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codice deontologico infermieri

Valutazione generale: i contenuti

di Giordano Cotichelli

Il nuovo Codice Deontologico si apre con il Capo I dal titolo: I principi e i valori professionali. Chi si aspettava una mera elencazione da prendere in considerazione nei momenti difficili, probabilmente è restato deluso. L’impianto generale, seppur meritorio nell’intenzioni, rivela un paio di criticità ed un orizzonte di riferimento declinati in maniera non necessariamente funzionale.

Se l’infermiere non fa distinzione getta basi per trattamenti diseguali

Nel primo caso ci si riferisce alla libertà di coscienza che, in un paese dove in alcuni casi – si pensi all’IVG – l’obiezione di coscienza arriva ad interessare circa il 90% del personale sanitario, mettendo in forse l’erogazione stessa del servizio e la fruizione di un diritto, di certo è un argomento che merita un’attenzione ulteriore.

Il termine poi di sicurezza, espresso nel primo articolo - chiaro nelle intenzioni dei redattori - può risultare pericoloso nell’interpretazione generalista (anche nell’articolo 11), visto l’uso e l’abuso che in questi ultimi anni in termini politici ed elettoralistici se n’è fatto.

Assente anche la condizione anagrafica in termini di età, considerando che c’è differenza fra l’assistenza a bambini, adulti, anziani, adolescenti, ecc. La definizione “si astiene” da ogni forma di discriminazione è abbastanza brutta, sembra quasi una sospensione del giudizio, mentre le discriminazioni vanno condannate sia durante l’esercizio della professione sia in ogni altra condizione.

Da ultimo il concetto di etnia, tolto in fase di correzione nella versione del 2009, che ritorna nonostante sia abbastanza controverso oggigiorno, dato che molti studiosi lo stanno mettendo in discussione nella sua validità scientifica e classificatoria e ne vedono un portato discriminante pericoloso, comportandosi di fatto come un sinonimo di razza.

Il Capo II declina il concetto di responsabilità molto spesso in relazione a cultura, competenze, conoscenze (validate), educazione, ricerca, formazione e aggiornamento. Buona cosa in generale con il solo neo presente nell’articolo 7, riferito a quello delle disuguaglianze di cui si auspica la riduzione, mentre in realtà esse, le disuguaglianze – collegandole anche alla lotta contro le discriminazioni – devono essere eliminate e non ridotte.

L’articolo 11 registra il portato professionale in relazione al campo aperto di intervento di una nuova concezione, liberale e individualista, in cui il professionista sarà sempre più chiamato ad operare e confrontarsi, con tutti i pro e i contro cui potrà andare incontro. Interessante in questo approccio, considerando però che ci si trova in una società in cui il pensiero liberale vero trova difficoltà di realizzazione, stretto fra corporativismi, clientelismi e nepotismi vari.

Il Capo III non dà per scontato come possano svolgersi i rapporti professionali e cerca di declinare più che le varie situazioni possibili, gli elementi caratterizzanti i rapporti. Nel Capo IV risalta come si rischi di appiattire il rapporto con gli assistiti su dimensioni cliniche e fisiche, in particolare la sofferenza, il dolore, il fine vita, i maltrattamenti, le privazioni.

In alcuni casi sarebbe forse stato meglio un riferimento generico allo stato di bisogno, in altri una maggiore declinazione delle situazioni da considerare. Non si capisce perché non si sia fatto alcun accenno alla valutazione delle criticità/risorse rappresentate dai genitori nella relazione con i minori.

Il Capo VI è quello dell’organizzazione sul quale molti articolisti si sono soffermati parlando di infermiere manager, partecipazione al governo clinico, responsabilità apicali e molto altro.

Qui è presente anche il controverso articolo 35, quello sulla contenzione. Nella proposta del Codice del 2016 la contenzione non c’era, mentre in precedenza (art. 4.10 del 1999 e art. 30 del 2009) era abbastanza sintetica.

Poche parole per sottolineare l’eccezionalità del mezzo. Non tutte le pratiche possono essere citate in un Codice Deontologico, ma nel momento che le si considera, si può correre il rischio di abdicare ad un uso che si fa da eccezionale e straordinario ad abitudinario e senza alternative; una sua legittimazione a tutti gli effetti.

Attenzione merita anche l’articolo 36, sugli operatori di supporto i quali vengono “affidati” all’infermiere; un’accezione che rischia di gerarchizzare ulteriormente un mondo multi-professionale che già di per se è abbastanza stratificato e diseguale, ed in particolare quello dell’assistenza che rischia di apparire sempre più segmentato – al pari di quello medico – fra nuove specializzazioni e strutturazioni apicali.

A rendere ancora più articolato il panorama si aggiunge la figura dell’infermiere liberale, declinata nel Capo VII, fra contratto di cura e continuità assistenziale

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