Dolore
Per la definizione di cervicalgia, attualmente, si fa riferimento a quella data da Merskey e Bogduk e successivamente ripresa sia dallo International Association for the Study of Pain (IASP), sia dalla Neck Pain Task Force, secondo i quali la cervicalgia rappresenta “dolore percepito, originante in un’area delimitata superiormente dalla linea nucale, inferiormente da una linea immaginaria passante dal processo spinoso di T1 e lateralmente dai piani sagittali tangenti ai bordi laterali del collo”.
Cos’è la cervicalgia e chi soffre di dolore cervicale
La cervicalgia è una patologia di grande interesse medico-scientifico. Numerosi sono i lavori scientifici inerenti presenti in letteratura, a causa della complessità e varietà del quadro anatomico e clinico.
Tra i maggiori a soffrirne nel mondo sanitario, infermieri e Oss, i quali pur avendo responsabilità e ruoli differenti, sono quotidianamente al servizio del malato e spesso sono sottoposti a carichi di lavoro estremamente pesanti, che possono determinare l’insorgenza di patologie complesse.
La cervicalgia nello specifico rappresenta uno dei disturbi più comuni per il quale viene richiesto un consulto e/o cure sanitarie nei paesi industrializzati.
Il suo andamento è tendenzialmente benigno e gli episodi, soprattutto quelli acuti, tendono a risolversi spontaneamente in un periodo di tempo che va da pochi giorni a qualche settimana; le recidive sono frequenti ma solo nel 10% dei casi la sintomatologia tende a cronicizzare.
Per la definizione di cervicalgia, attualmente, si fa riferimento a quella data da Merskey e Bogduk e successivamente ripresa sia dallo International Association for the Study of Pain (IASP), sia dalla Neck Pain Task Force, secondo i quali la cervicalgia rappresenta “dolore percepito, originante in un’area delimitata superiormente dalla linea nucale, inferiormente da una linea immaginaria passante dal processo spinoso di T1 e lateralmente dai piani sagittali tangenti ai bordi laterali del collo”.
Il dolore cervicale viene distinto in superiore (tratto cervicale superiore fino a C3) ed inferiore (da C4 a T1 che può arrivare alla spalla e addirittura alla gabbia toracica).
La IASP propone una classificazione temporale, definendo acuta una sintomatologia che dura meno di 3 mesi e cronica quella che dura da più di 3 mesi; un’altra classificazione è quella basata sull’eziopatogenesi: cervicalgia aspecifica se la causa non è nota, specifica se nota.
Cause e sintomi di cervicalgia
La cervicalgia ha eziologia multifattoriale e dipende da fattori non modificabili (età, sesso, familiarità, condizioni generali di salute, pregressi esiti traumatici) e da fattori modificabili (posturali, comportamentali, psicosociali).
I fattori modificabili comprendono il lavoro ripetitivo, periodi prolungati in cui la colonna cervicale viene mantenuta in flessione, lavoro ad alto stress psicologico, fumo e precedente danno al collo ed alle spalle, caratteristiche del dolore cronico; cause invece quali colpo di frusta, degenerazione di uno o più dischi intervertebrali, ipercifosi dorsale, sport di potenza con sovraccarichi (es. body building) sono caratteristiche del dolore acuto.
L’identificazione precisa della struttura responsabile del dolore è molto difficile, non solo perché le numerose strutture ricevono innervazione da più segmenti, ma anche perché meccanismi di facilitazione-convergenza e sensibilizzazione favoriscono il fenomeno del dolore riferito.
La sintomatologia dolorosa cervicale può svilupparsi gradualmente o avere un’origine post-traumatica; i sintomi clinici più caratteristici associati al dolore cervicale sono:
- rigidità al collo
- riduzione del range del movimento cervicale
- aumento dell’affaticabilità e riduzione della soglia del dolore alla pressione nei muscoli cervicali
- cefalea
- vertigini
- dolore che si irradia alle spalle ed agli arti superiori.
Il dolore cervicale di origine post-traumatica si associa ad un’ampia gamma di sintomi: disturbi visivi ed uditivi, disturbi del sonno, nonché problemi cognitivi ed emotivi.
Le raccomandazioni discordanti provenienti dalle linee guida a cui i fisiatri dovrebbero affidarsi, generano non poche perplessità nella prescrizione del trattamento più idoneo alla risoluzione del problema.
L’intervento riabilitativo ha come obiettivo la riduzione e risoluzione del dolore, il recupero della mobilità globale e segmentale, il ripristino delle abilità diminuite dal disturbo cervicale e deve tener conto della capacità di risposta della persona nonché delle strategie di compenso utilizzate rispetto all’evoluzione del disturbo.
Il trattamento riabilitativo della cervicalgia dovrebbe richiedere un approccio multidisciplinare e dovrebbe avvalersi anche dell’approccio cognitivo comportamentale.
Nonostante l’elevato numero di metodiche proposte per il trattamento, la qualità delle evidenze degli studi e la scarsa standardizzazione dei protocolli e delle metodiche di valutazione degli outcomes spesso conduce a raccomandazioni di basso grado.
I dati emersi per il trattamento farmacologico sono scarsi; per quanto riguarda l’esercizio terapeutico i lavori disponibili in letteratura non ne chiariscono le caratteristiche ideali; sia gli esercizi di rinforzo che quelli per il miglioramento della resistenza sembrano ottenere buoni risultati, così come lo stretching quando associato ad esercizi di rinforzo.
Per quanto concerne i mezzi fisici, ci sono evidenze di bassa qualità sulla loro efficacia; scarse sono le evidenze scientifiche sul trattamento con ossigeno-ozono. I migliori risultati vengono ottenuti con trattamenti multimodali da cui non devono essere esclusi i consigli di ergonomia.
Sono necessari, di conseguenza, ulteriori studi per la conferma dell’efficacia di tutti i trattamenti presi in esame e la necessità di aggiungerne altri. Tenuto conto che le linee guida citate sono spesso incomplete e che possono essere non sempre applicabili al caso specifico è sempre consigliabile fare riferimento alle buone pratiche.
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