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Ospedale

L'ora di visita

di Monica Vaccaretti

L'ora di visita, che spesso è soltanto un'ora a metà, cambia da ospedale a ospedale e di giorno in giorno, a seconda delle disposizioni dell'azienda sanitaria e delle esigenze organizzative del reparto. È un diritto garantito al malato, nel suo percorso di cura, nel rispetto del suo bisogno relazionale. È un momento atteso da chi è ricoverato e da chi, a casa, aspetta di andare a far visita a qualcuno. Ci si prepara come ad un appuntamento. È un tempo dedicato e delicato che si carica di attese ed aspettative. È un'ora che spezza la noia che si prova durante la degenza quando non si sta troppo male, è un tempo vissuto come un diversivo che si alterna alla routine quotidiana di giorni che sembrano tutti uguali. È un'ora che, pur interrompendo parte dell'attività assistenziale degli operatori sanitari presenti in turno, tuttavia non disturba. Se ne riconosce l'importanza per il valore dell'incontro intimo del malato con i suoi affetti e dei familiari con il proprio caro via da casa per un bisogno di salute. Il distacco non è mai facile.

L'ora di visita, un diritto nel percorso di cura

È un'ora che è parte del prendersi cura e che fa stare bene. Rasserena. Porta compagnia. Permette di alleviare il disagio di essere lontani e di trovarsi a condividere camera e sofferenze con estranei. È un'ora in cui il reparto, inaccessibile ai non addetti, si apre occasionalmente una volta al giorno al visitatore esterno per garantire il bisogno psicologico della persona. Così che per un'ora tutto attorno al letto di un ospedale diventa un po' casa. Perchè in fondo casa significa persone che conosciamo, certezze che ci rassicurano, oggetti che ci raccontano. Molto della nostra esistenza viene a mancare quando ci si trova in una stanza anonima di ospedale. Quello che ci resta, nella condizione di fragilità e solitudine in cui ci si trova, è ciò che siamo essenzialmente senza il contorno degli altri attorno. L'ora di visita permette di recuperare parte di noi, isolati come siamo con la nostra malattia, nella vita sociale.

Nell'ora di visita talvolta c'è un chiacchericcio che disturba, troppa gente in una stanza da quattro posti. Altre volte le chiacchiere coinvolgono anche familiari di letti diversi che condividono notizie sull'andamento delle cure. Per rallegrare gli animi ed alleggerire la tensione e la preoccupazione, qualcuno diverte con simpatiche battute di spirito. Il riso è contagioso. Quando parenti ed amici sono tanti e arrivano alla spicciolata uno dopo l'altro, avvengono attorno al letto dell'ammalato magari incontri tra persone che non si vedono da tempo, come capita generalmente ai funerali. E così la visita si fa allargata.

Ricevere visite in ospedale fa sempre piacere. Chi verrà oggi?, ti chiedi già all'ora di pranzo. Nell'ora di visita a volte però non arriva nessuno, magari soltanto tu ti ritrovi da solo. Vabbè, forse hanno avuto un imprevisto o erano impegnati, ti dici. Verranno domani, cerchi di non restarci troppo male. Nell'ora di visita non si deve necessariamente parlare. Alcuni non si dicono niente. Si tengono soltanto la mano. Il pollice accarezza l'avambraccio o il palmo. Semplicemente ci si guarda. Dorme. Non lo voglio svegliare. È sedato. Oppure non ha più ripreso conoscenza. È intubato. Si resta in visita. Magari mi sente, io ci sono.

L'ora di visita è fatta di passi lenti lungo il corridoio per far camminare le gambe malferme dopo un intervento. È fatta di chiacchiere nel salottino del reparto per stare un pochino più in disparte dagli altri e di una piantina portata alla Madonnina nell'angolo, vicino alla finestra da dove si scorge un pezzo di cielo. È fatta di una passeggiata in giardino tra le aiuole che fioriscono a seconda della stagione, per prendere un po'' d'aria e sole se l'infermiere di turno lo permette. È fatta di una fuga al bar al piano terra per un espresso o un gelato, se non si è attaccati ad una flebo.

Con il Covid l'ora di visita è cambiata

È stata sospesa per tanto tempo. Vietata. Ad orari concordati e personalizzati in base alle esigenze del reparto compatibilmente con quelle dei familari a casa, la visita è stata fatta da remoto, davanti ad un tablet. Con un vetro o un plexiglass come intermezzo che manteneva le distanze fisiche. O nella stanza degli abbracci, tra i fruscii del nylon svolazzante per evitare il contatto tra pelli diverse. E con la mascherina per bloccare la trasmissione del virus. Ora che l'ora di visita è stata autorizzata a riprendere, come di consuetudine, l'accesso non è ancora libero. Bisogna concordare giorno ed orario. E forse non tornerà più ad essere come prima. Per andare in visita oggi bisogna prima passare i controlli della temperatura, del lavagggio delle mani, della mascherina ffp2, del green pass. E ti mettono un braccialetto di carta blu che identifica il ruolo di visitatore. E non lo puoi togliere finchè la visita non è finita e non sei uscito dall'ospedale.

Mi piace incrociare le persone che entrano in ospedale per andare di buon passo, per non fare tardi, all’appuntamento con l'ora di visita. Gli uomini hanno spesso mazzi di fiori recisi tra le braccia, giganteschi. Sono papà freschi, se sono gigli iris e tulipani. Sono semplicemente uomini innamorati se sono rose rosse. Le donne tengono spesso un sacchetto con la biancheria, sporca o pulita a seconda del senso di marcia. Mi fanno tenerezza figli e figlie che accompagnano madri e padri anziani, sorreggendoli con il braccio, per portarli a far visita al consorte ricoverato.

L'ora di visita sa di legami, di sangue, di famiglia. Di amicizia e di qualsiasi altra forma di affetto. Ho visto in visita persino un cane labrador, lasciato salire sul letto con un permesso speciale della Direzione Medica. È stata la visita più struggente e sincera che mi sia mai capitato di assistere, entrando in stanza per cambiare una flebo e rispondere ad un campanello. L'ora di visita sa di interesse per la salute di un'altra persona. Ci si premura che stia bene e che sia ben accudita e curata. C'è partecipazione e coinvolgimento emotivo. Si conclude con l'augurio e la speranza di tornare presto a casa, di stare meglio se non di guarire del tutto. Di recuperare le forze.

È tornato a casa

La voce squillante dell'infermiera che chiama Visite lungo il corridoio invita ad allontanarsi gentilmente dal reparto. L'ora è finita. Se ci si attarda, l'infermiera esorta a rispettare gli orari, entrando in stanza per controllare. Ora vai, è tardi. Devo andare. Torno domani. A volte si resta ancora un po' sull'uscio, non ci si decide. Ci si lascia con un sorriso, a volte si resta con un groppo in gola, talvolta scende una lacrima appena si gira l'angolo e si prende l'ascensore per scendere. A volte l'ora della visita coincide con l'ora dell'addio. E non sempre lo si sa o lo si intuisce. Dalla parte di chi se ne va via, dalla parte di chi resta ancora dentro c'è a volte la sottile consapevolezza o la sensazione che potrebbe essere l'ultima volta che ci si vede e che ci si vuole bene. A volte capita di tornare in visita e il letto è vuoto. O c'è qualcun altro sopra. Ed è una cosa bellissima sentirsi dire dall'infermiera È tornato a casa.

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