Responsabilità Professionale
Presto, almeno si spera, ci troveremo a “leccarci le ferite”, a fare la conta dei danni di questa pandemia Covid-19 che ha colpito duramente le nostre vite e, non da meno, ha lesionato gravemente il Servizio Sanitario Nazionale. Nella fase emergenziale, così come in una vera e propria guerra, ci si è trovati di fronte a delle scelte obbligate, si è stati costretti a prendere delle decisioni drastiche: decidere chi intubare e chi no – chi trattare e chi no. L’avvocato Maurizio Hazan, esperto in diritto delle assicurazioni private e della responsabilità civile, ha definito tale situazione “Stato di Necessità organizzativa e clinica”. Proprio in virtù di tale sua affermazione abbiamo deciso di intervistarlo, poiché abbiamo il sentore che finita l’emergenza qualcuno comincerà a denunciare le strutture sanitarie (ivi compresi i professionisti che vi lavorano) per responsabilità professionale.
Covid-19 e responsabilità professionale, oltre al danno si rischia la beffa
Nella gestione dell’emergenza coronavirus in alcune fasi di cura molti pazienti (solo in seguito si è scoperto che erano positivi al Coronavirus) hanno seguito dei percorsi condivisi con molti altri utenti, giunti nelle strutture per ben altre necessità.
È chiaro che in quelle fasi concitate anche le priorità assistenziali, di sicurezza e qualità delle cure, nei confronti di alcuni malati, sono venute meno:
- Molti operatori sanitari sono stati trasferiti nei neonati reparti COVID, senza avere le necessarie competenze, né tantomeno i necessari dispositivi di protezione individuale.
- Le stesse strutture sanitarie hanno riconvertito unità operative se non addirittura vecchi ospedali, abbandonati da anni; il tutto velocizzando le operazioni di igiene ambientale e di manutenzione dei presidi sanitari
L’avvocato del Foro di Milano Maurizio Hazan, fondatore e managing partner dello Studio Legale Associato Taurini e Hazan, esperto in diritto delle assicurazioni private e della responsabilità civile, ha definito tale situazione “Stato di Necessità organizzativa e clinica”.
Proprio in virtù di tale sua affermazione abbiamo deciso di intervistarlo, poiché abbiamo il sentore che finita l’emergenza qualcuno comincerà a denunciare le strutture sanitarie (ivi compresi i professionisti che vi lavorano) per responsabilità professionale.
Avvocato, ad oggi quali sono le sue sensazioni rispetto al futuro “giuridico” che ci aspetta?
Il Vostro sentore trova, purtroppo, precisi riscontri già ora e ben prima della fine dell’emergenza.
L’industria del sinistro e del risarcimento si sta già organizzando ed indice campagne mediatiche tese a promettere danari a chi, all’interno di una struttura ospedaliera, sia stato vittima del Covid per asseriti errori od omissioni riconducibili a difetti nella gestione del rischio clinico o di protocolli di cura.
Il terreno sembrerebbe fertile, in un contesto in cui le buone regole di organizzazione dei presidi sanitari sono state sconvolte dalla necessità di far fronte ad un’urgenza catastrofale, con risorse e mezzi limitati rispetto alla gravità della situazione.
Lo stato di allarme ed urgenza ha, ad esempio, portato ad applicare medici ed operatori su attività talvolta molto distanti dal loro livello di esperienza e di specializzazione.
E la difficoltà di padroneggiare una pandemia che ancora non ha rivelato tutte le proprie coordinate ha costretto il settore a rimodulare in continuazione, e di pari passo con l’aumentare esponenziale dei casi, i propri percorsi di presa in carico dei pazienti all’interno delle strutture.
Chi volesse provare ad imbastire contenziosi avrebbe dunque più di un pertugio all’interno del quale provare ad inserirsi. Con esiti, però, niente affatto certi, anzi. L’intempestività di tali iniziative pare sotto gli occhi di tutti.
Attaccare chi ci difende, rompendo quel che rimane di una già precaria alleanza terapeutica, mi pare un esercizio oggi più che mai deplorevole e perdente. Al di fuori di casi di macroscopica sciatteria, infatti, ritengo che il concetto stesso di emergenza, mai come adesso invocabile, consenta di per sé di applicare alle professioni sanitarie regole di responsabilità decisamente circoscritte, in perfetta connessione con le limitazioni previste dall’art. 2236 c.c. per i casi di particolare difficoltà: e l’emergenza di questi tempi rende francamente difficili anche le cose normalmente facili.
Lei ribadisce con forza la necessità di creare una norma che “metta in sicurezza” gli operatori sanitari e le ASL. A tal riguardo quale potrebbe essere il giusto contenuto di tale integrazione legislativa?
Sì. Per quanto ritenga che in questa situazione una applicazione ponderata della normativa esistente possa in qualche modo già bastare a difendere la categoria degli operatori sanitari (sostenuti da un apprezzamento collettivo finalmente allineato alla loro straordinaria funzione sociale), reputo comunque fondamentale mettere in radice un più netto barrage ad iniziative speculative.
E comunque mettere un freno serio a contenziosi di “med mal” che finirebbero per alimentare, negli operatori, istinti difensivi e tendenze ad astenersi del tutto antinomiche allo straordinario sforzo che è loro richiesto in questa situazione di emergenza.
D’altra parte, quand’anche si disponesse di strumenti per vincerle, il fatto stesso di dover fronteggiare una serie potenzialmente nutrita di nuove cause per Covid pare un pericolo da dover scongiurare, nei limiti del possibile, se non altro per evitare i costi umani ed economici da impiegarsi per imbastire le difese in giudizio.
Immagino dunque una norma che, senza deresponsabilizzare i casi di macroscopica rilevanza, rilegga l’esimente della colpa grave al filtro della recente emergenza e delle straordinarie difficoltà, tecniche e logistiche, in cui tutto il settore si è trovato ad operare.
La professione infermieristica in passato ha sdoganato il concetto di missione; tuttavia in queste settimane di nuovo stanno definendo gli infermieri dei missionari. Allo stesso modo lei, in un suo recente articolo, parla di missione ma la lega al concetto di responsabilità: “una responsabilità intesa come missione e non come rimedio”. Cosa intende?
Il concetto di responsabilità può essere letto in modi diversi. Da un lato, in chiave patologica e inquisitoria, tipica di una certa blame culture il cui scopo principale è trovare un colpevole sul quale riversare un dato carico risarcitorio.
Dall’altro in chiave positiva e nobile, valorizzando l’impegno ad assumersi responsabilmente oneri ed onori di una professione che, specie in sanità, si fonda o si dovrebbe fondare, anzitutto, su una vocazione personale alla cura ed all’assistenza. È questo il punto: ribaltare i paradigmi negativi e passare dall’idea accusatoria di una responsabilità sanitaria (quale rimedio patologico) a quella solidale di una sanità responsabile (come missione da proteggere).
Si aspetta davvero che qualcuno si permetterà di accusare le varie aziende sanitarie?
Sì. Sta già accadendo. E nei futuri potenziali scenari di crisi economica la caccia al colpevole – speriamo di no – potrebbe per qualcuno diventare una fonte di sostegno indiretta.
E non vorrei vedere il giorno in cui eredi di vittime di Covid possano arrivare a chiedere, paradossalmente, i danni agli eredi di operatori sanitari deceduti “sul campo”.
Quali sono ad oggi i consigli (sempre da un punto di vista giuridico-preventivo) che si sente di dare agli operatori sanitari impegnati sul fronte?
Non sta a me dare consigli. Piuttosto occorre ringraziare chi oggi mette in gioco la propria vita per il bene comune. Ovviamente tutte le difficoltà che il sistema ed i singoli incontrano, per quanto note agli addetti ai lavori, dovrebbero essere mappate per rendere domani evidenti gli sforzi messi in campo per provare a far fronte ad una situazione di disorientamento indotta dalla più grave, e meno controllabile, emergenza sanitaria della storia moderna.
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Mantonietta
1 commenti
Responsabilità professionale
#1
Come sempre un bellissimo articolo.
Grazie