Oramai quasi quotidianamente ci ritroviamo a commentare violenze nei confronti degli operatori sanitari, maggiormente in quelli operanti nei contesti di emergenza-urgenza. Da più parti vengono proposte soluzioni, strategie di prevenzione, forme alternative di accoglienza e, non da meno, atteggiamenti fisici ed ambientali funzionali alla riduzione o eliminazione del fenomeno. Eppure, la soluzione primaria deve provenire obbligatoriamente proprio dal datore di lavoro.
Infermiere aggredito, Cassazione: datore di lavoro doveva proteggerlo
È quanto riporta la sentenza della Corte di Cassazione n. 14566, anno 2017. A dirla tutta la sentenza in questione non fa altro che applicare quanto disposto dall’articolo 2087 del codice civile:
Ricostruzione dei fatti
Veniamo ai fatti: il giorno 8 agosto 2012 un infermiere veniva aggredito mentre prestava servizio presso il Pronto soccorso di un’azienda sanitaria; in virtù di tale evento lo stesso operatore sanitario chiedeva al Tribunale la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico, morale, professionale e patrimoniale.
Contrariamente a quanto ipotizzabile ed immaginabile, il giudizio di primo grado ed il conseguente parere della Corte d’Appello (visto che l’infermiere aveva fatto ricorso) non riconosce al datore di lavoro la piena responsabilità contrattuale verso il proprio prestatore d’opera:
Il ricorso in Cassazione
In virtù di tale decisione, palesemente contraria alle disposizioni in tema di sicurezza, rinvenibili anche nel testo unico 81/2008, l’infermiere ricorre in Cassazione, affermando che:
Il sopra citato riferimento al testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro è chiaramente voluto, visto che proprio all’interno di tale decreto legislativo risulta fondamentale ed obbligatoria, per il datore di lavoro, la valutazione del rischio realizzabile attraverso la composizione del DVR, documento all’interno del quale devono essere ben specificati tutti i potenziali rischi per i quali le norme impongono la sorveglianza sanitaria; in particolar modo, riferendoci al rischio biologico (dal dipendente denunciato), l’articolo da considerare è il n. 279 del T.U. 81/2008.
Il focus della decisione della Corte di Cassazione si è concentrato proprio sulla disamina finora descritta: le conclusioni del primo e secondo grado di giudizio tendevano a consegnare l’onere della prova al dipendente, il quale aveva quindi l’obbligo di provare il danno subito. In realtà ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo del lavoro di un proprio dipendente si parla di responsabilità contrattuale.
Viene in rilievo la mancata o inesatta esecuzione di una prestazione dovuta, in favore di un altro soggetto, in forza di un rapporto contrattuale intercorso tra le parti.
A garanzia di tale decisione è utile citare l’articolo 1218 del codice civile, il quale cita testualmente:
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