In Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi il 33% dichiara di voler lasciare la professione, dato che corrisponde a circa l’11% del campione generale. Sono dati emersi dallo studio RN4CAST che riguardano una tendenza confermata anche da studi successivi effettuati in altri paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti.
Abbandonare la professione, sempre di più gli infermieri che ci pensano
È di pochi giorni fa la notizia di una coordinatrice infermieristica che si è dimessa per un posto da segretaria. Il fenomeno dell’abbandono della professione infermieristica è sempre più crescente, esacerbato dagli ultimi anni di pandemia e riguarda sempre di più persone di età media superiore ai 40 anni.
L’intenzione di lasciare è definita come la probabilità che gli infermieri lascino la loro attuale posizione per un’altra posizione o la probabilità di lasciare la professione definitivamente.
L’intenzione di lasciare è un indice predittivo di turnover anche se bisogna fare una distinzione tra turnover e intenzione di lasciare la professione, benché fortemente correlati. Nello studio RN4CAST, uno degli studi più solidi, rigorosi e di ampia portata che sia mai stato effettuato e che ha interessato diversi paesi europei compresa l’Italia, si è indagato, in epoca pre-pandemia, oltre a fondamentali fattori come la sicurezza del paziente correlata al rapporto infermiere/paziente, i tassi di mortalità, le missed nursing care (ovvero le cure mancate), anche l’intenzione di lasciare. In Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare il luogo di lavoro entro 12 mesi; di questi il 33% dichiara di voler lasciare la professione, dato che corrisponde a circa l’11% del campione generale.
Questi dati sono confermati anche negli studi successivi effettuati in altri paesi del mondo compresi gli Stati Uniti. Per quanto l’argomento sia fortemente dibattuto e complesso e per quanto difficile fare una sintesi del fenomeno dell’abbandono, ci si chiede quali siano i principali fattori che spingono gli infermieri a pensare di lasciare il proprio ambiente di lavoro o addirittura la professione e quali strategie le organizzazioni mettano in campo per arginare l’emorragia di personale sanitario che riguarda anche e sempre di più il personale medico.
Le riforme sanitarie orientate al controllo della spesa e al rafforzamento delle cure territoriali hanno avuto come effetto la riduzione dei posti letto per gli ospedali, che devono concentrarsi sul trattamento delle acuzie, alla riduzione delle giornate di degenza e un sensibile aumento della complessità assistenziale dei pazienti ricoverati.
I tagli alla spesa sanitaria hanno interessato in primo luogo le risorse umane che già da tempo soffrono una carenza cronica. Con l’avvento della pandemia molte risorse economiche sono state impiegate per l’assunzione di personale sanitario in un sistema fortemente provato dalla carenza di organici, ma resta comunque il dato dell’OMS dove si prevede - entro il 2035 - una carenza di operatori sanitari di circa 12.9 milioni dove gli infermieri rappresentano una elevata percentuale. Inoltre, in alcuni studi si è evidenziato che rispondere alla carenza di organico con personale interinale o temporaneo non riduce il tasso di cure mancate, con tutto ciò che ne consegue.
L’impatto della pandemia da Covid-19
Con la pandemia Covid-19 sono peggiorate le condizioni di lavoro, lo stress, l’insoddisfazione del personale infermieristico, che si è trovato in prima linea a fronteggiare un’emergenza sanitaria senza precedenti lottando contro un nemico sconosciuto, contro la paura e all’inizio con scarsissime protezioni, facendo i conti anche con la perdita di colleghi e amici.
In alcuni studi si è evidenziato un dato allarmante, ovvero che il personale che dichiara di voler cambiare o lasciare il luogo di lavoro appartiene alla fascia di età più giovane e che ha iniziato a lavorare da meno di 3 anni.
In uno studio sui determinanti dell’insoddisfazione del personale infermieristico nel regno unito, si cita un dato del Royal College of Nursing dove tra settembre 2017 e settembre 2018 hanno lasciato la professione infermieristica circa 2532 persone in più rispetto a quelle che hanno iniziato con l’effetto di avere nel 2019 circa 40000 posti vacanti.
Inoltre, l’infermiere si trova a scegliere tra il rischio per il paziente e rischio per la propria salute e nella maggior parte dei casi egli sceglie la sicurezza del paziente mettendo fortemente a rischio la propria salute. L’eccessivo turnover infermieristico ha un effetto dirompente sui processi organizzativi e sulla efficacia dell’assistenza, sulla sicurezza del paziente e sui suoi outcomes.
Dove è più alta l’intenzione di abbandonare la professione
L’intenzione di andarsene è più alta nei contesti con elevato assenteismo, elevati indici di stress lavoro-correlato, insoddisfazione e burnout.
In realtà non è tanto la carenza di organico in sé che desta preoccupazione, ma le sue conseguenze e soprattutto la percezione di assenza di supporto manageriale. Il continuo rimando alla carenza di organico, seppur rappresenti concretamente una fortissima criticità, genera nel personale infermieristico incertezza sul proprio futuro e la perdita di fiducia nell’organizzazione e nei dirigenti, compromettendo il clima organizzativo, il senso di appartenenza e l’impegno lavorativo.
La percezione di non offrire cure di qualità, lasciare incompiuto un lavoro, non riuscire a fare pause, ricorrere al lavoro straordinario hanno un impatto diretto sul benessere fisico e mentale degli infermieri, che si sentono sottovalutati, privi di potere, intimiditi e vulnerabili all’errore.
Secondo un recente sondaggio sulla soddisfazione sul lavoro negli Stati Uniti il 55% degli intervistati ha dichiarato di non avere abbastanza tempo da dedicare ai pazienti e il 33% era pronto a lasciare la sua attuale posizione.
Molti studi hanno dimostrato che la fiducia è un fattore positivo fondamentale per la cooperazione all’interno dell’organizzazione, nelle relazioni e che è positivamente correlata al work engagement e alla soddisfazione. Leader affidabili e che promuovono la fidelizzazione sono in grado di muovere il senso di appartenenza, l’impegno e la soddisfazione per il proprio lavoro.
Costanti legate al desiderio di abbandonare la professione di infermiere
Ci sono degli elementi costanti negli studi che hanno indagato l’intenzione di lasciare e il turnover:
Tra questi la soddisfazione, lo stress e gli stili di leadership sono gli elementi più ricorrenti nelle indagini che esplorano l’intenzione di lasciare. Un carico di lavoro elevato, complessità assistenziale elevata e la percezione di depersonalizzazione espone inoltre l’infermiere ad esaurimento emotivo, che è uno dei presupposti per la condizione di burnout e per l’intenzione di lasciare.
La letteratura in merito al tema dell’intenzione di lasciare è ricchissima e oggetto di forte interesse per studi futuri soprattutto in relazione alla pandemia, che ha avuto un effetto amplificante la preesistente carenza di organico e in relazione all’effetto che l’emegenza Covid-19 ha avuto sulle condizioni di stress psico-fisico del personale sanitario.
La sfida delle organizzazioni sanitarie sarà fronteggiare la sempre maggiore carenza di personale a fronte di condizioni di lavoro estremamente stressanti e alla luce delle evidenze fornite dalla letterature mettere in atto misure di contenimento e miglioramento dei fattori che spingono gli infermieri al turnover, a cercare lavoro in altri Paesi o, in casi estremi, a lasciare la professione.
cinzia57
3 commenti
RISPOSTA
#5
SONO DACCORDO SUL FATTO CHE SI POTEVANO RISPARMIARE DI PAGARE TUTTI QUEI VIROLOGI . NON CONDIVIDO CHE CHI LAVORA IN SANITA' MEDICI ED INFERMIERI NON CREDONO NELLA SCIENZA E NELLA RICERCA. I SANITARI DOVEVANO ESSERE I PRIMI A VACCINARSI SENZA CHE NESSUNO LI OBBLIGASSE SAREBBERO STATI D'ESEMPIO PER LA POPOLAZIONE. QUANDO MEDICI E INFERMIERI NON CREDONO NELLA SCIENZA SAREBBE BENE CHE FACESSERO ALTRO. NON SONO SOGGETTI CHE POSSONO ASSISTERE I PAZIENTI , CONSIGLIARLI ED AIUTARLI NEI LORO BISOGNI. CON I PAZIENTI BISOGNA ESSERE CREDIBILI E NON LO SIAMO NEL MOMENTO STESSO IN CUI NON CREDIAMO IN QUELLO CHE FACCIAMO. LE DIREZIONI LIMITANO NON PER LE VACCINAZIONI MA METTONDO A RISCHIO LA SALUTE DEGLI OPERATORI E DEI PAZIENTI IMPONENDO TAGLI DI SPESA SULLE FORNITURE SULLE DEGENZE E NON ASSUMENDO PERSONALE QUALIFICATO.. i TAGLI VENGONO IMPOSTI DALLO STATO ,DALLE REGIONI ED I VARI DIRETTORI DELLE AZIENDE SANITARIE SI ADATTANO PER TENERE IL LORO POSTO E PRENDERE GLI INCENTIVI. LE AZIENDE SANITARIE VENGONO CONSIDERATE DELLE FABBRICHE CHE PRODUCONO MALATI PIU' O MENO UTILI ALLA COMUNITA'. DI CONSEGUENZA UN COSTO. IN REALTA' OGGI NON E' COSI' PERCHE' TANTISSIME MALATTIE UNA VOLTA INVALIDANTI OGGI NON LO SONO PIU'VISTO LA MODERNA TECNOLOGIA E LA DIAGNOSTICA PRECOCE. E SI DOVREBBE PUNTARE SU QUESTO ARGOMENTO. LA SANITA' PRODUCE SALUTE. LA MALA SANITA' PRODUCE MALATTIA E COSTI SEMPRE PIU' ALTI PER LA SOCIETA'. QUESTO DOVREBBE ESSERE LO SLOGAN DI PUNTA ANCHE PERCHE' I FATTI DOVREBBERO DARCI RAGIONE. PER AVERE BUONA SANITA' CI VUOLE PERSONALE QUALIFICATO E MOTIVATO. NEGLI ANNI PASSATI QUALQUNO AVEVA CERCATO DI PROTESTARE SULLE SCELTE SCELLERATE FATTE DAL GOVERNO DEL MOMENTO MA ERANO SOLI. ANZI VENIVANO ZITTITI E DEMANSIONATI.. OGGI QUESTO E' IL RISULTATO. CON UNA PANDEMIA NON ANCORA DEL TUTTO DEBELLATA ED UN GUERRA IN CORSO SARA' DURA FARSI SENTIRE.