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malattie infettive

Tifo o febbre tifoide

di Ilaria Campagna

Il tifo (o febbre tifoide) è una malattia infettiva sistemica causata dal batterio Salmonella Typhi. In occidente il tifo è piuttosto raro e in genere è presente solo se importato da paesi in cui la malattia è endemica; tra questi, alcuni stati dell’Asia, dell'Africa e dell’America Latina. Il periodo di incubazione della S. Typhi è di circa 1-3 settimane, anche se può variare da 3 giorni a 3 mesi. La trasmissione della febbre tifoide avviene - in presenza di scarse condizioni igienico-sanitarie - da persona a persona per via oro-fecale o attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati. I sintomi di solito compaiono 2-4 settimane dopo aver contratto la malattia e si sviluppano in modo ingravescente. Tra i principali, ci sono febbre alta (39-40°C), malessere generale, cefalea, dolori addominali, stipsi o diarrea, perdita di appetito e di peso ed esantema maculo-papuloso localizzato al tronco. La diagnosi di tifo - che deve essere sempre notificata alle autorità sanitarie locali - si pone attraverso anamnesi, coprocoltura, emocoltura e in alcuni casi esame del midollo osseo. Il trattamento si basa fondamentalmente sull’utilizzo di antibiotici, ma sono importanti anche il riposo a letto e una dieta adeguata. Le complicanze più frequenti sono la perforazione e l’emorragia intestinale, mentre la prognosi dipende dall’età del soggetto, dalla precocità della diagnosi e dall'appropriatezza del trattamento.

Che cos’è la febbre tifoide

In alcuni paesi dell'Africa, del Sud America e dell'Asia, l'incidenza della febbre tifoide può raggiungere anche l'1%

Il tifo o febbre tifoide (chiamato anche febbre enterica o tifo addominale) è una malattia infettiva sistemica causata dal batterio Gram-negativo del genere Salmonella Typhi.

Il tifo è una malattia diffusa in tutti i paesi con condizioni igienico-sanitarie scadenti e ogni anno sono circa 16-17 milioni i casi e 600.000 i morti, con un’incidenza dello 0,3%; in alcuni Paesi dell’Africa, del Sud America e dell’Asia l’incidenza può raggiungere anche l’1%. I Paesi con i più alti tassi di febbre tifoide sono: Bangladesh, Cina, India, Indonesia, Laos, Nepal, Pakistan e Vietnam.

In Italia l'incidenza è di 2 casi su 100.000 persone ogni anno, con una maggiore diffusione nelle zone del sud del paese e nelle aree costiere. In Europa e nei paesi occidentali in generale, il tifo è piuttosto raro e di solito è presente solo se importato da un'area in cui la malattia è endemica.

I bambini hanno un rischio maggiore degli adulti di contrarre il tifo, probabilmente a causa del loro sistema immunitario ancora immaturo, tuttavia sviluppano una sintomatologia più lieve. Questo tipo di tifo va infine distinto dal tifo epidemico e dal tifo endemico (tifo murino) causato da Rickettsie, genere di microrganismi Gram-negativi trasmessi da diversi tipi di vettori come acari, pulci, pidocchi e zecche.

Cause e modalità di contagio del tifo

Il tifo è causato dal batterio Salmonella typhi che, insieme alla Salmonella paratyphi A, B e C (responsabili di forme diverse e più attenuate della malattia), fa parte del gruppo delle salmonelle tifoidee.

Il periodo di incubazione del batterio è in genere di 1-3 settimane, anche se può variare da 3 giorni a 3 mesi; per quanto riguarda la contagiosità, invece, nella maggior parte dei casi permane fino alla fine della prima settimana dopo l’inizio dei sintomi.

Nella quasi totalità dei casi il tifo viene contratto nei paesi caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie scarse o assenti e viene trasmesso da persona a persona per via oro-fecale o attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati. Nei paesi industrializzati la malattia è invece molto rara e quasi sempre dovuta al ritorno da viaggi o soggiorni prolungati in paesi in cui il tifo è endemico.

Come si manifesta la febbre tifoide

La febbre tifoide è una malattia sistemica che si sviluppa in modo ingravescente. Infatti, una volta entrati nel corpo, i batteri della salmonella invadono l’intestino tenue ed entrano nel sangue per poi raggiungere le cellule di fegato, milza e in seguito diffondersi in tutto il corpo.

Anche se alcuni bambini potrebbero non ammalarsi fino a due mesi dopo l'esposizione al batterio della S. typhi, generalmente i sintomi compaiono nelle 2-4 settimane dopo aver contratto la malattia, secondo la seguente presentazione:

Prima settimana

  • Febbre alta (39-40°C): aumenta in modo graduale in 2-3 giorni e rimane tale per 10-14 giorni. Nei bambini la febbre può essere meno elevata e durare meno di 3 settimane
  • Dolori addominali
  • Stipsi (più comune negli adulti)
  • Diarrea (a volte sanguinolenta e più frequente nei bambini)
  • Vomito
  • Tosse secca
  • Cefalea
  • Malessere generale
  • Esantema maculo-papuloso localizzato al tronco e che scompare alla digitopressione

Seconda settimana

In caso di mancato trattamento i sintomi della prima settimana diventano ingravescenti e potrebbero associarsi a bradicardia e gonfiore addominale.

Inoltre, tra la seconda e la terza settimana, alcuni pazienti potrebbero sviluppare una polmonite provocata da un'infezione pneumococcica secondaria, sebbene la stessa S.typhi possa causare anche la polmonite.

Terza settimana

  • Perdita di appetito
  • Perdita di peso
  • Anoressia
  • Astenia
  • Diarrea maleodorante, acquosa e di colore giallo-verde
  • Deterioramento dello stato mentale: possono essere presenti apatia, confusione e nei casi più gravi psicosi e allucinazioni
  • Irritazione meningea: può verificarsi nel bambino in concomitanza con clonie dei piedi

Durante questa settimana la febbre inizia a scendere, ma possono comparire manifestazioni più serie come:

  • Epatomegalia
  • Perforazioni intestinali: possono essere seguite nell'1-2% dei casi da emorragie e morte, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove non è sempre disponibile un adeguato trattamento chirurgico. Oppure possono essere seguite da batteriemie con conseguenti infezioni a carico di ossa, tessuti molli, cuore, meningi, glomeruli renali o tratto genitourinario
  • Peritonite
  • Shock settico
  • Perdita di coscienza

Quarta settimana

In questa settimana la febbre scompare del tutto, tuttavia i segni e i sintomi del tifo potrebbero ripresentarsi una decina di giorni dopo l’abbassamento della febbre.

Circa il 2-5% dei soggetti che contraggono la febbre tifoide diventa inoltre portatore cronico, poiché i batteri persistono nelle vie biliari anche dopo la scomparsa dei sintomi. In questi soggetti il batterio rimane nella cistifellea e poi viene espulso con le feci per un periodo non inferiore ai 12 mesi e in alcuni casi addirittura per anni.

Diagnosi di tifo

La diagnosi di tifo - che deve essere sempre notificata alle autorità sanitarie locali - si pone attraverso:

  • Anamnesi: la febbre tifoide si sospetta in tutti i pazienti con febbre che hanno viaggiato di recente in un'area endemica
  • Esame delle feci (coprocoltura): si cerca la presenza del batterio della salmonella nelle feci e l’esame è particolarmente sensibile nelle fasi precoci e tardive della malattia. Per la diagnosi definitiva deve essere integrato con l'esame colturale del sangue
  • Emocoltura: in caso di malattia complicata dalla diffusione del batterio nel torrente circolatorio si cerca la salmonella nel sangue mediante emocoltura
  • Esami del sangue: vengono cercati nel sangue gli anticorpi contro la salmonella mediante il test di agglutinazione di Widal, esame che rivela la comparsa di agglutinine anti-O e anti-H. I bacilli tifoidei contengono infatti antigeni O e H che stimolano l'ospite a produrre i corrispondenti anticorpi. Questo tipo di esame è utilizzato particolarmente nei paesi in via di sviluppo, in quanto è rapido, economico ed eseguibile presso laboratori non specializzati, tuttavia ha dei limiti in termini di sensibilità e specificità
  • Esame del midollo osseo: è raramente utilizzato, tuttavia è il metodo diagnostico più accurato, soprattutto se gli altri test non hanno fornito risultati certi e affidabili. Nel caso in cui l'esito sia positivo per la presenza della S. typhi, si consiglia di estendere gli accertamenti anche agli altri membri della famiglia

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale viene posta con gli altri patogeni in grado di causare malattie con sintomi simili alla febbre tifoide:

  • Malaria
  • Dengue
  • Leptospirosi
  • Rickettsiosi
  • Influenza
  • Altre infezioni da salmonella
  • Tubercolosi disseminata
  • Brucellosi
  • Tularemia
  • Epatite infettiva
  • Psittacosi
  • Infezione da yersinia enterocolitica
  • Linfoma

Come si cura il tifo

Il trattamento del tifo si basa fondamentalmente sull’utilizzo di antibiotici:

  • Cloramfenicolo: è stato per molti anni il farmaco d’elezione, ma a causa dei gravi effetti collaterali, anche se rari, è stato sostituito dall’utilizzo di altri antibiotici
  • Ciprofloxacina: è l'antibiotico più utilizzato in questo tipo di malattia, ma è controindicato in bambini e donne in gravidanza
  • Ceftriaxone: è una un'alternativa valida agli altri antibiotici nel caso delle donne in gravidanza
  • Ampicillina
  • Trimetoprim/sulfametossazolo
  • Azitromicina: può essere usato nei soggetti che non possono assumere la ciprofloxacina o se i batteri sono resistenti alla ciprofloxacina

Il trattamento antibiotico è particolarmente indicato nelle forme gravi di febbre tifoide e nelle fasce di popolazione più fragili, come i lattanti di età inferiore a 3 mesi, gli anziani e i pazienti affetti da patologie croniche o che assumono farmaci immunosoppressori; in questi soggetti, infatti, il rischio di evoluzione verso le forme generalizzate di malattia è più elevato.

La scelta della terapia antibiotica, inoltre, è guidata dall'identificazione della regione geografica dove è stata contratta l'infezione e dal risultato delle colture e dell’antibiogramma.

Negli ultimi anni, infatti, è andata aumentando la farmacoresistenza di alcuni ceppi della salmonella a uno o più antibiotici, ragion per cui è sempre consigliato effettuare un antibiogramma per capire a quale tipo di principio attivo il batterio è sensibile e a quale no.

È importante tenere presente che il pericolo di febbre tifoide non termina quando i sintomi scompaiono; circa 1 persona su 20 infatti va incontro a una recidiva, con sintomi che si ripresentano dopo una settimana dalla conclusione del trattamento antibiotico. In tal caso i sintomi tendono a essere più lievi e a durare per un lasso di tempo limitato, ma è comunque indicata un'ulteriore terapia antibiotica.

Sono molto importanti anche:

  • Riposo a letto per tutto il periodo febbrile
  • Dieta adeguata: è opportuno effettuare pasti frequenti ma leggeri

Infine, potrebbero essere utili anche:

  • Intervento chirurgico: può essere necessario in caso di emorragie interne o perforazioni dell'intestino. Può essere effettuata anche per rimuovere la cistifellea, normalmente sito di infezione cronica da tifo insieme al tratto gastrointestinale
  • Terapia con corticosteroidi: possono essere aggiunti agli antibiotici in caso di grave stato tossico o in presenza di coinvolgimento neurologico grave o segni di coagulazione intravascolare disseminata
  • Nutrizione enterale: nel caso sia impossibile effettuare la nutrizione per bocca è necessario alimentare la persona attraverso sondino naso-gastrico o attraverso una stomia nello stomaco (PEG) o nella sezione centrale dell’intestino tenue (PEJ)
  • Terapia di supporto con liquidi

Sono invece sconsigliati i farmaci antispastici, poiché rallentano la motilità intestinale e riducono la diarrea senza eliminare la causa infettiva. Da evitare anche i salicilati, poiché possono provocare ipotermia e ipotensione.

Infine, bisogna tenere presente che per decretare la guarigione bisogna attendere il risultato negativo di 3 coprocolture eseguite a giorni alterni a partire dal terzo giorno dopo la sospensione della terapia. In caso di positività anche di una sola coprocoltura, si ripete l’intera procedura dopo un mese.

Inoltre, fino a che i 3 campioni di feci non risultano liberi da batteri, si dovrebbe impedire al soggetto infetto di manipolare i cibi oltre che consigliargli di lavare le mani con cura dopo aver utilizzato la toilette. Importante anche l’isolamento del soggetto malato e la bonifica di ambienti, biancheria ed effetti personali.

Complicanze della febbre tifoide

Le complicanze più comuni che si possono verificare nella febbre tifoide (soprattutto se non trattata o trattata tardivamente) sono:

  • Emorragia intestinale: con conseguente anemia, ipovolemia, ipotensione e rischio di morte
  • Perforazione intestinale: è una complicanza molto grave poiché può causare anche una peritonite e in alcuni casi un’insufficienza multiorgano
  • Insufficienza renale
  • Shock settico
  • Disidratazione: è una possibile complicanza in seguito a diarrea profusa
  • Epatomegalia
  • Epatite tifica
  • Ittero
  • Epatonefrite
  • Colecistite
  • Pancreatite
  • Pielonefrite
  • Cistite
  • Appendicite
  • Splenomegalia
  • Disturbi della fonazione e della respirazione
  • Broncopolmoniti da S. typhi
  • Insufficienza respiratoria
  • Pericardite
  • Miocardite
  • Endocardite
  • Fibrillazione atriale
  • Flebiti
  • Osteite soprattutto a carico delle vertebre
  • Artriti
  • Miositi
  • Tiroidite acuta tifosa
  • Tumefazione della ghiandola parotide (di solito monolaterale)
  • Meningite
  • Coma
  • Problemi psichiatrici: ad esempio psicosi paranoiche, allucinazioni e delirio

Prognosi

La prognosi è molto variabile e dipende dall’età del soggetto, dalla precocità della diagnosi e dall'appropriatezza del trattamento. Senza trattamento il tasso di mortalità può arrivare al 20%, mentre con una terapia immediata scende all’1% e nella maggior parte dei casi colpisce fasce a rischio come i soggetti malnutriti, i lattanti o gli anziani.

Con l’avvento della terapia antibiotica effettuata con la giusta tempistica, infatti, la prognosi è notevolmente migliorata. In presenza di diabete mellito, disturbi renali cronici e problemi di alcolismo la prognosi è però meno buona.

Prevenire il tifo

La prevenzione del tifo prevede:

  • Rispetto di un'adeguata igiene delle mani: in particolare prima della manipolazione dei cibi e dopo l’utilizzo della toilette
  • Controllo dei sistemi di fognatura

Evitamento di alcuni tipi di cibi e bevande: chi si trova o si reca in Paesi dove la febbre tifoide è diffusa dovrebbe rispettare norme ben precise evitando alcuni tipi di cibo, specie se crudo o poco cotto (ad es. carne e uova), bevande come il latte non pastorizzato (o bollito) e acqua non imbottigliata e sigillata. Nel caso in cui non sia disponibile acqua imbottigliata è opportuno farla bollire e/o utilizzare uno specifico sistema di disinfezione o filtraggio prima di berla, utilizzarla per cucinare o per lavare i denti. Da evitare anche il ghiaccio all’interno delle bevande e la frutta e la verdura cruda che non può essere pelata (ad es. insalata). È inoltre consigliato astenersi dal mangiare il cibo tenuto a temperatura ambiente o non coperto come quello dei buffet, oppure quello venduto da venditori di strada o in spiaggia. Costituiscono un possibile rischio di contagio anche pesce, crostacei e molluschi pescati in zone in cui possono essere presenti pericolose tossine.

Vaccinazione

Molto importante come metodo di prevenzione è anche la vaccinazione, indicata per chi prevede un viaggio in Paesi dove il tifo è endemico, specie se il soggiorno ha una durata superiore a un mese o avviene in località in cui sono prevalenti ceppi di S.typhi resistenti agli antibiotici. La vaccinazione non esenta però dal rispetto delle norme igieniche sopra citate.

I vaccini attualmente disponibili sono 2:

  • Iniettabile Vi CPS: è un vaccino iniettabile a base di polisaccaridi capsulari della S. typhi, che viene somministrato in una dose unica almeno una settimana prima del viaggio. L’immunità è conferita dopo circa 7 giorni dall’iniezione ed è del 72-75% dopo un anno e mezzo e del 50% dopo due anni (dopo i quali è necessario effettuare una dose di richiamo). E1 consigliato negli adulti e nei bambini al di sopra dei 5 anni e sconsigliato in quelli al di sotto dei 2 anni
  • Orale Ty21a: è un vaccino vivo attenuato prodotto dal ceppo mutante Ty21a e viene somministrato in 4 compresse da assumere a giorni alterni. Il ciclo vaccinale deve essere completato una settimana prima della possibile esposizione al batterio. Questo tipo di vaccino conferisce un’immunità attorno al 50-60% fino a cinque anni dopo l’ultima dose, dopodiché è necessaria una dose di richiamo. Il vaccino orale è consigliato dai 6 anni in su ed è controindicato nei bambini al di sotto di questa età e nelle donne in gravidanza e siccome il vaccino contiene parti vive attenuate del S. typhi è controindicato nei soggetti immunocompromessi. Questo vaccino viene effettuato anche ai contatti domestici o altri contatti stretti contatti di portatori asintomatici. La sua somministrazione deve essere ritardata di circa 72 ore in soggetti che hanno assunto un qualsiasi antibiotico. Non deve essere effettuato nei soggetti che assumono il farmaco antimalarico meflochina

In alcuni paesi è disponibile anche un vaccino combinato contro la febbre tifoide e l’epatite A.

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