Caro Ordine, ti scrivo perché sono preoccupato
Caro Ordine, di tante cose di cui dovremmo parlare, vuoi davvero farci credere che il problema sia il nostro codice deontologico?
Caro Ordine, ti scrivo… così mi distraggo un po', direbbe Lucio Dalla. Anche se c’è ben poco da distrarsi oggi in tema di salute pubblica, professione e diritti sociali.
E, in tal senso, leggo sul caro Nurse24 che, in occasione del terzo Congresso Nazionale della Fnopi, verrà presentato il nuovo codice deontologico degli infermieri .
Fresco di studi, mi dico: Eppure non mi sembra che l'attuale codice sia così vecchio, vetusto, polveroso, ma potrei sbagliarmi, fammi controllare .
Vado alla libreria, prendo il libretto regalatomi dall'ordine provinciale al momento dell'iscrizione ed effettivamente il codice attualmente in vigore è stato approvato nel 2019.
Vado poi su Wikipedia per orientarmi spazio-temporalmente e capire quando e quante volte il codice deontologico degli infermieri abbia subito dei cambiamenti: la prima stesura è stata nel 1960, la seconda nel 1977 ma effettivamente erano in anni di grandi mutamenti storici, sociali, professionali, la professione non era più riservata esclusivamente alle donne da 6 anni, il Servizio Sanitario Nazionale era nell'idea del Legislatore e sarebbe nato alla fine dell'anno successivo.
Il terzo codice deontologico compare nel 1999, ben 22 anni dopo il secondo, in un anno, tra l'altro, di riforma per le professioni sanitarie (la famosa legge 42 che abbiamo imparato a conoscere sia all'università, sia preparandoci ai test dei concorsi). Arriviamo poi nell'epoca della fretta, una revisione nel 2009, una revisione nel 2019, l'ennesima revisione nel 2025.
Mi sorge spontanea una domanda: quali cambiamenti così epocali saranno avvenuti alla nostra professione tanto da richiedere delle modifiche al nostro codice deontologico? Quali mutamenti così cruciali portano la nostra Federazione Nazionale a dover mettere mano all'insieme di regole morali che disciplinano l'esercizio quotidiano della nostra professione?
Non è un mistero che la nostra professione non goda di ottima salute : il numero di iscritti ai corsi di laurea, le dimissioni dal pubblico alla ricerca del Paese di Bengodi del privato, il costante aumento di colleghe e colleghi colpiti da burnout, la violenza rivolta verso gli operatori sanitari, l'epidemia di Covid-19 e… insomma, ne abbiamo viste dal 2019 e ne vediamo tutti i giorni delle belle, anche se non sono tali e tante da giustificare l’ennesima modifica del Codice deontologico.
Ma, soprattutto: tutta questa nostra brutta quotidianità è tale da mettere a rischio, ad esempio, i nostri principi etici nell'esercizio della professione?
L’articolo 2 dell’attuale codice recita: L'infermiere orienta il suo agire al bene della persona . Abbiamo veramente bisogno di ricalibrare, rimettere mano, correggere, aggiungere un “se”, un “ma” dopo una frase del genere?
C’è poi l’articolo 3 : L'infermiere si prende cura della persona... senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale. Si astiene da ogni forma di discriminazione . Da questi due passaggi c’è qualcosa da togliere che non piace? C'è qualcosa che non ci convince di queste frasi dal valore universalistico?
Forse qualcuno, ovvero i soliti che ambiscono a prestigio e incarichi dirigenziali, si sentono in obbligo di cambiare qualcosa della “nostra carta costituzionale” per far vedere di essere qualcosa di più di un “semplice infermiere”.
Ed in questo probabilmente soffrono di un doloroso complesso di inferiorità causato dal fatto che, come bene descrisse il sociologo Gianfranco Bettin nell'89, siamo ancora una semi-professione, dato che il nostro è un lavoro che, pur essendo essenziale nel contesto sanitario, a livello sociale in primis e culturale, in secondo luogo, non raggiunge lo status delle professioni tradizionalmente considerate come "altamente professionali".
E dunque, come riuscire ad emergere? Non è facile, in un Paese come l'Italia, così strenuamente attaccato a sentimenti nostalgici verso il passato, così litigioso, invidioso, forse non riusciremo mai a raggiungere la pari “dignità” di professioni.
Ma anche volessimo fare uno scatto in avanti per dimostrare a tutti quanto valiamo davvero, per far vedere di cosa siamo capaci come professionisti, di quanto è elevata la nostra professionalità ed il nostro grado di specializzazione, è rimettendo mano al codice deontologico che otterremo ciò che vogliamo?
Se vogliamo far vedere a tutti quanto siano profonde e radicate la cultura e la scienza infermieristica nel nostro operato quotidiano, di quanto siamo in gamba - perché SIAMO in gamba, perché lavoriamo duramente e ogni giorno diamo il meglio di noi - abbiamo davvero bisogno di pasticciare e perdere letteralmente tempo ed energie ad arrovellarci il cervello su qualcosa di già ben strutturato come l'insieme dei nostri principi etici universalistici?
Non sarebbe più utile affrontare con forza tematiche estremamente più importanti, come l'incontrollabile emorragia di colleghe e colleghi dalla professione ed il saldo di nascite di nuovi professionisti dolorosamente negativo?
Caro Ordine, ti scrivo, perché sono preoccupato : da una parte la dolorosa china politica e culturale che ha preso questo Paese, l'idea che il soldo la faccia da padrone come metro di misura universale del valore di ogni individuo secondo quello che gli economisti definiscono “il capitale umano ”, l'indirizzo che una certa politica americaneggiante vuole dare alla nostra sanità sempre meno accessibile a chi ne ha più bisogno e sempre più ostaggio della burocrazia e delle assicurazioni sanitarie; dall'altra parte la sensazione che chi si trova in posizione di potere o di superiorità sia sempre più sordo alle istanze che provengono da chi si trova alla base.
Caro Ordine, di tante cose di cui dovremmo parlare, vuoi davvero farci credere che il problema sia il nostro codice deontologico?
Daniele Barchiesi | Infermiere
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