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Patologia

Virus HIV: L'agente responsabile dell'AIDS

di Soraya Carnemolla

La sindrome da immunodeficienza acquisita - da cui l’acronimo AIDS - è una malattia del sistema immunitario causata dal virus dell’immunodeficienza umana, il virus HIV. Oggi, grazie alla terapia, l’infezione da HIV è diventata un’infezione cronicizzabile e l’aspettativa di vita delle persone con infezione da HIV è ridotta solo di alcuni anni rispetto alla popolazione generale. La via da percorrere, in ogni caso, resta quella della prevenzione e della giusta informazione.

AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita innescata dal virus HIV

L'infezione da HIV viene rilevata con un test effettuato sul sangue 

La sindrome da immunodeficienza acquisita da cui l’acronimo AIDS è una malattia del sistema immunitario causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV).

L’insorgenza di questa nuova patologia è stata riconosciuta nel 1981 e ne è stata data per la prima volta la notizia quando i CDC di Atlanta registrarono casi sospetti di polmonite da Pneumocystis carinii in cinque uomini omosessuali a Los Angeles. Nel 1983 fu poi isolato per la prima volta il responsabile della nuova patologia, il virus HIV (Human Immuniodeficiency Virus).

Ad oggi sono stati identificati due genotipi di virus, denominati HIV 1 e 2; quello che ha provocato l’epidemia mondiale è l’HIV1, mentre il genotipo 2 è rimasto confinato nel continente Africano.

Il virus HIV, appartenente alla famiglia dei retrovirus, entrato nel circolo sanguigno dell’ospite ricerca alcune particolari cellule in cui può riprodursi. Riconosce un suo recettore specifico a cui legarsi sulla superficie delle cellule bersaglio, ovvero una particolare proteina denominata CD4. Le cellule umane CD4 positive sono il bersaglio del virus; nell’organismo umano le cellule più ricche di CD4 sono alcuni tipi di linfociti cruciali nel processo di difesa immunitaria, denominati helper o inducer.

Una caratteristica particolare dei retrovirus è quella di integrarsi nel DNA della cellula che hanno infettato, costituendo così un serbatoio ineliminabile, che gli garantisce la sopravvivenza nell’organismo a tempo indeterminato.

Con un meccanismo non interamente chiarito, l’effetto patogeno del virus HIV è quello di ridurre il numero dei linfociti CD4; un numero inadeguato di linfociti CD4+ paralizza il sistema immunitario, limitandone l’efficacia, rendendo le persone colpite più suscettibili alle infezioni.

L’immunodepressione che ne deriva rende possibile lo svilupparsi di patologie che non colpiscono le persone con un sistema immunitario normale. Per questo tali patologie vengono definite opportunistiche.

Infezione da Hiv: I sintomi

L’infezione può essere suddivisa grossolanamente in tre stadi:

  • infezione acuta
  • stadio di latenza clinica
  • stadio sintomatico.

Solo nell’ultimo stadio, con il manifestarsi delle infezioni opportunistiche, si parla di AIDS.

L’infezione acuta si manifesta dopo circa 3 settimane ed è caratterizzata dalla comparsa di una febbre indifferenziata; solo la consapevolezza di essersi trovati in una situazione di rischio, potrebbero suggerire l’idea di sottoporsi al test dell’HIV.

Dalla fase acuta si passa allo stadio di latenza clinica; una persona con infezione da HIV in questa fase non ha alcun sintomo, pertanto non è riconoscibile né sospettabile. La fase di latenza clinica, in assenza di terapie può durare da qualche anno a oltre 15 anni.

Quando il numero di linfociti scende al di sotto di una soglia critica, l’organismo non riesce più a difendersi da una serie di microrganismi scarsamente patogeni detti opportunisti (virus, batteri, funghi e protozoi) e si manifestano le patologie opportunistiche.

Si parla di AIDS conclamato quando una persona con infezione da HIV manifesta una patologia opportunistica. Prima del manifestarsi di queste patologie, quali indicatori di un danno del sistema immunitario ormai avanzato, possono manifestarsi sintomi quali febbricola, una eccessiva sudorazione notturna, un ingrossamento delle ghiandole (linfonodi) di collo e ascelle, la comparsa di eruzioni cutanee o di candidosi orale.

Le principali patologie opportunistiche sono: la polmonite da Pneumocystis jirovecii, la tubercolosi, l’esofagite da candida e la retinite da Citomegalovirus. Vi sono inoltre patologie neurologiche quali: la neuro-toxoplasmosi, la leucoencefalite multifocale progressiva, la demenza HIV-correlata e forme di tumore come il Sarcoma di Kaposi e i linfomi.

Virus HIV e diagnostica

L’infezione da HIV viene rilevata con un test effettuato su sangue. Il test da utilizzare è quello definito di quarta generazione; un test di screening che rileva anticorpi anti-HIV (IgG e IgM) e l’antigene p24. Il rilevamento di anticorpi per HIV è evidenza di infezione da HIV.

Gli individui a cui il primo test ha evidenziato una positività verranno sottoposti ad un nuovo esame su un secondo campione di sangue per confermare i risultati. I test che identificano gli anticorpi vengono poi confermati con test di secondo livello (Western Blot, RIBA).

La terapia per l’infezione da HIV

Il primo farmaco utilizzato per infezione hiv fu la zidovudina (o AZT), disponibile dal 1987. La tendenza del virus a sviluppare mutazioni resistenti e l’alta tossicità del farmaco portarono all’abbandono della monoterapia.

Nel 1991 in seguito alla messa in commercio di un nuovo antivirale si cominciò a trattare le persone con infezione da HIV con due farmaci (biterapia). Dal 1996 infine con la scoperta di inibitori della proteasi è stato messo a punto un nuovo protocollo farmacologico altamente efficace: l’attuale terapia standard, detta HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy), ossia terapia antiretrovirale altamente attiva, termine che descrive l’uso contemporaneo di tre o più farmaci antiretrovirali per il trattamento dell’infezione. È definita anche “terapia combinata” o “triplice”.

L'obiettivo della terapia antiretrovirale è l'abbattimento della carica virale; con questo risultato si ottiene poi anche l'aumento dei linfociti CD4.

Oggi i farmaci, sebbene incapaci di eliminare il virus, ne impediscono la replicazione, cambiando completamente la prognosi degli ammalati. Persone sieropositive che avevano già sperimentato un’infezione opportunistica e gravi stadi di immunodeficienza sono riuscite a recuperare un buon numero di linfociti CD4+ e godono di buona salute, nonostante figurino statisticamente tra i casi di AIDS conclamato.

Per queste ragioni la suddivisione in stadi tradizionale oggi non corrisponde all’attuale contesto clinico e terapeutico dell’infezione, basandosi piuttosto su dati oggettivi quali il numero dei linfociti CD4+ e l’entità della carica virale.

La trasmissione del virus HIV

L’HIV è un virus a bassa contagiosità, che per trasmettersi ha bisogno di un’elevata concentrazione di particelle virali. Tale condizione si realizza esclusivamente nel sangue e nelle secrezioni genitali, in particolare nello sperma ed in misura minore nelle secrezioni vaginali.

Altri liquidi biologici contengono HIV a bassa concentrazione, ma l’esperienza e numerosi studi sperimentali escludono la trasmissibilità tramite tali veicoli, salvo situazioni del tutto eccezionali, come la presenza di sangue macroscopicamente visibile.

Le vie di trasmissione sono:

  • rapporti sessuali non protetti da preservativo, sia omo che eterosessuali. Il contagio può avvenire per contatto diretto con liquidi corporei come secrezioni vaginali, sperma e sangue attraverso mucose anche integre. Ovviamente la presenza di lesioni o ferite aumenta il rischio di infettarsi
  • contatto di sangue infetto, per esempio con scambio di siringhe, trasfusioni di sangue (il rischio d'infezione con emoderivati è stato drasticamente ridotto con l'uso di procedure di screening su tutti i campioni), trapianto di organi, utilizzo di strumenti infetti, schizzi di sangue o di altri liquidi organici su mucose (per esempio negli occhi)
  • trasmissione da madre a figlio, durante la gravidanza o al momento del parto o durante l’allattamento al seno. Grazie ai farmaci oggi a disposizione, che vengono somministrati alla donna durante la gravidanza e al neonato alla nascita nelle prime 6 settimane di vita, la trasmissione materno-fetale si è praticamente azzerata.

Hiv e prevenzione

La quasi totalità delle trasmissioni dell’infezione da HIV avviene per via sessuale, sia omo che eterosessuale. Il preservativo, che può essere sia maschile che femminile, se utilizzato correttamente, elimina la possibilità di contrarre l’infezione da HIV.

Il preservativo deve essere utilizzato durante tutto il rapporto di penetrazione in caso di partner sieropositivo o la cui sieropositività non è conosciuta, come può avvenire per rapporti occasionali.

Gli operatori sanitari nello svolgimento della loro attività riducono il rischio professionale utilizzando un insieme di misure, le cosiddette precauzioni universali, da adottare sempre, vale a dire nel corso dell’assistenza di tutti i pazienti che vanno sempre considerati potenzialmente infetti.

Profilassi post-esposizione virus Hiv

In caso di esposizione al virus HIV si ha la possibilità di sottoporsi ad una particolare profilassi detta “post esposizione” o PEP (Post-Exposure Prophylaxis).

Consiste in un trattamento farmacologico con combinazione di antiretrovirali, simile alla HAART, che viene prescritta con lo scopo di ridurre la probabilità di contagio.

La profilassi post-esposizione, può essere:

  • Occupazionale: viene applicata ad operatori sanitari dopo un incidente con oggetti contaminati, come puntura con aghi precedentemente utilizzati per iniezioni a pazienti, contaminazione congiuntivale con sangue o liquor o con altri liquidi biologici contenenti sangue macroscopicamente evidente.
  • Non occupazionale: viene applicata a persone che si siano trovate in situazioni a rischio, per esempio rottura del preservativo durante un rapporto sessuale con un'altra persona che risulti HIV+ oppure ferimento con oggetti che potrebbero essere contaminati da sangue di persone HIV+.

Valutando il tipo di esposizione (nelle esposizioni occupazionali, ad esempio, la profondità della lesione, l’uso di dispositivi di barriera; per le esposizioni sessuali, presenza di sangue o di infezioni a trasmissione sessuale) e il paziente fonte (si definisce così la persona con cui ci si è esposti) si determina il rischio di ogni singolo caso e si valuta se vi è l’indicazione ad iniziare la PEP.

In tutti i casi la probabilità di trasmissione correla significativamente con la concentrazione di virus nel materiale cui ci si espone, sia esso sangue o secrezioni genitali. Le ultime linee guida infatti non raccomandano la PEP in caso di paziente fonte HIV+ in terapia con viremia stabilmente inferiore alle 200 copie/mL nel plasma da almeno 6 mesi sia per le esposizione professionali che per quelle sessuali.

Per questo motivo per le esposizioni professionali, sia che si lavori in ambito pubblico che privato, dovrebbe essere sempre predisposta una procedura a cui attenersi in caso di incidente. Tale procedura deve prevedere che in caso di esposizione a rischio ci sia sempre e rapidamente la valutazione del paziente fonte con la richiesta di eseguire esami per determinare se ha patologie trasmissibili per via ematica ed una rapida valutazione infettivologica per valutare l’indicazione all’inizio o meno della PEP.

L’infezione da HIV, tra pregiudizi e disinformazione

Le informazioni su come prevenire l'infezione da HIV sono ormai note da tempo, ma c'è ancora tanta confusione. Molti non se ne preoccupano affatto, credendo ancora che l'HIV riguardi solo alcune persone, come tossicodipendenti, omosessuali e prostitute. Altri ne sono terrorizzati in modo eccessivo e ingiustificato.

In entrambi i casi la percezione del rischio è condizionata da stereotipi e pregiudizi diffusi e radicati che portano a rimuovere il problema o ad ingigantirlo.

Spesso anche noi operatori sanitari abbiamo paure ingiustificate nel fornire assistenza a pazienti affetti da infezione HIV, sebbene le evidenze scientifiche ci rassicurino e ci indichino modalità di operare in grado di azzerare il rischio di trasmissione.

In ogni ambito lavorativo sanitario dovrebbe esserci una procedura per le esposizioni professionali, un percorso semplice, agevole e di facile esecuzione.

Resta comunque che in quanto professionisti e protagonisti dell’infortunio siamo chiamati ad occuparcene personalmente con razionalità e competenza.

Quando ci capita di pungerci con un ago contaminato o ci sporchiamo la mano con sangue o liquidi biologici, dobbiamo noi per primi essere in grado di valutare l’entità del rischio. Se riteniamo che il rischio ci sia, va fatta una valutazione del paziente “fonte” proponendogli il test HIV. Poi con rapidità è opportuno rivolgersi al Pronto soccorso più vicino, che si farà carico di avviare l’iter specifico in base a quanto previsto dalla procedura in quella particolare sede lavorativa.

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