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Emergenza-Urgenza

Sistemi di emergenza, 25 anni dopo: L'evoluzione del 118

di Giacomo Sebastiano Canova

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Marco Vigna è uno dei professionisti che ha contribuito a inventare e realizzare il 118, un servizio che oggi diamo per scontato, ma che solo trent’anni fa non esisteva e appariva di realizzazione alquanto complessa. Al 36° Congresso Aniarti Vigna ha ripercorso tutte le tappe che hanno portato alla realizzazione di questo servizio, soffermandosi anche sulle sue criticità.

Sistemi di emergenza, 25 anni dopo: Quali competenze per gli infermieri?

Marco Vigna

Marco Vigna durante il suo intervento al 36° Congresso Aniarti

Filo conduttore del 36° Congresso di Aniarti, venticinque anni dopo la nascita del sistema emergenza, è stato il concetto di competenza che, in ambito di 118, deve essere mediata dalle condizioni organizzative che, a differenza delle aree critiche ospedaliere, nel servizio di emergenza territoriale presentano notevoli differenze tra le varie realtà.

Il 118 – sostiene Marco Vigna – si trova ancora oggi all’interno di un percorso in cui si dovrà arrivare a stabilizzare il sistema, in quanto la sua organizzazione è varia e necessita di intuizioni e registrazioni per raggiungere una stabilità e un livello nazionale uniforme.

Il 118, di fatto, è stato implementato a regime alla fine del 2005, sebbene già all’inizio degli anni 2000 le soluzioni organizzative fossero le più varie. Per comprendere le motivazioni di queste divergenze è necessario fare un passo indietro e ripercorrere la storia del servizio di emergenza territoriale.

Fino a metà degli anni 80 le ambulanze erano presenti, ma non erano coordinate: Tutto si reggeva su soluzioni locali collegate ad una normativa del 1947, che attribuiva alla Croce Rossa Italiana il servizio di emergenza. La richiesta di soccorso, però, era talmente elevata e disorganizzata che, da sola, non permetteva a questo ente di farsene pienamente carico; nascevano così altre associazioni e piccole centrali operative (solo a bologna erano 8).

In questo contesto, la presenza del personale sanitario infermieristico e medico era sconosciuta ed il sistema era concepito completamente al di fuori dal sistema ospedaliero.

Col passare degli anni, nelle realtà più grandi si arrivò a concepire delle centrali di coordinamento in quanto era evidente che con il sistema così in essere vi fossero degli enormi ritardi nei soccorsi. Fino a quel momento a farsi carico dei soccorsi non era il Servizio Sanitario Nazionale, ma i comuni, che con il loro personale garantivano il trasporto dei pazienti dal territorio all’ospedale.

Negli anni 60, però, interviene un’importante modifica normativa sulle organizzazioni degli ospedali, in quanto veniva istituito l’obbligo dei servizi di Pronto soccorso. Questa norma, però, parlava dell’obbligo di fornirsi di adeguati mezzi di trasporto dei pazienti, ma non di soccorso.

Era dunque normato il trasporto secondario, ovvero da ospedale a ospedale, ma non quello primario.

Anche i numeri unici di emergenza sono mutati nel corso degli anni. Il primo numero fu il 116 dell’ACI, al quale seguì - nel 1968 - il 113, arrivando solamente nel 1990 al 118.

Il problema della non organizzazione di un sistema di emergenza territoriale si faceva però sentire sin dal 1967, in quanto a fronte di un’aumentata casistica di traumi della strada si invocava in una nota ministeriale ad una riorganizzazione del sistema, invitando i medici provinciali ad utilizzare il 116 per coordinare il soccorso stradale.

Proseguendo nella lettura, questa indicazione riportava due elementi di primaria importanza: il sistema di soccorso doveva essere effettuato da ambulanze idonee sia in termini di attrezzature che di personale e il paziente traumatizzato grave doveva essere trasportato in ospedali di riferimento (gli odierni hub) e non in quelli periferici.

Nel 1978, però, con la riforma sanitaria l’attività di soccorso preospedaliero era demandato alla singola struttura. La normativa non comportò un’omogeneizzazione del 118, anzi; venne codificato che il sistema di emergenza territoriale dovesse essere a carico del Pronto soccorso più vicino (che non sempre risulta essere il più idoneo) al paziente, con l’obbligo di adeguamento in termini di attrezzature diagnostico-terapeutiche dei Pronto soccorso più periferici e piccoli.

È innegabile che un sistema così concepito – ha affermato Vigna – portasse ad un arretramento di tutto il sistema di emergenza territoriale, non facendogli compiere alcun passo in avanti. Mentre tutto il resto del sistema sanitario si stava strutturando e veniva a crearsi la storia delle varie specializzazioni, il 118 era inesorabilmente fermo.

La nascita dell’organizzazione del sistema di emergenza

Florence Nightingale

La storia dell’emergenza territoriale ha un luogo cruciale ben preciso: Bologna, città che, per una serie di situazioni contingenti, si trovò nella situazione di dimostrare come il servizio di emergenza dovesse essere svolto con mezzi idonei ed esterni all’ospedale.

In una tragedia come la bomba della stazione centrale, che causò nello stesso attimo 85 morti e 291 feriti, si riuscì comunque ad effettuare un minimo di soccorso e triage sul posto, approcciando a quella tragedia in modo ragionevole. Fu proprio quello il motore che convinse le amministrazioni a procedere con la riorganizzazione del 118, anche se con colpevole ritardo.

L’attivazione del 118 sarebbe arrivata solamente nel 1990 e senza che vi fosse consapevolezza e condivisione a livello nazionale, in quanto la creazione di un sistema uniforme avrebbe richiesto un notevole dispendio di tempo. In occasioni dei mondiali di calcio di Italia 90 di decise comunque di partire col 118: Bologna fu la prima realtà implementata, seguita da Udine e via via da tutte le altre.

La norma che regola il 118 fu però promulgata nel 1992; la situazione fu che per due anni si rimase in balia dei 20 passati. Inoltre, il fatto che questa normativa avveniva post 833/78 vincolava al fatto che si potesse solamente pubblicare un atto di indirizzo e coordinamento, in quanto non era possibile legiferare.

Il decreto del 1992 presentava delle norme che nascevano al fine di orientare verso l’unitarietà del sistema. Una di queste riguardava gli standard dei mezzi e del personale, percorso che non si è mai fatto, così come la necessità di prevedere una dotazione tecnologica uniforme e un’uniformità dei contratti di convenzione. In quel momento le regioni avevano autonomia per organizzarsi, e così hanno fatto, creando un sistema disomogeneo.

Questa disomogeneità si riflette sino ai giorni nostri: ad esempio, la Lombardia e il Lazio hanno un’azienda unica che gestisce il 118, mentre la Sicilia gestisce solamente un pezzo dell’emergenza. Altre regioni italiane, invece, hanno affidato alle aziende oppure coordinano le attività delle singole aziende.

La non uniformità si riflette molto bene a livello macroscopico in quanto nelle regioni del nord (compresa la Toscana, Marche e Umbria) il fatto che fossero presenti già dei modelli preesistenti ha comportato che i sistemi che si venivano man mano a creare rispecchiassero le varie realtà, differenziandosi in questo modo tra loro.

Nelle regioni del Centro–Sud, invece, è presente una maggiore omogeneità in quanto la storia locale era meno importante e quindi la creazione del sistema 118 avvenne in maniera simultanea per tutte.

Alcuni dati fanno riflettere circa la difformità di organizzazione: basti pensare che il medico è presente nei soccorsi preospedalieri nel 100% dei casi in Molise e nel 3% in Basilicata; queste percentuali variano anche all’interno della stessa regione e anche per quanto riguarda la presenza dell’infermiere.

In conclusione, Vigna ha affermato come il 118 abbia ancora molto da fare e realizzare e che tutto si ritrova nel mancato consolidamento del sistema, che sarebbe l’elemento da superare per armonizzare il servizio a livello nazionale.

La sensazione, dunque, è quella che il sistema di emergenza territoriale, nei prossimi anni necessiti di un processo di verifica rispetto ai modelli organizzativi fondato su dati scientifici, condivida e promuova percorsi regionali per arrivare a norme nazionali che stabiliscano tipologie e competenze del personale, attivi dei percorsi di acquisizione di competenze avanzate in emergenza coerenti con il contesto operativo esistente e/o con le ragionevoli prospettive di evoluzione del sistema, cerchi di integrarsi col sistema ospedaliero traendone da questo forza grazie alla rotazione del personale e che, infine, sappia cogliere le opportunità di sviluppo delle competenze avanzate prioritariamente nei contesti favorevoli e nei quali operano professionisti motivati.

La strada da percorrere è ancora lunga ma per intraprendere questo percorso è necessario essere fiduciosi del fatto che tutto ciò sarà possibile, anche se non in tempi brevi.

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