascun caso, che spesso è difficile generalizzare e che quindi deve essere esaminato singolarmente.
Provando a ricercare un filo conduttore, da un punto di vista giuridico, in caso di caduta di un paziente è necessario individuare l’operatore la cui condotta attiva o omissiva abbia causato l’evento. In merito, mentre è facile individuare le responsabilità nel caso in cui cada un paziente che non è in condizioni di deambulare autonomamente mentre viene trasportato su una barella, carrozzina o comunque mentre è aiutato a spostarsi dal personale sanitario, meno immediato è individuare il soggetto responsabile nei casi in cui i pazienti si procurino lesioni da caduta in assenza di personale sanitario nelle loro immediate vicinanze, poiché in questo caso può sussistere una responsabilità colposa dell’operatore di tipo omissivo determinata dalla mancanza vigilanza del paziente.
In questo caso, di chi è la responsabilità della vigilanza dei pazienti? Dell’infermiere? Dell’Oss? Del medico? Della struttura?
In letteratura non esiste una risposta univoca, ma leggendo diverse sentenze della Corte di Cassazione (che ricordiamo essere fonte di diritto e quindi legislazione a tutti gli effetti) si può affermare come ciascuna di queste figure possa essere individuata come co-responsabile della caduta di un paziente non sorvegliato.
Nel caso in cui si dimostri una inadeguata manutenzione dell’area della struttura sanitaria, ad esempio, la responsabilità oggettiva ricade sul proprietario del bene, ovvero la struttura stessa (Cass. n. 6515 del 2 aprile 2004).
Per quanto attinente al personale sanitario, la tipologia rilevante di casi comprende i pazienti che per le loro condizioni di salute necessitano di essere contenuti e/o controllati al fine di evitare che si procurino lesioni.
Se la prescrizione di contenzioni fisiche e farmacologiche è compito medico, la responsabilità dell’operatore si configura spesso per la sua condotta omissiva, ovvero determinata dalla mancanza vigilanza del paziente. Per quanto concerne le contenzioni, ricordiamo però come l’infermiere debba operarsi “affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali” (Art. 30 Codice Deontologico). Se dunque un paziente risulti essere fortemente a rischio di caduta e vi siano le valutazioni assistenziali sufficienti per rendere necessario l’utilizzo di manovre contenitive anche senza la prescrizione medica, il non mettere in atto queste misure potrebbe configurare una responsabilità omissiva. Va tenuto altresì conto, in questo caso, di quanto normato dall’art. 54 c.p., il quale afferma che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo
. Si agisce, in questo caso, per “stato di necessità”.
Questo in quanto una corretta e dimostrabile pianificazione di suddette attività permette di individuare i fattori di rischio di caduta e di mettere in atto interventi preventivi volti a tutelare sia i pazienti che il personale sanitario e la struttura stessa che, nel caso in cui abbiano messo in atto tutti i comportamenti che erano a loro disposizione, difficilmente potranno essere responsabili degli esiti di una caduta che, in questo caso, rientrerebbe tra gli eventi accidentali e quindi non preventivabili.
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paola.capuano
1 commenti
Scala di Conley: siamo sicuri?
#5
In realtà, secondo studi recenti*, anche se la scala di Conley è uno degli strumenti di valutazione più usati, ha una sensibilità del 69% e una specificità del 41% nell'individuazione dei pazienti a rischio di caduta. Inoltre è stato messo in evidenza come il riscontro di un paziente non a rischio secondo la scala di Conley, potrebbe provocare un abbassamento dei livelli di attenzione nei suoi confronti. Si raccomanda, invece, di procedere a una valutazione individualizzata sul paziente
basata su guide o schede di orientamento al processo di assessment che si integri con un piano di interventi preventivi.
*Falls, Assessment and prevention of falls in older people. NICE Clinical Guideline 161 (2013).