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Editoriale

Orizzonte perduto

di Giordano Cotichelli

Nel 1933 lo scrittore inglese James Hilton pubblicò un libro dal titolo “Orizzonte perduto”. Il romanzo appartiene al genere della letteratura utopica e descrive un mondo perduto tra le montagne dell’Asia Centrale dal nome di Shangri-La. Il luogo è descritto come una terra lussureggiante, isolata fra le nevi tibetane, in cui non si invecchia e non ci si ammala mai. Un paradiso ritrovato a disposizione di chi volesse rifuggire lo stress e delle disuguaglianze della società.

Utopia di una società migliore e più giusta

Nel 1937 e successivamente in altre due occasioni (1956 e 1973) ne furono tratti dei film che ebbero un successo tale da fissare il nome di Shangri-La come sinonimo di una terra felice da ricercare, da ritrovare o, ancor più nel secolo XX delle grandi ideologie di massa (non necessariamente belle), da costruire.

Mito cinematografico che si inserì comunque in tutte quelle speranze di cambiamento che permeavano quegli anni e che permisero di dare vita, dopo le catastrofi di due guerre mondiali, ad una prospettiva di crescita e sviluppo generalizzata, forse per la prima volta nella storia della società umana. Addirittura ci fu chi (Francis Fukuyama), dopo la fine della Guerra fredda, arrivò ad affermare che ci si trovava di fronte alla “fine della storia”, abbracciando con tale termine il raggiungimento di un massimo livello di evoluzione sociale, economica e politica. Come si è visto, così non è stato.

Da almeno un trentennio è in corso una fase di regressione tale che con la Guerra in Ucraina forse ha raggiunto una delle manifestazioni più immediate e significative, per quanto tragiche. Le interpretazioni in tal senso non sono poche e vedono nell’impoverimento del modello di stato sociale occidentale l’espressione più tipica.

Significativa a tale proposito la copertina dell’ultimo numero di TPI – The Post International – neo-rivista cartacea sbarcata in edicola dopo la lunga permanenza della versione digitale in rete. Il titolo recita: “Benvenuti nel nuovo mondo” e l’immagine che l’accompagna mostra una famiglia dove tutti i componenti indossano una maschera antigas. Il sottotitolo è ancora più emblematico: “Corsa al riarmo, ritorno al carbone, nuova austerity, sanità fai da te, valuta digitale, lavoro da casa. Dal Covid all’Ucraina, l’economia d guerra cambia le nostre vite”.

All’interno poi della rivista, fra i tanti articoli, ce n’è uno del sociologo Marco Revelli, dal titolo: "Sanità depredata”. Appena due pagine utili per fare il quadro di una situazione di inadeguatezza in termini di: posti letto di degenza e di terapia intensiva, di personale sanitario, di fondi, di servizi ambulatoriali che costringono o a lunghe liste di attesa o a rivolgersi al mercato.

Il sociologo incolpa tutti i governi degli ultimi decenni di essersi resi responsabili del depauperamento della sanità italiana e ricorda, se ce ne fosse bisogno, come l’Italia è stata uno dei paesi maggiormente colpiti dalla pandemia proprio a causa di tale impoverimento dei servizi, fino ad arrivare a ipotizzare di mettere in atto, nei momenti più drammatici, il triage da guerra in cui selezionare chi curare in terapia intensiva e chi no. Considerazioni sottolineate alle porte di una quinta ondata di contagi che non lascia ben sperare per le prossime settimane e che sta facendo risalire i numeri di malati e vittime.

Il quadro finale è ben chiaro in molti italiani e in molti sanitari, i quali temono, passati i momenti drammatici, che tutto torni come prima. Anzi peggio. A tale proposito nelle scorse settimane diverse sono state le manifestazioni dei sanitari, da Genova a Milano, a Cagliari ed altre città italiane.

Sabato scorso c’è stata la manifestazione nazionale dei lavoratori della GKN che, al grido “Insorgiamo”, non solo si sono battuti a difesa del proprio posto di lavoro, ma hanno fatto un appello a mobilitarsi per una più ampia rivendicazione dei diritti sociali e lavorativi. E contro le spese di guerra.

Il prossimo 1° aprile è prevista una mobilitazione in piazza di sanitari anche a Torino. Ciò nonostante sarà difficile che i posti perduti, gli ospedali chiusi, la precarizzazione dei servizi e dei contratti, almeno per il momento, possano avere un’inversione di tendenza. Come per il resto del welfare.

C’è chi si scandalizza per il rifiuto dell’istruzione superiore alle ragazze nell’Afghanistan dei talebani e magari tace sulla scuola pubblica italiana, che non solo non riesce a garantire un’istruzione adeguata ai tempi, al progresso sociale e occupazionale, ma è fonte di sfruttamento (alternanza scuola – lavoro), di aumento dell’abbandono scolastico e di umiliazioni per un personale scolastico sotto-pagato. Come sembra essere ormai da tempo un po’ per tutti coloro che operano nei servizi.

In tutto ciò la consapevolezza delle rivendicazioni da fare in termini di stato sociale non può farsi sopraffare dal rimpianto dei tempi passati, ma deve farsi forza della nostalgia di un orizzonte perduto, di un’utopia di una società migliore e più giusta cui non si deve mai rinunciare, specie quando all’orizzonte tuonano i sinistri colpi di cannone dei signori della guerra.

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