Una volta che ti orienti all’interno dell’emergenza ti accorgi di che strano mondo sia, dove l’adrenalina regna sovrana, fatta di momenti di stallo che si possono d’improvviso tramutare in una frenetica corsa per salvare un paziente con infarto miocardico in corso. All’inizio hai paura, ma quando scopri di esserci nato, per l’area critica, non puoi farne a meno.
Che strano mondo che è l’area critica
Team di area critica in servizio
Non appena firmato il tuo primo contratto di lavoro ti ritrovi nell’ufficio del personale dove la persona preposta sta per assegnarti il tuo futuro reparto. Hai in mente mille aspettative e mille dubbi, perché nonostante un ambito ti possa piacere maggiormente rispetto ad altri non puoi sapere come sarà il tuo rapporto con colleghi, coordinatore e tutti i professionisti del caso.
Ma quando senti dire: Pronto soccorso , Rianimazione , UTIC o 118 tutto cambia. Sono molteplici le emozioni che ti travolgono: stupore, insicurezza, sorpresa, felicità… ma una fra tutte si distingue chiaramente: la paura .
Paura, perché sei capitato in Area Critica e comunque vada è una responsabilità; dovrai mettere in campo tutte le tue conoscenze e capacità nel gestire casi al limite tra la vita o la morte, sarai chiamato a gestire parenti disperati per le sorti dei loro cari, sarai chiamato ad essere garante della persona assistita per fornirgli il massimo delle cure possibili.
Non c’è corso di specializzazione, master o attestato che tenga quando al tuo primo turno ti trovi faccia a faccia con un paziente in arresto cardio-respiratorio . La prima sensazione è il buio totale nella mente e il panico, ma è lì che il tuo collega con una pacca sulla spalla ti dice “su forza, rianimiamo”.
Finisci il turno con le gambe tremanti, con la vescica piena e con in mente una sola frase:
Ma chi me l’ha fatto fare?!
Torni a casa pensando a quello che è successo, a chi non ce l’ha fatta, ma soprattutto a chi ce l’ha fatta, alla soddisfazione di aver fatto ripartire un cuore fermo, di aver incannulato un vaso impossibile, di aver ridato un figlio, un marito, un padre ai suoi cari.
Ed è proprio questo che ti spinge il giorno dopo ad arrivare per primo sul posto di lavoro , a chiedere al collega esperto consigli e chiarimenti su tecniche e situazioni che fino a quel momento erano sconosciute, a metterci anima e corpo.
Una volta che ti orienti all’interno dell’emergenza ti accorgi di che strano mondo sia, dove l’adrenalina regna sovrana, fatta di momenti di stallo che si possono d’improvviso tramutare in una frenetica corsa per salvare un paziente con infarto miocardico in corso.
Ti rendi conto di come lavorare spalla a spalla con infermieri, medici, OSS cambi il modo di vedere i professionisti e cambi il rapporto fra di loro; vige rispetto, stima ma soprattutto collaborazione e confronto, a prescindere che a parlare sia il medico o l’infermiere.
E prima di quanto ti saresti mai aspettato ti rendi conto che di quel mondo quasi non se ne può fare a meno. Capisci di quanto importante sia il tuo lavoro e di che grande soddisfazione riesce a trasmetterti.
Sicuramente non mancano i momenti dove vorresti mollare tutto e andare in un reparto “più tranquillo” , dove il turno si vive meglio, con tempi più allungati e senza l’ansia addosso.
Questo perché l’area critica dagli utenti è vissuta male ma soprattutto è sconosciuta. Chi si reca in Pronto soccorso non sa cos’è il triage , si crede in posta, il primo che arriva deve entrare, il suo malessere regna su tutti, anche se si tratta di mal di denti. Ed è li che l’infermiere è chiamato ad intervenire per ripristinare l’ordine, spiegare la gestione del pronto soccorso e, appunto, fare triage.
Ma il tutto, spesso, dall’utente è vissuto come un insulto, come un affronto alla sua persona perché il personale non vuole aiutarlo, perché il personale non vuole far nulla e deve prendere il caffè, ed è allora che partono le aggressioni e tutta una serie di meccanismi lesivi che rendono impossibile il proseguo del turno e la vivibilità lavorativa.
Ma finché lavori all’interno di un ospedale comunque ti senti protetto, un po’ perché hai i colleghi al tuo fianco con cui confrontarti, un po’ perché avere un tetto sulla testa ed essere in una struttura sanitaria dotata di tutto punto di macchinari, presidi e personale ti da sicurezza.
Mentre le situazioni al limite sono soprattutto extra ospedaliere, dove si è chiamati a intervenire in campi d’azione socialmente difficili o impervi territorialmente, dove non si sa a cosa si va incontro e ci si adatta con quello che si ha. Per non parlare poi di quegli interventi che ti porterai dentro tutta la vita, le maxi-emergenze .
Per fare dei recenti esempi i fatti di Bologna , quelli di Genova o della Calabria del mese di agosto, dove i professionisti dell’emergenza sono stati messi a dura prova non solo tecnicamente ma psicologicamente.
Nonostante ciò questo è il lavoro che ci siamo scelti, o che ci è venuto a cercare e quando sei nato per l’area critica, non puoi farne a meno.
Gaetano Sciascia , Infermiere
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?