Una disamina del Nuovo Codice Deontologico degli infermieri deve partire dall’analisi di vari elementi. In primo luogo la metodologia adottata, poi gli obiettivi prefigurati ed il codice stesso, nella forma e nei contenuti. Sulla metodologia diversi gli elementi da rilevare. In primo luogo la costruzione del testo stesso, in termini di espressione cronologica delle questioni etiche imperanti. Un testo sofferto, nato nell’autunno del 2016, alle porte dell’ultimo anno di mandato del triennio 2015–2017.
Commento metodologico al nuovo codice deontologico degli infermieri
Diffuso all’attenzione del corpo professionale attraverso i social (ed anche con audizioni varie per il mondo dell’associanismo infermieristico, di cui però non si ha una panoramica conoscitiva) già a partire dal gennaio del 2017, passando attraverso un presumibile periodo di “sospensione valutativa” legato alle elezioni del mandato attuale di Presidenti e Consigli Provinciali, per essere ripreso con la riapertura dei lavori avviata dopo la decima conferenza delle politiche della professione infermieristica il 22 giugno del 2018 ed essere poi approvato dopo dieci mesi.
Sul piano dei lavori la commissione inizialmente era composta da 5 soggetti, come risulta da un’intervista a Nurse24.it del gennaio 2017, di cui ne restano alla fine 4, scelti per le loro competenze riguardo tematiche etiche e filosofiche, interpretate poi con le diverse sensibilità e culture dei singoli.
In questo viene sottolineato, in un’altra intervista a Nurse24.it, la necessità di una premessa e di un glossario funzionali ad una migliore interpretazione; parti che alla fine sono mancate.
Il gruppo di lavoro si sarebbe incontrato ben 40 volte, dato reso noto dalla Federazione e che lascia trasparire l’impegno temporale e di co-costruzione degli articoli, da valutare non tanto sul piano quantitativo, quanto su quello qualitativo che suggerisce come una volta concordato il testo comune, si sia provveduto ad integrarlo con le varie osservazioni scaturite.
Annotazioni arrivate non solo dai social, ma anche dal mondo dell’associazionismo dei pazienti. A detta della Federazione ben 35 associazioni coinvolte e rappresentate da 44 delegati ascoltati durante una specifica giornata di audizioni. Il numero delle associazioni e la stessa composizione potevano essere più ampi.
È stato ricordato inoltre, sempre dalla Federazione, che sono stati ascoltati anche: “[…] rappresentanti ufficiali delle religioni (cattolica, ebraica, islamica, buddista, shintoista ecc.)”, ed esperti quali, giuristi, eticisti, bioeticisti.
In tema di sensibilità e apertura religiosa ogni voce ascoltata è sempre positiva, però qualche incongruenza metodologica va sottolineata, dato che per la religione cristiana si parla solo di cattolici, dimenticandosi forse dei Testimoni di Geova, degli ortodossi e dei protestanti.
Rientrano forse fra gli eccetera? E poi manca la rappresentanza di almeno un 15% della popolazione italiana in tema di religione: gli atei; quasi 10 milioni di persone che hanno un loro portato spirituale e culturale da cui non si può non prescindere nella costruzione di un ampio quadro di riferimento etico, considerando poi che lo stesso Pontefice li considera spiritualmente molto più sensibili di tanti cristiani ipocriti (La Repubblica, 2 gennaio 2019).
Sugli obiettivi che questo codice si è dato si parlerà in seguito analizzando il contenuto stesso dei vari articoli, declinati poi in una forma diversa rispetto alle ultime due versioni. Alla fine un ultimo rilievo va fatto, rispetto all’approvazione finale lo scorso 13 aprile da parte dei 102 presidenti degli ordini provinciali i quali, non certo unicamente in quell’occasione, debbono aver contribuito ad esprimere valutazioni di sorta.
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