Oggi ho consegnato all'ufficio protocollo la mia ventiseiesima domanda di trasferimento. Una al giorno, negli ultimi ventisei, in un mese. Ho seguito il suggerimento di un collega che lo ha fatto prima di me, riuscendo nella sua intenzione di farsi trasferire. Li ha presi per sfinimento, dice, rischiando tuttavia di essere mandato a quaranta chilometri da casa per punizione per aver osato insistere. Tanto, la nostra ulss comprende cinque ospedali. Uno vale l'altro, per loro e anche per le disposizioni di legge. Mica tengono conto della tua residenza. È un altro modo subdolo per farti licenziare quando non ti adegui o quando fai il prezioso e rifiuti trasferimenti laddove non hai chiesto. C'è chi resiste, nonostante spenda buona parte dello stipendio in benzina.
Infermieri: licenziarsi o non licenziarsi?
Andrò a fare il gelataio, piuttosto, come mi suggeriva quel sindacalista che ora siede alla tavola dell'Aran per il rinnovo contrattuale e che fa finta di lavorare per noi infermieri .
In fondo, non sto chiedendo di andarmi ad imboscare in qualche ufficio e servizio più leggero ma voglio andare in Pronto soccorso, un postaccio dove non vuole andare mai nessuno. Eppure, è da anni che non mi accontentano. Non capisco la loro ostinazione, senza darmi alcuna motivazione.
L'alternativa, mi suggeriva un altro collega che ha a cuore non soltanto la sua sorte lavorativa ma anche quella degli altri colleghi, è mettersi in malattia. Lunga, per mesi. Me lo ha detto una mattina all'alba, mentre fumavamo la seconda sigaretta prima di entrare a timbrare la giornata.
Mi vergogno sempre a farmi vedere fumare, non sono un bel vedere due infermieri che tabaccano davanti ad un ospedale , ma per Dio non riesco a smettere, sono troppo nervoso. Mi accorgo di essere diventato insofferente, non mi va di essere alla mia età e con la mia esperienza alla mercé dei capricci dei superiori.
Dipende sempre se gli vai a genio . Altrimenti non mi spiego perché altri invece riescono a farsi cambiare spesso o ottengono il posto che preferiscono. E, inspiegabilmente, non vuol dire che siano professionisti più bravi.
Dicono funzioni meglio darsi malato . Mi dicono che ci sono infermieri che presentano consulenze psichiatriche pur di farsi trasferire in qualche ufficio, lontani dalla clinica e dalle responsabilità.
A volte sono sotterfugi, spesso si sono scompensati per davvero. In un modo o in un altro spero di riuscirci, dopo venti anni di geriatria sarebbe anche il mio turno di cambiare aria. Ho quasi cinquant’anni e la pensione è ancora lontana. Sono stanco, sento che non ce la faccio più.
Mi dà fastidio tutto dell'ospedale
L'andazzo, soprattutto quello dei colleghi. Mi scontro ogni giorno con infermieri dall'andatura lenta , poco gentili con l'utenza, con poca voglia di darsi da fare, che lavorano (poco e male) facendo il minimo sindacale per la paga del 27, che contano i giorni che mancano a quelli di ferie.
Tanta demotivazione sarà pure colpa della politica, della scarsità di risorse economiche, della frustrazione per gli stipendi bassi e della mancata valorizzazione del personale, ma se andiamo avanti così saremo noi a dare il colpo di grazia alla sanità pubblica .
Imploderemo, dopo che negli ultimi decenni le hanno provate tutte per farci esplodere. Se non ci diamo tutti una regolata saremo compartecipi nel mandare allo sfascio il sistema sanitario ancor prima dell'autonomia differenziata .
Io invece avrei ancora voglia di dare qualcosa a questa azienda che mi ha assunto, credevo veramente allora che puntasse su di me, ma me la stanno facendo passare. Se non amassi ancora il mio lavoro, non avrei chiesto di andare in Pronto soccorso. In fondo, non ho chiesto un turno giornaliero, dal lunedì al venerdì né di essere esonerato dalle notti
Potrebbe anche capitarmi, realizzo mentre spengo la sigaretta, come a quell'altra collega che è salita nell'ufficio delle Professioni Sanitarie qualche giorno fa. Rischio che mi venga messo davanti il modulo prestampato per rassegnare le dimissioni. Lei chiedeva soltanto di essere esonerata dalla reperibilità, pur restando nella stessa unità operativa, per assistere il padre malato.
La legge 104 non le basta per far fronte alle necessità di accudimento del familiare, non può lasciarlo incustodito ad ogni chiamata urgente dall'ospedale. Le sue priorità di vita ora sono inconciliabili con le aspettative e le esigenze del lavoro. Chiedeva soltanto qualche mese di respiro, non le è stato concesso. Non l'ho più vista in giro, nei corridoi o in mensa. Forse ha firmato davvero per andarsene. Ha fatto la sua scelta, l'unica possibile di fronte a certi bivi della vita.
Dicono che siamo pochi, merce rara. Che senza di noi gli ospedali chiudono
Perché allora ci trattano così? Siamo gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale, su di noi hanno fondato un sistema di onorata e gratuita difesa della salute pubblica, seconda soltanto a quello del National Health Service britannico, fintanto che per decenni ha funzionato.
Se un tempo gli ospedali avevano il lusso di scegliere i migliori, in concorsi in cui si presentavano in migliaia lasciandone tanti esclusi, oggi invece mantengono il lusso di perdere quei pochi che ancora aspirano a lavorarci, per convinzione ideologica o per la sicurezza del posto fisso.
Non fanno nulla per trattenere le fughe dei migliori professionisti che denunciano inadeguate condizioni di lavoro né per contenere il malcontento di tutti gli altri, che per necessità di portare a casa uno stipendio nel sistema ci devono rimanere per forza.
Gli ospedali neppure più ascoltano i nostri disagi e le nostre lamentele, fanno prima a dirti che non sanno come fare per venirti incontro, ti dicono di resistere, di tenere duro. Oppure sono i primi a suggerirti di cercare altrove, magari nel privato, per non ammalarti di lavoro. Sembra evidente che nemmeno il Servizio Pubblico creda più in sé stesso ed ha perso di vista la sua mission se lascia andare così la sua inestimabile manodopera.
Forse la ragione sta nel fatto che siamo sostanzialmente dei poveracci, figli della classe operaia. L'ennesima conferma della bassa considerazione sociale verso gli infermieri a livello globale è arrivata quando la stampa mondiale ha annunciato la nomina del nuovo primo ministro inglese, raccontando la sua biografia.
Il labourista Keir Starmer , seppur nella vita sia diventato dapprima un avvocato dei diritti umani e poi Procuratore tanto da essere nominato Sir o baronetto, ha umili origini. Scrivono che viene da una povera famiglia di operai, suo padre era un artigiano e sua madre, sottolineano, un'infermiera.
Nessun figlio di ricchi, in Gran Bretagna come in altri parti del mondo, fa l'infermiere . Diciamocelo. Tutt’al più fanno i medici. I giovani inglesi di famiglia borghese non aspirano più a questa professione, nemmeno se guadagnano quattro volte più che da noi.
Si sentono dei poveracci a fare gli infermieri anche i figli degli operai, ormai . Sono quelli italiani, ben contenti di guadagnare così tanto, che vanno ad assistere i pazienti inglesi ed hanno come colleghi gli indiani, i coreani, i filippini.
Me lo ha confidato un infermiere che è a Londra da dieci anni ormai e che ha fatto carriera . Mi spiega che li pagano così tanto perché altrimenti non troverebbero nessuno per tenere in piedi il NHS, tutt'oggi comunque in profonda crisi per la scarsità di personale. Forse nemmeno gli indiani bastano ad un certo punto, con il tempo cercano lavori migliori pure loro. Si prevede che anche in Italia gli organici nei reparti diventeranno multietnici.
Nonostante la nobiltà e il valore della nostra professione e l'alta specialità delle nostre competenze, siamo quindi trattati come operai, persino sottopagati . Un metalmeccanico o un lavoratore delle acciaierie guadagna di più.
Sebbene l'Ordine si spenda in belle parole durante gli incontri istituzionali e i sindacati tentino di portare a casa risultati, con vertenze e sentenze, non riusciamo mai ad emergere dal comparto, in cui ci hanno ammucchiato nel calderone delle professioni sanitarie non mediche, a migliorare i contratti, a farci rispettare.
A me sembra che in molte occasioni, poi, le organizzazioni sindacali stiano più dalla parte della dirigenza piuttosto che dalla nostra. Stanno un po' sempre nel mezzo, senza fare affondi troppo lunghi e pesanti. Del resto, penso che anche i sindacalisti sono politici o politicanti, guardano al proprio prestigio personale e cavalcano i mal di pancia della categoria. Se ci sono problemi sono i primi a consigliare di tenere un profilo basso. A me è capitato.
Un giorno un sindacalista ha avuto la sfrontatezza di dirmi che i giovani farebbero meglio andare in Germania a fare i gelatai piuttosto che iscriversi ad Infermieristica. Sono andato a casa e ho stracciato la tessera del sindacato. Come può uno così rappresentare gli infermieri e valorizzare la professione se non crede in quello che fa o non ha la forza di lottare?
E che dire degli infermieri dirigenti che dovrebbero avere a cuore la sorte di uno di loro, tra gli infermieri rimasti semplicemente infermieri? Forse basta indossare un camice bianco sopra la divisa e sedere ad una scrivania dei piani alti, facendosi chiamare dottore, per dimenticare ciò che sono stati e come pensavano quando facevano i turni, le notti, gli straordinari, saltavano i riposi e anche le loro domande di trasferimento venivano lasciate in un cassetto?
Ho sempre pensato che per capire e risolvere i problemi degli infermieri ci volesse un infermiere nei posti di comando, uno capace con i titoli giusti e una gran voglia di fare bene. Mi sbagliavo .
Alla fine, anche gli infermieri in giacca e cravatta che diventano importanti non riescono a fare un granché quando raggiungono certe posizioni organizzative . Forse si scontrano con il sistema a cui devono dare conto o forse è più facile fare il proprio tornaconto personale.
Chi va al mulino si infarina, dice un proverbio. Un dirigente infermieristico, che un giorno mi hanno presentato ad un convegno dell'Opi, non mi ha nemmeno ascoltato. Mi ha detto di rivolgermi alla sua segretaria, guardandomi dall'alto in basso.
Forse dovremmo anche ammettere che non tutti gli infermieri sono bravi professionisti
Accanto a tanti che sono pieni di master di specializzazione, ce ne sono tanti che non si aggiornano e che hanno perduto competenze. Oltre a quelli eccellenti che mettono in luce l'infermieristica, c'è purtroppo una massa di infermieri mediocri.
Che non sanno usare la tecnologia, che hanno perso la gentilezza, che non sanno scrivere una mail, che non sanno mettere insieme un discorso, che non riescono a sostenere un dialogo alla pari con la dirigenza medica. Che non tengono la testa alta, forti del proprio orgoglio e sicuri del proprio sapere.
Che sanno solo lamentarsi, aspettando che qualche altro infermiere più intraprendente decida di esporsi per segnalare qualcosa che non va. Ci sono tanti infermieri poi che hanno la malattia facile e che non si vergognano né si sentono in colpa se il loro turno deve essere coperto dagli altri colleghi.
Non ci si può nemmeno lamentare di queste dubbie e ripetitive assenze, perché i coordinatori ti rispondono che la malattia è insindacabile. Seppur dubitabile, persino far uscire il medico fiscale ad indagare sull'autenticità della malattia è diventato un costo per le aziende sanitarie.
Eppure questi infermieri non vengono minimamente puniti né ripresi verbalmente. Si tollerano anche atteggiamenti e comportamenti poco etici, come quando rispondono in malo modo all'utenza e non svolgono il proprio dovere. Tanto c'è sempre qualche altro infermiere che ci mette una pezza , che si fa in quattro, che fa una bella figura e tiene ancora alto il buon nome della struttura.
Persino la produttività, che dovrebbe essere data a seconda della scheda di valutazione del dipendente, viene equamente spartita senza alcuna differenza di compenso tra chi fa e chi non fa. In fondo i giudizi sono tutti uguali, il punteggio è unanimemente al 100%.
Dopo tanti anni in ospedale abbiamo tutti ben capito che siamo numeri
Che quando serve ti trasferiscono “per le vie brevi” dove vogliono, senza troppi preamboli e da un giorno all'altro. Le opzioni di scelta si riducono a una o due, sebbene ci siano posti scoperti in tutto l'ospedale. L'essenza della nostra condizione sta nella natura del nostro rapporto di lavoro.
Siamo appunto dipendenti, non liberi.
In virtù di un contratto che ci tutela come lavoratori, perdiamo alla fine l'amore per la professione a causa dei vincoli sottaciuti, delle stressanti e pesanti condizioni di lavoro e delle dinamiche che si instaurano nel pubblico impiego operaio. Il prezzo da pagare è questo.
Per sfuggire alla condizione dell'infermiere-operaio medio, sono migliaia gli infermieri che ogni anno ottengono la laurea magistrale ed acquisiscono vari titoli specialistici. Sembra che nessuno voglia più fare l'infermiere di corsia. Tanti cercano di migliorare così la propria prospettiva, per avere chissà quando opportunità di carriera. Risultano infatti in esubero rispetto ai posti attualmente disponibili.
Io voglio solo andare a finire la mia nel Pronto soccorso della mia città, dove volevo stare dall'inizio . E non mi va di emigrare per sperare di stare meglio. Mi faccio anche bastare lo stipendio che mi danno ma vorrei almeno un po' di soddisfazione professionale. Andare a lavorare con entusiasmo.
Se stavolta non mi valorizzano almeno nella scelta, è la volta buona che mi licenzio pure io. Per andare dove? Il privato sarebbe la scelta più obbligata e comoda. Ma se stavolta cedo, rinuncio del tutto a questa professione. Cambio mestiere perché me l'hanno fatto odiare , io che l'ho tanto amato.
Andrò a fare il gelataio, piuttosto, come mi suggeriva quel sindacalista che ora siede alla tavola dell'Aran per il rinnovo contrattuale e che fa finta di lavorare per noi infermieri. Anche stavolta riuscirà infatti a portare a casa ben poco. Forse è meglio che mi licenzi in ogni caso.
Se mi dicono che sono ancora spendibile dove sono e che per me non c'è un posto diverso in questa azienda, licenziarsi diventerebbe una forma di libertà. Non voglio essere più spremuto come un limone .
Del resto, la dirigenza sa che, nonostante le mie pretese, sono in fondo un poveraccio che ha bisogno di lavorare. Il sistema mi mette alla prova, sa che una volta entrato si fa fatica a farne a meno. Fuori da un ospedale il mondo può essere migliore, ma anche peggiore.
Il privato e la libera professione sono salti nel vuoto. Se non mi accontentano e decido di restare, giuro che però divento come uno dei tanti che lavorano poco e male.
Manderò malattia una settimana al mese, come fanno gli altri, non sarò più propositivo, smetterò di risolvere i problemi al coordinatore che poi si prende lui i meriti, imparerò a stare al mio posto, nell'ombra. Manterrò quel profilo basso, suggerito dai sindacalisti, per sopravvivere. Se ce la faccio, perché tengo ancora una etica e una coscienza.
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