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Infermieri, con le cure palliative si cresce come uomini

di Paola Botte

Ho provato per un attimo ad immedesimarmi in un paziente terminale. Ho provato ad immaginare le parole del medico che decretano gli ultimi mesi o forse settimane della mia vita. Ho provato a pensare alla sofferenza dei miei cari e a cosa avrei fatto per sopportare il dolore che si sarebbe via via intensificato. Chi ci avrebbe accompagnati durante quest'ultima tappa del mio viaggio? Poi, ho parlato con Santino Brembilla, 52 anni, infermiere con un master in cure palliative e ho scoperto che esiste un modo per non essere lasciati soli. Per investire non tanto sulla quantità della vita ma sulla sua qualità.

Infermiere cure palliative, Santino: Si cresce come uomini e professionisti

Santino, infermiere di cure palliative: "Questa è un'espereinza professionale che fa crescere come uomini"

Sono infermiere dal 1996 e ho lavorato in molti ambiti - dice Santino -  dalla terapia intensiva alla pediatria e alla psichiatria, ma soltanto dopo aver provato l'assistenza infermieristica a malati terminali ho capito che quella era la mia strada.

In Hospice o a domicilio il mio lavoro consiste nel migliorare la vita di malati e famigliari. Attraverso le cure palliative e un grosso lavoro d'équipe si accompagnano questi al superamento delle problematiche fisiche, psicosociali e spirituali derivanti proprio dalla malattia.

La filosofia delle cure palliative prevede infatti la collaborazione continua e costante di medici palliativisti, medici di base, oss, psicologi, assistenti spirituali, infermieri e di tutte quelle figure di supporto al malato terminale e alla sua famiglia.

In queste situazioni non è detto che sia sempre il malato ad avere più bisogno di noi – sottolinea - Molte ore del nostro lavoro sono dedicate proprio alla famiglia. Il nostro compito è quello di accompagnarli sulla difficile strada dell'accettazione della malattia del proprio caro ed essergli di supporto per affrontare la sua morte

Va ricordato che le cure palliative entrano in gioco nel momento in cui una malattia non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte.

Si tratta di un'esperienza professionale che tutti gli infermieri dovrebbero fare. Ci si trova di fronte a condizioni particolari che ti fanno crescere, soprattutto umanamente.

In alcuni casi si incontrano situazioni in cui il paziente vuole una cosa, i famigliari un'altra e i medici un'altra ancora. Altre volte si deve rispondere a pazienti che ti chiedono l'eutanasia e allora devi spiegare loro che esistono altre possibilità, che esiste la sedazione terminale/palliativa e che ne può parlare con il palliativista per avere spiegazioni più complete, che non saranno abbandonati, bensì accompagnanti fino alla fine cercando di evitare il dolore e qualsiasi altra forma di sofferenza. Quasi sempre li ho visti cambiare idea.

A domicilio poi l'impegno assunto è maggiore, perché quando entri in casa delle persone entri prima da ospite poi come professionista

E il rischio di burnout? Dice Santino: Gli studi effettuati finora hanno dimostrato che chi lavora in cure palliative difficilmente cade in burnout per la morte dei pazienti; quando capita è dovuto a problemi organizzativi. Il professionista che investe in questo tipo di percorso proprio perché investe sulla qualità e non sulla quantità di vita, è in grado di vedere il proprio agire all'interno di un percorso non di morte, ma di vita.

Per quanto riguarda i costi delle cure Santino risponde: È stato dimostrato che costano meno le cure palliative che trattare un malato, per esempio affetto da patologia oncologica, in maniera inutile e dannosa, con chemioterapia fino alla fine

Ci sono molti motivi dunque per cui si dovrebbe investire di più su questo tipo di scelta ed inserirla, come si sta pensando, all'interno dei corsi di laurea in medicina.

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