Gli infermieri mancano, sono globalmente pochi e l'Italia, che ne ha formati tanti di valore sino a qualche decennio fa, non fa ora eccezione. Sebbene se ne discuta a livello istituzionale, sembra che l'allarme non desti troppa preoccupazione tra la popolazione. Del resto, è noto che un'emergenza non è più tale se una condizione emergenziale irrisolta diventa cronica, ci si abitua anche alle peggiori condizioni. Le proposte di soluzioni, poi, seppur difficili da trovare, vengono considerate sempre più penose dagli esperti. Si ritiene che il problema nasca anche da una scarsa lungimiranza in termini di strategie attrattive, formative ed occupazionali del passato. Ora che la penuria comincia a farsi drammaticamente evidente, se si proiettano le stime per il prossimo decennio, si cercano infermieri ovunque, persino dall'altra parte del mondo, togliendoli da sistemi sanitari più fragili perché servono al nostro indebolito, sfiancato, impoverito, senza curarsi troppo se la carenza di professionisti diventa più grave laddove si è preso in prestito.
Chi sono gli infermieri che sviluppano quiet quitting
Gli infermieri mancano, ma l'allarme sembra non destare abbastanza preoccupazione.
Sembra che soltanto ora che stanno venendo a mancare - per varie ragioni mai forse davvero indagate con l'intenzione di risolverle in maniera efficace e duratura - soltanto ora che ci si trova di fronte ad un gigantesco bisogno di salute e di assistenza si provi maldestramente a fare qualcosa.
La soluzione più facile che si sta adottando in qualche Regione italiana, che si propone altresì apripista per l'intera nazione, sembra quella di importare persone , come si fa con i prestatori d'opera.
Da come se ne parla, sembra che si tratti questa onesta manodopera straniera come quella più povera, alla stregua dei minatori italiani che nel secolo scorso emigravano in Belgio o salpavano verso l'America. È pur vero che gli altri Paesi, impantanati nello stesso problema, pensano a soddisfare il proprio fabbisogno rubando i nostri, ma lo fanno con una sostanziale differenza: gli infermieri che se ne vanno all'estero vengono trattati come una merce rara e preziosa ed hanno un costo che altri Governi sono disposti a pagare bene.
Così anche i nostri infermieri - i migliori, i più giovani o forse solo quelli più intraprendenti - se ne vanno a migliaia ogni anno, attratti e lusingati da sistemi sanitari diversi che danno loro valore. Non si tratta solo di avere un prezzo migliore, ottengono riconoscimento e ricevono una vision.
Visto che la professione è definita d'intelletto, rappresentano pertanto un'altra fuga di cervelli. Fuggono altrove, qualsiasi continente può fare al caso proprio. Non importa che sia la Norvegia, l'Oriente o l’Oltreoceano.
Basta andare in un posto che garantisce buste paga sostanziose, offre opportunità di crescita professionale, promette e mantiene prospettive di avanzamento di carriera. Quando queste tre condizioni si realizzano significa che in quel nuovo luogo di lavoro e di vita esiste il principio della meritocrazia.
Trovano un posto dove le capacità vengono misurate per davvero, dove non si è tutti uguali pur essendo dipendenti pubblici. Dove uno che vale cento non è paragonato a uno che ne vale cinquanta. Dove è impensabile, come invece avviene qui, che chi merita un punteggio di gran lunga inferiore viene comunque valutato con positività, ai fini della produttività.
La differenza tra un professionista eccellente ed uno incapace, nel senso che ha perso le sue competenze, o di uno che non ha più voglia di fare bene, vale uno scarto di due punti sulla valutazione finale annuale. Sminuire il valore di un bravo lavoratore, rendendolo equipollente ad un altro mediocre, è oltremodo offensivo.
Oltre a denunciare carenze e fughe dei professionisti della salute, occorrerebbe anche indagare la qualità degli operatori sanitari che il SSN ha ancora a disposizione , trattandosi di una compagine di poche centinaia di migliaia di infermieri che presentano caratteristiche diverse, in termini di anni di attività lavorativa, di stanchezze accumulate, di aspettative deluse, di competenze acquisite e capacità espresse. Di caratura e di spessore.
Non basta infatti indossare la stessa divisa per uniformarsi al proprio profilo, occorre riconoscere che ci sono diversi livelli di professionalità e che c'è sempre qualche infermiere che si distingue tra la massa anonima della categoria, diventando responsabile di far crescere la professione anche migliorandone l'immagine sociale.
Come occorre riconoscere che ci sono tante ragioni per cui gli infermieri sono venuti con il tempo a mancare, così bisogna ammettere che ci sono tante forme di fuga. Per fuggire non serve necessariamente emigrare, cercando altrove ciò che si pensa di valere e di meritare. Si fugge spesso anche restando al proprio posto , senza neppure dimettersi o cambiare lavoro. Si fugge ancor prima di essere mandati a riposo.
Se la fuga all'estero è sempre la fuga in avanti di chi crede ancora nella professione e vuole investire su sé stesso, il fuggire di chi resta non è nemmeno un andare indietro ma è un fermarsi. Questo stato forse non è neanche una fuga ma piuttosto un abbandono.
È il fenomeno sociale del quiet quitting
L'abbandono silenzioso di un professionista, quando decide di arrendersi o comunque di riprendersi la propria libertà senza passare per le dimissioni. Il neologismo, nato sui social nel 2022, definisce coloro che si rifiutano di andare oltre sul lavoro, sia in termini quantitativi che qualitativi. Nella pratica si traduce nella scelta del lavoratore di ridurre il proprio impegno .
È disposto ad eseguire solo il minimo indispensabile, compatibilmente con le ore definite da contratto. Pur svolgendo rigorosamente le attività assegnate, ci si limita a rispettare il proprio orario di lavoro, facendo il minimo sindacale, lo stretto necessario per non essere licenziati. Si rifiutano straordinari e la partecipazione a nuovi progetti aziendali, si dice basta a ore di lavoro non retribuite e alla disponibilità continua, 24 ore su 24.
Secondo recenti definizioni, sono quiet quitters coloro che tendono a salvare posto e stipendio ma con il freno a mano tirato e senza volere responsabilità aggiuntive. Rifiutano qualsiasi richiesta per soddisfare la quale occorra uno sforzo diverso rispetto alla routine.
Vogliono il solito lavoro per accumulare le ore necessarie per avere lo stipendio, non interessa altro che arrivare a fine mese senza fare troppa fatica. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno è particolarmente esteso, il quiet quitting viene anche considerato positivamente come un nuovo approccio all'attività professionale, meno totalizzante e meno impattante sulla vita delle persone, per non togliere spazi, tempi ed energie ad altri aspetti della vita ritenuti più importanti.
Generalmente nasce perché si prova insoddisfazione per le proprie condizioni lavorative o non si ama più il proprio lavoro . Può essere un atteggiamento temporaneo, se persiste, non dovrebbe essere derubricato a svogliatezza o poca serietà.
Di solito dietro il quiet quitting si nasconde un malessere che andrebbe indagato. Potrebbe essere sempre dietro l'angolo, perché i fattori favorenti possono essere molteplici. Sono a rischio anche tutti coloro che lo pensano, il quiet quitting, ma non lo mettono in atto soltanto perché, pur vedendolo dilagare tra i colleghi e desiderando similmente applicarlo, hanno radicato ancora un forte senso del dovere e del fare bene, maggiore e migliore di quanto richiesto, che è duro farsi scivolare via.
I primi segnali di quiet quitting si manifestano quando, non potendo fuggire per cambiare, si cercano altre vie così da allontanarsi, emotivamente e fisicamente, dagli aspetti del lavoro di cui si perde il controllo o che non fanno più stare bene. Insorgono quando non ci si può permettere il lusso di licenziarsi perché lo stipendio serve. Si intrufola quando si realizza che gli anni che mancano alla pensione sono ancora tanti davanti, serpeggia persino quando sono pochi ma non ce la si fa più.
Esplode quando si capisce che la meritocrazia nel pubblico è soltanto una parola vuota, perché in realtà uno vale l'altro. Implode quando ci si rende conto che non esiste nemmeno il richiamo al collega che ha una condotta non consona al proprio ruolo, all'etica e al decoro.
Gli infermieri che sviluppano quiet quitting sono quelli che, alla fine, restano. Perché gli tocca, non c'è via di scampo, o è più comodo, o non sanno come fare a migliorare la propria condizione. Accettano di restare ma lasciano a casa cervello ed entusiasmo. Sono largamente diffusi più di quel che si crede, anche se si confondono prima o poi si rivelano con una frase di insofferenza verso il sistema, l'azienda, il collega. Li scopri alla pausa caffè quando si sfogano o restano indifferenti ad un problema di lavoro oppure quando viene chiesto di più e si tirano indietro, senza farsi troppi riguardi né vergognarsi del proprio scarso rendimento.
I decisori politici dovrebbero pertanto preoccuparsi anche dei quiet quitters, parimenti degli infermieri che non ci sono e di quelli che se ne vanno, poiché il fenomeno non è meno pericoloso. Considerando che sono quelli che restano a tener in piedi in qualche modo il sistema, pur senza investire cervello e metterci entusiasmo in quello che fanno, il quiet quitting non può essere sconosciuto, restare sottostimato né sottovalutato.
Occorre agire sui fattori scatenanti, creando condizioni di lavoro migliori che diano prospettive ed opportunità, cambiando paradigma nonché migliorando la gestione dei sistemi sanitari e l'organizzazione aziendale. Lo scopo è riorientare pertanto questi lavoratori, facendo loro recuperare una visione.
Per farlo occorre necessariamente agire su ambienti di lavoro malati, dove i carichi sono eccessivi e non equilibrati, dove si guadagna poco rispetto alle responsabilità che vengono richieste, dove non si riceve gratitudine quando si lavora bene né consigli per migliorare quando si sbaglia.
Diversamente, potrebbero arrivare in Italia tutti gli infermieri stranieri che si riescono a recuperare da qualsiasi parte del mondo ma rischierebbero, presto o tardi, di imbattersi nella stessa insoddisfazione e anche loro, silenziosamente, si ritroverebbero inclini all'abbandono. Tutti hanno diritto al lavoro e di andare a lavorare con il sorriso. Tutti meritano di trovare opportunità dove sono, senza fuggire altrove, seppur restando o senza partire.
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