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Patologia

Epatite C, la malattia infettiva causata dal virus Hcv

di Soraya Carnemolla

L’epatite C è un’infezione del fegato causata da un virus denominato HCV (Hepatitis C Virus) appartenente al genere hepacivirus nella famiglia Flaviviridae. Nel corso degli anni a partire dalla sua definizione, le terapie per la cura dell’epatite C hanno fatto passi da gigante, ed oggi si può con serenità affermare che l’epatite C è una malattia curabile in tutti i pazienti. È stato infatti fissato un obiettivo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che appare realistico: l’eradicazione dell’infezione da HCV entro il 2030.

Epatite C: Incubazione, sintomi, terapia e contagio del virus Hcv

L’epatite C è un’infezione del fegato causata da un virus denominato HCV (Hepatitis C Virus) appartenente al genere hepacivirus nella famiglia Flaviviridae.

Del virus al momento sono stati individuati ben 6 genotipi virali (1-6) e oltre 90 sottotipi (che differiscono tra loro per il contenuto delle informazioni genetiche). Prima del 1989 - anno in cui fu identificato il virus - l’epatite C era definita come “non A non B”.

L'infezione è spesso asintomatica sia nella fase acuta che nella fase cronica. Nel corso della sua evoluzione può causare un progressivo danno al fegato, che modifica la struttura anatomica normale sostituendo, nel corso del processo infettivo, tessuto epatico normale con tessuto cicatriziale fibrotico.

Quando questo processo evolve si può arrivare, fortunatamente in una bassa percentuale di persone con infezione da HCV, alla forma più grave di danno al fegato provocato da questo virus che è la cirrosi epatica.

Trasmissione dell’Epatite C

Sangue il contaggio pincipale dell'epatite c

Il contagio dell’infezione da HCV avviene principalmente per via parenterale, cioè attraverso il sangue e molto meno frequentemente per via sessuale.

L’infezione si trasmette preferenzialmente per via orizzontale, da individuo a individuo, e in minor misura per via verticale-perinatale, cioè da madre a figlio.

Nel 20% dei casi la causa di trasmissione rimane comunque sconosciuta; tuttavia si ritiene che la maggior parte di esse sia comunque legata alle iniezioni di sostanze stupefacenti. Il rischio di contrarre l’infezione attraverso aghi e siringhe riutilizzabili è oggi praticamente azzerato nei paesi ricchi grazie all’utilizzo di materiale monouso e di procedure di sterilizzazione, ma sussiste ancora nei paesi in via di sviluppo.

In generale il rischio è molto alto tra i tossicodipendenti che fanno uso di droghe per via endovenosa, in cui l’incidenza d’infezione da HCV oscilla dal 50 al 95%: in Europa e negli Stati Uniti la tossicodipendenza è il principale fattore di rischio per l’epatite C.

Altra modalità di trasmissione sono le trasfusioni di sangue, di plasma-emoderivati e i trapianti di organi. Le infezioni legate all’uso di emoderivati hanno rappresentato il fattore di rischio prevalente per la diffusione dell’HCV negli anni antecedenti il 1990, prima cioè che fosse introdotto lo screening universale obbligatorio del sangue basato sulla ricerca degli anticorpi anti-HCV.

Oggi, grazie all’impiego di test sempre più sensibili e a un più scrupoloso reclutamento dei donatori, il rischio è diminuito da 1 su 10.000 a 1 su 10.000.000 per unità di sangue nei Paesi occidentali, ma resta alto nelle nazioni in via di sviluppo, per le quali le trasfusioni rappresentano ancora una modalità di contagio.

Coloro che si pungono accidentalmente con un ago già utilizzato da un paziente HCV positivo, hanno una probabilità di circa 1,8% di contrarre l'infezione. Il rischio è maggiore se la puntura avviene in profondità. Vi è anche un modesto rischio di trasmissione con il contatto tra il sangue e le mucose, mentre è assente se l'esposizione del sangue avviene sulla cute integra.

Strumenti con cui sono praticati i piercing, i tatuaggi, l’agopuntura, interventi odontoiatrici, endoscopie e in generale tutti gli oggetti di uso sanitario o domestico che possono procurare ferite anche lievi, quali forbici, rasoi, spazzolini e tagliaunghie se non opportunamente sterilizzati, possono fungere da vettori d’infezione.

Un'appropriata cautela deve essere assunta in qualsiasi situazione in cui vi sia una perdita di sangue. L'HCV non si diffonde attraverso il contatto casuale, come ad esempio abbracci, baci o con la condivisione di utensili da cucina.

Trasmissione sessuale epatite C

Per quando riguarda la trasmissione sessuale, il virus dell’epatite C è contagioso con frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell'epatite B e/o dell'HIV. Tale trasmissione avviene solo se durante l'atto vi è scambio di sangue. Non sono infettanti:

  • né lo sperma
  • né la saliva
  • né le secrezioni vaginali

Rimane quindi la modalità meno frequente di diffusione dell’HCV, con un numero di casi inferiore al 5%. Tuttavia esistono situazioni che possono aumentare tale rischio: la malattia epatica in fase acuta, il ciclo mestruale, la coinfezione HIV–HCV.

Altri fattori potenzialmente in grado di aumentare il rischio d’infezione sono la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili, come herpes simplex labiale e genitale, la gonorrea e la sifilide.

Trasmissione verticale madre-figlio

La trasmissione verticale del virus dell'epatite C da una madre infetta al suo bambino avviene in meno del 5% delle gravidanze; la contemporanea infezione anche con l’HIV aumenta la probabilità di trasmissione.

Non è chiaro in quale momento della gravidanza possa avvenire la trasmissione, ma sembra che possa verificarsi sia durante la gestazione, sia al momento del parto. Non vi è alcuna prova che l'allattamento al seno possa essere causa di trasmissione del virus, tuttavia, a scopo cautelativo, si consiglia di evitarlo se i capezzoli sono sanguinanti, o se la carica virale risulta elevata.

Epatite C, la clinica

Il periodo di incubazione dell’epatite da HCV può variare da 2 settimane a 6 mesi. La fase acuta dell’infezione nella maggior parte dei casi decorre in modo asintomatico.

Stanchezza e nausea sono tra le manifestazioni cliniche che possono comparire nella fase acuta dell'infezione da Hcv

Anche se sintomatica, le manifestazioni cliniche che possono comparire sono in genere lievi e consistono prevalentemente in:

  • riduzione dell'appetito
  • stanchezza
  • nausea
  • dolori articolari o muscolari
  • in alcuni casi si manifesta ittero cutaneo

L'infezione si risolve spontaneamente, per ragioni non note, nel 15-25% dei casi; questo avviene più frequentemente in individui giovani e di sesso femminile.

Se il virus persiste oltre i 6 mesi dalla comparsa della fase acuta, si entra nella cosiddetta fase cronica dell’infezione; circa il 75-85% delle persone esposte al virus sviluppa un'infezione cronica.

Anche la fase cronica dell’infezione da HCV può rimanere silente, anche per molti anni impedendo così una diagnosi precoce. La progressione delle forme croniche è lenta e variabile.

L'epatite C cronica può portare allo sviluppo di cirrosi epatica e cancro al fegato, in particolar modo i pazienti coinfettati con epatite B o HIV, alcolisti e di sesso maschile. Si stima che circa il 10-40% dei pazienti con epatite cronica nel corso della loro vita svilupperanno la cirrosi epatica.

La cirrosi epatica può condurre a ipertensione portale, ascite (accumulo di liquido nell'addome), disturbi della coagulazione per ridotta sintesi epatica di fattori della coagulazione che si manifestano con ecchimosi o sanguinamento, varici (vene dilatate) soprattutto nello stomaco e nell’esofago), ittero e una sindrome da deficit cognitivo conosciuta come encefalopatia epatica. Si tratta di una condizione che può richiedere il trapianto di fegato.

I pazienti con cirrosi epatica sono a rischio di sviluppare un epatocarcinoma.

In alcuni pazienti prevalgono le cosiddette manifestazioni extraepatiche HCV-correlate, che includono:

  • la sindrome crioglobulinemica con danno d’organo (vasculiti con porpora cutanea, glomerulonefriti, impegno polidistrettuale)
  • alcune sindromi linfoproliferative a cellule B (alcuni linfomi non-Hodgkin)
  • la sindrome di Sjogren, il lichen planus e la porfiria cutanea tarda.

La diagnosi di Epatite da HCV

La diagnosi di epatite da HCV si esegue con analisi del sangue. Il primo è il test per la ricerca degli anticorpi contro l’HCV. Se il test è negativo significa che non vi è mai stata infezione da HCV, un test positivo invece indica che vi è stato un contatto con il virus, ma non ci dice se l’infezione è ancora presente.

Dopo che il test anti-HCV è risultato positivo per sapere se è ancora presente l’infezione si ricerca il virus con l’esame HCV-RNA. Solo in caso di positività a questo test sarà confermata la presenza di infezione.

Una volta confermata la presenza di infezione cronica da HCV per capire meglio l’evoluzione della malattia si esegue: una ecografia del fegato, un fibroscan, che è in grado di valutare il grado di fibrosi del fegato e se si deve fare la terapia, anche il “genotipo del virus”, perché è uno dei fattori su cui si basa la scelta dei farmaci da utilizzare.

Epatite C, la terapia

Il virus dell'epatite C porta a un'infezione cronica in una elevata percentuale di casi che lo contraggono. In rari casi, l'infezione cronica può risolversi senza alcun trattamento.

Da quando è stato scoperto il virus HCV, si sono cercati dei possibili trattamenti. Inizialmente la terapia è stata fatta con interferone e successivamente con interferone associato a Ribavirina. Il trattamento durava per un periodo di 24 o 48 settimane, a seconda del genotipo del virus HCV. Questa terapia era però gravata da numerosi effetti collaterali e portava alla guarigione meno del 40% dei casi.

Nel 2011 furono approvati i primi farmaci antivirali ad azione diretta (cosiddetti DAA, nell'acronimo anglosassone), il boceprevir e il telaprevir, che andarono ad affiancare l'interferone e la ribavirina contro i genotipi più difficili da trattare, portando il tasso di guarigione dal 40% al 70%. Gli effetti collaterali del trattamento erano però ancora molto frequenti.

Nel 2013 è entrato a far parte dei farmaci a disposizione del trattamento dell'epatite C il Sofosbuvir; dopo il suo arrivo è cominciata una vera e propria rivoluzione per la cura di questa patologia, con l’arrivo di altre nuove molecole ad azione diretta sul virus.

La durata della terapia si è ridotta, nella maggior parte dei casi, a 2-3 mesi; l’efficacia nella eliminazione del virus arriva ad essere quasi del 100% dei casi ed inoltre si tratta di terapie ottimamente tollerate.

I pazienti affetti da epatite cronica C non sono tutti uguali e la terapia va scelta su misura. A fare la differenza tra un paziente e l’altro non è solo il genotipo, ma diversi fattori: la presenza o meno di cirrosi, la co-infezione di epatite C ed HIV e gli eventuali precedenti fallimenti del trattamento.

Inizialmente, visti i costi dei nuovi farmaci, la terapia è stata erogata a carico del Ssn solo ai pazienti con forme avanzate di epatite cronica. Con il tempo sono usciti nuovi farmaci ed i prezzi si sono progressivamente ridotti dando la possibilità ad un maggior numero di pazienti di beneficiare del trattamento.

L’obiettivo a breve è di trattare tutti i pazienti ed eradicare l’infezione.

Epatite C e operatori sanitari

Per ridurre quanto più possibile il rischio professionale di epatite C esiste un insieme di misure da adottare che vanno applicate nel corso dell’assistenza di tutti i pazienti. Per questa ragione si parla di precauzioni universali, il cui obiettivo ideale è impedire sempre il contatto tra operatori sanitari e sangue o altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti.

Per dare concretezza alle misure di prevenzione delle infezioni da HCV, i principi enunciati dalle precauzioni universali vanno calati nella realtà estremamente eterogenea delle concrete e differenti attività sanitarie.

Diversi sono i comportamenti sicuri da adottare in sala operatoria, piuttosto che in dialisi o in assistenza domiciliare. Quindi è fortemente consigliata l’adozione di protocolli e linee guida in cui per ciascun tipo di attività si individuano le specifiche misure di prevenzione e protezione utili ad impedire l’infezione da HCV.

Questi strumenti, oltre a garantire buone prestazioni ai pazienti debbono essere elaborati per la massima tutela possibile degli operatori nei confronti dei rischi professionali.

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