La medicina partecipativa, un nuovo modello socio-assistenziale che colloca al centro il paziente, ponendo sullo stesso livello il cittadino e i professionisti della salute, si basa su un approccio centrato sui bisogni e sulle potenzialità della persona assistita. E per l’infermiere rappresenta una grande opportunità per esprimere la propria professionalità in tutte le sue sfaccettature.
L'infermiere nella medicina partecipativa, modello patient centered care
L'attuale periodo storico si connota per il moltiplicarsi e l'intrecciarsi di nuove sfide per i sistemi sanitari italiani e non solo: le sempre più esigue risorse economiche a disposizione dello Stato e delle Regioni, l'emergere di nuovi bisogni assistenziali legati all’incremento delle patologie cronico-degenerative, il sempre più comprovato invecchiamento demografico della popolazione occidentale, il differenziarsi dei bisogni dei cittadini che si attendono prestazioni sanitarie che, spesso, attraverso l’utilizzo frettoloso ed indiscriminato dei social media e del “dottor Google” da parte dell’utente medio, richiedono interventi sempre più personalizzati.
Sono solo alcune delle grandi trasformazioni che stanno avvenendo all’interno del panorama socio-sanitario, sollecitano risposte sempre più efficaci, tempestive e avanzate per la promozione della salute e il contrasto alle patologie.
La medicina partecipativa rappresenta un approccio innovativo in sanità, fondato sul riconoscimento di un ruolo attivo del cittadino, il quale è chiamato a partecipare alle scelte che riguardano la sua salute attraverso un processo decisionale condiviso con i professionisti della salute, tra cui l’infermiere.
La medicina partecipativa attribuisce pari dignità agli attori coinvolti nel processo di cura, nell'individuazione del miglior percorso diagnostico e terapeutico, cercando di coniugare evidenze scientifiche e preferenze dei pazienti. Incrementa le possibilità di autodeterminazione e l'assunzione di responsabilità da parte del cittadino, che risulta maggiormente informato in merito alle diverse opzioni terapeutiche e ai potenziali rischi e benefici; si assisterebbe ad un aumento della compliance, ovvero l'aderenza alle cure e al percorso terapeutico concordato, con conseguente miglioria degli outcome in termini di efficacia dei trattamenti e dei programmi di educazione terapeutica ed educazione sanitaria.
Verosimilmente si andrebbero a ridurre i contenziosi tra gli utenti e i professionisti della salute; favorirebbe la trasparenza dei processi decisionali, l'umanizzazione e la personalizzazione delle cure, il rispetto dei valori e delle preferenze del paziente nonché il coinvolgimento dei caregiver.
La medicina partecipativa prevede, infatti, una forte motivazione del paziente in modo che questi non sia più un mero esecutore passivo delle raccomandazioni del personale sanitario, ma, al contrario, diventi il conduttore della propria salute, interagirà con esso allo scopo di arrivare a un piano terapeutico sempre più efficace e personalizzato
In un articolo apparso su IlSole24Ore Nova nel febbraio 2017 J. Condemi parla della “medicina del futuro”: una medicina partecipativa, personalizzata, preventiva e predittiva. Sottolinea così come Charles Auffray, presidente della “European Association for Systems Medicine”, ha tracciato uno scenario futuro a “4 P”.
Più vicino a noi, più precisamente a Vicenza, nell’ambito di un convegno dal titolo “The future of care”, è stato presentato un esperimento olandese di una web community basata su un nuovo concetto di cura collaborativa: pazienti e familiari possono comunicare facilmente con i professionisti della salute e altri pazienti via web, partecipare attivamente allo sviluppo delle linee-guida di trattamento, avere costante supporto nell’adozione di corretti stili di vita. Vi sono già anche realtà associative come la “Society for Participatory Medicine”, un’organizzazione dedicata alla promozione del concetto di medicina partecipativa, per far sì che i pazienti diventino “conducenti responsabili” (driver) della loro salute. Il motto della società è sintetico e illuminante: “Because health professionals can’t do it alone”.
Tra gli obiettivi di tale società vi è quello di guidare i pazienti affinché siano attivamente impegnati nel mantenimento della propria salute permettendo loro di collaborare nella determinazione della terapia in cui l’esperienza del singolo possa essere di aiuto e stimolo agli altri ammalati, con conseguente mutua collaborazione tra pazienti.
Come applicare il modello all’interno della pratica clinica? Il colloquio motivazionale (o counselling motivazionale) effettuato da parte dei professionisti della salute appare lo strumento più efficace per attuare la medicina partecipativa, un percorso in cui il paziente viene coinvolto e responsabilizzato sul percorso di cura. E l’infermiere dove si colloca all’interno di questa nuova prospettiva futura?
Per l’infermiere e la professione infermieristica più in generale si aprirebbero prospettive non indifferenti: basti pensare che l’intero modello socio-sanitario è basato sulla multidisciplinarietà. All’infermiere sarebbe deputata tutta quella parte legata all’educazione del paziente, per esempio, sia in fase di prevenzione e sia nel post-ricovero ospedaliero che di fronte alla gestione del vasto panorama delle patologie cronico degenerative al domicilio dell’utente.
Per lo stesso infermiere potrebbe configurarsi la prospettiva di quella figura manageriale e di coordinamento tra l’utente, il medico di base, gli specialisti e gli altri professionisti sanitari della riabilitazione fungendo da “collante” imprescindibile. Insomma, il campo di applicabilità nella quale la figura dell’infermiere potrebbe configurarsi all’interno del modello della medicina partecipativa appare vasto, in continua evoluzione e molto appetibile. Sicuramente una nuova grande opportunità e una grande sfida da vincere.
Mirko Zani, Infermiere
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