Uragano Covid quasi terminato, cosa resterà ora?
Non voglio dimenticare perché tutto questo mi ha insegnato tanto
Siamo stati considerati eroi per qualche mese per poi essere considerati assassini e complici di una pandemia, a detta di qualcuno mai esistita. Non mi sono mai sentita un eroe e di certo non mi sento un’assassina . Sento di aver fatto il mio lavoro al meglio delle mie possibilità. Io, come tutti i miei colleghi impegnati ancora oggi sul campo.
Abbiamo agito sulla base delle nozioni scientifiche di cui eravamo in possesso. Abbiamo agito continuando ad aggiornare il nostro sapere per poter fare sempre meglio. Abbiamo dovuto fronteggiare un qualcosa per cui non eravamo preparati e su cui non sapevamo agire. Era come andare in guerra senza armi e senza sapere come procurarsele .
Siamo professionisti e lo siamo sempre stati al di là del Covid e come tali agiamo. Non voglio giudicare ma voglio solo raccontare. Voglio raccontare questi mesi. Voglio raccontare cosa di questi mesi mi resterà.
Mi resterà il ricordo delle mani perennemente secche e con quel tipico odore di Amuchina. Il naso rosso dovuto all’uso prolungato della mascherina. Mi rimarrà la capacità di riconoscere i colleghi dalla camminata e non dal viso, perché con indosso mascherina, camice e visiera è alquanto difficile.
Mi resterà il ricordo della sete e della fame provate durante le ore di lavoro in cui era impossibile spogliarci da quel camice perché non c’era tempo. Mi resterà indubbiamente il ricordo di tutte le persone che sono passate sotto la nostra premurosa assistenza e che non sono mai tornate dai loro cari.
Mi resterà quella particolare collaborazione con i medici mai avuta prima . Mi resteranno nel cuore tutti i colleghi nuovi e vecchi con cui ogni giorno, fianco a fianco, ho lavorato. Resteranno le mie lacrime versate , tante, in preda all’ansia, all’impotenza e alla debolezza di alcuni attimi di sconforto.
Chi non crede a queste parole avrebbe dovuto vivere quello che abbiamo vissuto in quei momenti a tratti interminabili.
Avreste dovuto vedere i nostri occhi pieni di lacrime mentre si preparavano alcuni farmaci. Avreste dovuto vedere le nostre facce prima di dire addio ad un nostro assistito. Avreste dovuto essere presenti alle chiamate con i parenti nel comunicare che non potevamo fare più nulla. Avreste dovuto vedere la sofferenza dei pazienti in preda ad una crisi respiratoria
Di questo periodo così difficile mi resteranno nel cuore anche alcuni aspetti meno drammatici. Mi resterà il ricordo di una città solidale che ci ha fatto recapitare regali, lettere, striscioni e pizze mostrandoci tutto il sostegno di cui avevamo bisogno. Senza sapere di chi fossero le mani di quei gesti ci sentivamo vicini a loro e percepivamo tutta la loro solidarietà. Inutile dire quanto ci facesse bene durante il nostro duro lavoro .
Mi resteranno i tanti sorrisi dei pazienti che pronti ad andare a casa mostravano tutta la loro gratitudine per quello che avevamo fatto per loro. Mi restano i ringraziamenti dei parenti arrivati tramite lettere e messaggi anche quando non tutto andava come ci aspettavamo. Mi resterà quella voglia non ancora soddisfatta di abbracciare le persone a me care, di potermi avvicinare a loro senza indossare una mascherina e di poter mangiare al loro tavolo senza la paura di contagiarli .
Resterà impressa nella mia memoria quella particolare riconoscenza e gratitudine dimostrata da tante persone che prima che succedesse tutto questo consideravano noi infermieri e operatori sanitari come dei meri esecutori di prescrizioni.
Questo coronavirus ha lasciato tanto a tutti noi . La speranza è che le negatività possano diventare presto un brutto ricordo per lasciare spazio solo a ciò che di bello e prezioso ci ha fatto capire per poterne fare tesoro. Vogliamo tutti dimenticare, lasciarci tutto alle spalle e ripartire. Anzi no, io non voglio dimenticare.
Non voglio dimenticare perché tutto questo mi ha insegnato tanto dal punto di vista professionale e umano. Mi ha fatto vedere quali amici sono davvero amici nonostante la lontananza, quali persone mi stimano per quello che faccio, quali sono i colleghi di cui potersi fidare, i medici che comprendono il nostro lavoro e quali invece si sentono superiori e ho imparato ad apprezzare ancora di più i momenti passati con la mia famiglia.
In quei momenti stando vicino alle persone malate e in solitudine ho imparato il vero amore. Ho imparato a stare vicino ai malati come mai prima d’ora nonostante fossi per loro una perfetta sconosciuta. Ho subìto, pianto, mi sono emozionata e ho imparato e tutto questo non lo voglio dimenticare .
Non mi dimenticherò di tutte le storie dei miei pazienti. I loro occhi pieni di gioia, sorrisi smagliati e voglia di un abbraccio alla comunicazione della negatività. Però mi ricorderò anche le lacrime e lo sconforto alla conferma della positività. Desolazione, solitudine e profonda preoccupazione negli occhi delle persone che si trovavano ad affrontare la malattia.
Tutti noi non potremo mai dimenticare l’immagine dei carri dei militari colmi di bare, chiuse, anonime, una uguale all’altra. Dentro quei carri io non posso far altro che vedere i volti di tutte le persone che giorno dopo giorno ho visto morire sotto i miei occhi colmi di lacrime e le mie mani impotenti. Non lo posso dimenticare perché ora loro fanno parte di me. Fanno parte della mia storia professionale, ma in modo ancora più indelebile fanno parte di me come persona e come infermiera, fiera del lavoro che con passione ho scelto di fare.
Ilaria Frigerio – Infermiera
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