Per le professioni sanitarie, all’art. 13 del DL 34/2023, cosiddetto Decreto Bollette, viene sospeso, fino al 31 dicembre 2025, l’obbligo di esclusività con la Pubblica Amministrazione. Molti sono stati i commenti e le esultanze e diversi i mugugni di fronte alla limitazione temporale. Per chi fosse interessato è sicuramente utile leggere quanto scritto dalla Fnopi ed ascoltare quanto detto dalla presidente della federazione. Nella sostanza si potrà lavorare per altri soggetti sanitari senza paura di ritorsioni di sorta. Un po’ come per i medici, ma con la consapevolezza che il lavoro infermieristico è decisamente diverso. Diverse le motivazioni date dal Governo per la scelta fatta: dare spazio al lavoro dei professionisti per poter affrontare la grave carenza infermieristica presente; incentivare l’attività a livello territoriale ed infine per valorizzare la professionalità che non può essere soffocata da lacci e lacciuoli da vario tipo. Tutte argomentazioni interessanti, ma che inducono ad una riflessione ulteriore rispetto alle facili battute da talk show serale.
La necessità di cambiare il sistema sanitario è un dato di fronte agli occhi di tutti
Il quadro lavorativo sanitario attuale mostra la presenza di turni pesanti, carenza di personale, stipendi da vergogna, il tutto all’interno di un sistema disfunzionale e frammentato in tante soggettività sanitarie finalizzate più al controllo del mercato (profitto) che non alla promozione della salute del cittadino.
Il sistema pubblico in questo è sempre più sofferente e incapace di sostenere la tossica competizione con il privato; ammesso che sia giusto parlare di competizione in sanità.
In tale panorama la fine dell’esclusività lavorativa sembra una non risposta, se non peggio. Invece di diminuire l’orario di lavoro, la turnistica pesante, i salti riposo diventati routine in molti casi, si “dà il permesso” di lavorare di più. Invece di aumentare gli stipendi si autorizza l’arrotondamento degli stessi a spese del proprio tempo, delle proprie forze, della propria vita. In più viene a mancare una visione d’insieme del sistema sanitario, incentivando ancora di più lo spezzettamento dello stesso in tanti rivoli individualistici fini a sé stessi, utili solo a guadagnare quattro soldi elemosinati, di dubbia ricaduta sulla presa in carico dei bisogni singoli e collettivi.
La necessità di cambiare il sistema sanitario in Italia è un dato di fronte agli occhi di tutti. L’urgenza di passare da una visione ospedale-centrica ad una territoriale, è un fatto. Il problema è come questo si potrà realizzare e strutturare. La strada intrapresa da tempo lascia perplessi e le scelte del governo fanno ancor più pensar male. Eppure al dicastero della sanità, un ministro radiologo ed un sottosegretario farmacista dovrebbero essere proprio portatori di un sapere professionale che va in direzione diversa dalle scelte operate.
Chi lavora nei servizi, specie in quelli diagnostici, o chi sta dietro i banconi delle farmacie ed anche delle tante sanitarie sparse per il paese, sa da sempre che non basta la prestazione, l’acquisto del prodotto, l’esame effettuato e l’esito diagnostico. All’opera del fisiatra e del fisioterapista – tanto per citare – serve qualcosa di più, una visione d’insieme che vada oltre il fare del momento.
Avere degli infermieri nelle varie farmacie sparse per il paese può essere utile, a patto che il loro lavoro sia un servizio e non una prestazione. La differenza fra il primo e il secondo la spiega proprio la logica del “liberi tutti”, della fine dell’esclusività, della rincorsa competitiva a raggranellare qualche soldo.
La risposta al bisogno non diventa così una parte strutturale del sistema (un servizio), gestito in maniera collettiva e multidisciplinare, con una presa in carico articolata, ma semplicemente si mostra come una prestazione individualistica, quasi da voucher, che produce unicamente una monetizzazione del problema, senza affrontarne cause e ricadute. Si monetizza il paziente/cliente e si monetizza l’operatore sanitario.
La presa in carico, la globalità, la sistematicità scompaiono. O meglio, se la potranno permettere solo chi potrà pagare, mentre per gli altri ci sarà solo la disperazione del dolore, della malattia, dell’abbandono. Come è sempre stato in questo paese stratificato in classi sociali e privilegi di sorta, fatta eccezione per il breve periodo dell’opera del SSN.
Purtroppo i rilievi negativi non finiscono. A tale proposito Marco Geddes da Filicaia espone argomenti, cifre, previsioni che in sintesi mostrano come, da questo “liberi tutti” se ne avvantaggerà solo il privato. Facile da temere, e probabilmente sarà ancora peggio. Un domani, sempre in nome della flessibilità professionale e monetaria, probabilmente si avranno dei contratti diversificati per chi voglia correre dietro alla chimera della libera professione.
E, postilla dopo postilla, il CCNL se ne andrà a quel paese, liberalizzando selvaggiamente il mercato del lavoro come negli USA. Cosa possa significare tutto ciò vede molti riferimenti da considerare. Fra i tanti anche la dimensione cronachistica e narrativa della professione, offerta in merito dal film The good nurse. Di conseguenza la sintesi finale è che alla destrutturazione del sistema seguirà quella della professione che sarà ancor più stratificata rispetto al presente. Ed in tal senso è la stessa compagine governativa a suggerire cattivi pensieri.
In particolare il partito della premier, attraverso un post su Instagram, sottolinea come, grazie ad esso si siano concessi: stipendi più alti a medici ed infermieri nei Pronto soccorso; un aumento delle tariffe da 60 a 100 per le ore aggiuntive; misure volte a sopperire alla carenza di organico nei servizi di emergenza–urgenza; pene più severe per chi aggredisce il personale sanitario. La propaganda è sempre propaganda e chi la fa, in nome del supremo bene nazionale (che non può essere messo in discussione), ha come primo obiettivo di far passare alcuni messaggi
E quelli elencati parlano chiaro: la linea governativa seguita è quella occasionale, residuale; quella che fa notizia e non sistema, che crea differenze e rompe l’unitarietà lavorativa del comparto, che reprime il fenomeno invece di prevenirlo. La violenza negli ospedali non diminuirà di certo inasprendo le leggi. In realtà si dovrebbero combattere le cause che la generano, legate tutte alla disfunzione del sistema, alla carenza di servizi e di operatori, all’aumento delle malattie sociali date da precarietà lavorativa, inquinamento, cattiva alimentazione e i tanti salari da fame. Fra i peggiori in Europa.
C’è chi è costretto a passare ore ed ore in sala d’attesa, e c’è chi può benissimo prendere il suo iPhone di ultima generazione, fare una telefonata ad un numero giusto ed avere la presa in carico del suo problema di salute in pochissimo tempo. Questo è un dato di fatto di un sistema che non è più né universalista, perché privatizzato, né egualitario, perché vede soffrire di più chi ha di meno. Mentre non dovrebbe soffrire nessuno.
Questo governo eccelle nel fare decreti legge (ben 18 in pochi mesi), che sul piano costituzionale non è proprio un grande merito. In questo mostra non tanto la carenza di una visione di insieme, quanto la scelta precisa e coerente con il passato, di andare avanti pezzo dopo pezzo nel destrutturare lo stato sociale, le coperture per le fasce più deboli, e tutelare quelle già forti. Le polemiche in merito al codice degli appalti, dello scudo fiscale, delle spese militari dei giorni scorsi sono solo la punta di un iceberg di un esecutivo che sta realizzando quanto promesso in campagna elettorale: quello cioè di essere pronto. Per fare cosa è ben troppo evidente. Purtroppo.
gaetanolarosag
1 commenti
Esclusività. Un bene o un male?
#1
Un articolo con un filino di dolcezza verso sinistra. Rimane il fatto che in questi ultimi 10/20 anni niente si è fatto per prevenire. E per fortuna che il l'ala sanitaria dovrebbe prevenire, che è meglio che curare.