Affrontare la morte è, per un infermiere, un’eventualità che capita spesso durante la vita lavorativa. Affrontare la morte di un congiunto è tutt’altra storia. Quando ci capita di vedere un anziano che, per il sopraggiungere di diverse patologie più o meno acute, è al termine della propria vita, spesso critichiamo i familiari se, nell’estremo tentativo di allungare la vita del congiunto, lo portano in ospedale. Sappiamo bene, noi operatori sanitari, che generalmente è inutile, nasconde la paura della morte, il timore della sofferenza degli ultimi attimi della vita. Ciò che si ottiene, purtroppo, è che l’anziano passerà il momento del passaggio con estranei invece che con gli affetti. Ma solo dopo essere passati attraverso questa esperienza si può capire quali sentimenti entrano in gioco in una situazione così coinvolgente.
Quando un infermiere affronta la morte di un congiunto
"Quando il fine vita coinvolge direttamente noi infermieri, il distacco emotivo non c’è, i sentimenti prendono il sopravvento "
Tutto questo accade perché i valori nel tempo sono cambiati e con loro i nostri sentimenti, la paura di vedere ciò che un domani può accadere anche a noi ci impedisce di essere lucidi e di valutare i sentimenti del nostro caro e non solo i nostri. I nuclei familiari di oggi, formati da tre o quattro persone, non hanno niente in comune con le vecchie famiglie patriarcali, numerose, accoglienti, piccoli nuclei sociali in cui si nasceva, si cresceva, si condividevano paure e gioie, autosufficienti per la cura dei piccoli e degli anziani, in cui il fine vita era un evento naturale quanto l’inizio, entrambe vissuti a casa, dividendo ansia, felicità e dolore. All’epoca il tabù era il sesso, oggi è la morte, vista come un evento tragico, non naturale anche se avviene dopo i novant’anni.
Per noi sanitari, che sul lavoro ci comportiamo in modo professionale, empatico ma con distanza emotiva, questi eventi capitano spesso, ma quando il fine vita ci coinvolge direttamente, il distacco emotivo non c’è, i sentimenti prendono il sopravvento.
Non è facile nemmeno per noi non cercare di vedere una speranza di salvare quel rapporto unico che c’è con i nostri genitori. L’esperienza di vivere la morte con il nostro congiunto, però, non ha eguali. Il coinvolgimento è totale, i sentimenti contrastanti. Quando pensiamo che soffre vorremmo fosse tutto finito, quando miracolosamente ci guarda e ci sorride tornano le speranze.
Sì, mia madre ci ha fatto vivere questi sentimenti negli ultimi giorni in vita . Nei momenti di lucidità abbiamo riso insieme, nei momenti di disorientamento i suoi occhi disperati ci hanno stretto il cuore e ci hanno fatto pensare “perché tutto questo”, ma poi un nuovo sorriso ci placava. La scelta di non accanirci contro la sua volontà - quella di smettere di alimentarsi - è stata sofferta, ma la serenità e la sicurezza con cui ha fatto questa scelta ci hanno convinto.
Poi c’è stato il momento in cui, sostenuti dagli operatori delle cure palliative , abbiamo capito che la sofferenza era troppo forte; lei non riusciva ad esprimerla, ma i suoi occhi, i suoi gesti ci dicevano che era arrivato il momento. In realtà è lei, la nostra mamma, che ci ha accompagnato in questa esperienza, che ci ha trasmesso la forza e ci ha dato il tempo di abituarci ed accettare la sua perdita.
Il momento che ricordo meglio è quando una notte mi ha guardato e mi ha detto che voleva morire, lo ha fatto con dolcezza, senza paura, “di là si sta meglio” mi ha detto quando le ho chiesto perché. Ecco, questo è stato il suo regalo per noi figli che, anche se non siamo stati tanto presenti fisicamente negli ultimi anni, lo siamo stati con il cuore e lei lo aveva capito
Vorrei dedicare questo articolo alla dottoressa Manuela Margaritelli delle cure palliative della città di Terni che ci ha seguito negli ultimi giorni di vita di nostra madre e che ci ha consigliato, guidato nella esecuzione delle terapie, ma che soprattutto ci ha aiutato ad affrontare i momenti finali, regalandoci la consapevolezza che la morte è stato un momento della vita di nostra madre, facendocelo vivere senza rimpianti. È stata sempre presente, di giorno e di notte con parole di incoraggiamento e soprattutto approvando la nostra scelta di non cercare a tutti i costi la vita quando questa non è più palesemente possibile.
Pur essendo del settore sanitario, non sapevo che questo servizio si occupasse del fine vita anche di situazioni diverse da quelle oncologiche, ma mi fa piacere poter utilizzare questo mezzo per ringraziare tutti gli operatori delle cure palliative, che sicuramente hanno una formazione, una professionalità e una sensibilità tali da rendere un servizio che non si dimentica. Forse dovrebbe essere potenziato per permettere di essere presente in tante situazioni che necessitano di un sostegno totale, non solo tecnico per affrontare il dolore di una perdita di un congiunto.
Ti sei spenta a 93 anni, cara mamma ti ricordiamo come eri in vita quando hai affrontato problemi e gioie con noi e per noi. Ci hai dato tante lezioni di vita, l’ultima quando dignitosamente, in silenzio ci hai lasciato.
Patrizia Marchetti - Infermiera
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