Responsabilità Professionale
Immediato presunto beneficio per il cliente, che ottiene la prestazione di cui ha bisogno ad un prezzo inferiore e godimento dell’intera somma intascata per l’infermiere. Queste le condizioni che innescano il lavoro in nero anche di esponenti della professione infermieristica, i quali non si rendono conto dell’impatto dequalificante che il fenomeno del lavoro sommerso implica a livello professionale.
Infermieri tra incarichi extra e lavoro in nero: Un fenomeno in aumento
L’attività infermieristica è divenuta sempre più flessibile nel suo svolgimento in risposta alle mutevoli esigenze del mercato moderno e nel giro di un ventennio abbiamo assistito ad un’evoluzione tempo fa impensabile in ambito libero professionale.
Inoltre dal “sacrosanto posto fisso” si sono succedute varie forme di surrogazione contrattuale che oggigiorno hanno prodotto un esercito di infermieri cristallizzati in una sorta di ibridazione tra il lavoro subordinato e quello autonomo. E inevitabilmente il professionista viene a misurarsi con le esigenze del sistema tributario, che attualmente richiede una sempre maggiore attenzione da parte del lavoratore-contribuente.
La realtà di coloro che operano in regime di prestazioni autonome prevede la creazione di una posizione tributaria e previdenziale gestita dallo stesso lavoratore con l’ausilio di un consulente commercialista; ovviamente tali soggetti essendo maggiormente avvezzi alla tenuta di movimenti contabili in entrata e in uscita, ed essendo dotati degli strumenti idonei alla certificazione dei compensi lavorativi percepiti, difficilmente potranno cadere in inconsapevoli prestazioni da lavoro nero.
Il discorso diviene maggiormente delicato per i professionisti infermieri operanti in regime di lavoro dipendente, i quali ricevono le loro spettanze al netto degli oneri fiscali e previdenziali direttamente dal datore principale e agiscono in una posizione refrattaria ai doveri contabili derivanti dal lavoro autonomo.
Il classico esempio riguarda gli infermieri dipendenti di strutture private che anche solo occasionalmente intraprendono attività collaterali in collaborazione con soggetti diversi dal datore principale (altre strutture, laboratori, ecc.) o addirittura motu proprio (iniezioni o assistenza a domicilio) su richiesta di singoli privati.
Nel primo caso la retribuzione spettante verrà corrisposta tramite emissione di ritenuta d’acconto alla fonte; seppure poche le operazioni da eseguire in seguito, esse risultano essenziali per evitare che le prestazioni svolte cadano nel lavoro nero: presentare la ritenuta nella dichiarazione dei redditi (mod.730, unico) e informare l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica - Enpapi (in presenza di contribuzione all’INPS da lavoro dipendente, le quote dovute a titolo di lavoro autonomo verranno versate nella gestione separata di questo ente).
Nel secondo caso invece il professionista cadrà sicuramente nel nero, non essendo in grado di certificare il compenso della prestazione.
Ciò premesso, va sottolineato che nonostante il numero crescente di infermieri attivi nel mercato del lavoro in forma autonoma o semi (basti pensare alle cosiddette assunzioni con partita iva) la realtà del sommerso stenta a diminuire: una ricerca dell’istituto Censis relativa all’anno 2015 rivela che degli italiani i quali hanno usufruito di prestazioni infermieristiche a pagamento, ben il 54% ha corrisposto il compenso in nero.
Nel successivo 2016 la percentuale scende di poco al di sotto del 50%, ma il dato non deve ingannare in quanto è sensibilmente aumentato il numero di cittadini che si sono dovuti rivolgere a soggetti privati (anche non professionisti!) per assicurarsi prestazioni assistenziali; dato per il quale si deduce un aumento dell’indotto del lavoro sommerso.
Le ragioni del fenomeno sono di certo facilmente riconducibili all’immediato presunto beneficio che il cliente, quanto il prestatore, trae dal regolare il pagamento in nero: prezzo decisamente inferiore per l’uno, godimento dell’intera somma intascata per l’altro.
Ma un’analisi meglio approfondita rivelerebbe che le problematiche vanno al di là del semplice format culturale fotografato: vanno tenuti in considerazione il sensibile calo del potere d’acquisto generalizzatosi nell’ultimo decennio, il depotenziamento del tessuto assistenziale pubblico avvenuto in numerose realtà del nostro Paese, la concorrenza al ribasso ormai dilagante in ogni settore economico.
Inoltre l’essenza stessa di alcune prestazioni erogate incita committente e professionista a evitare di rispettare la legalità: per la somministrazione di terapie iniettive intramuscolari, endovenose, medicazioni, in singola erogazione o in cicli, la ‘velocità’ della pratica prestata porta alla corresponsione senza fatturazione per ragioni di convenienza pratica sia in capo al cliente che al professionista e paradossalmente è proprio in questa area che si concretizza la maggior parte del sommerso.
Una precisa campagna di informazione è stata intrapresa dal Collegio Ipasvi e un atteggiamento di lotta posto in essere dall’Enpapi (da qualche anno anche le prestazioni occasionali devono essere dichiarate all’ente ai fini dell’individuazione dell’imponibile previdenziale) per indurre i professionisti infermieri all’autoresponsabilizzazione in materia.
Consapevole di quanto sia fondamentale un programma di revisione di ampio respiro dell’intero sistema assistenziale territoriale (in cui il primo passo sarebbe di istituzionalizzare la figura dell’infermiere di famiglia) e lungi dal voler intraprendere disquisizioni assiologiche, chi scrive si permette di sottoporre al lettore quanto meno l’impatto dequalificante che il fenomeno del lavoro sommerso implica a livello professionale, nonché il vizioso contribuire alle dinamiche di depauperamento del bilancio statale.
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