Buon 8 marzo a tutte le colleghe e a tutte le donne. Una festività che ogni anno si carica di aspettative e di rivendicazioni – buona cosa – ma purtroppo anche di delusioni, denunce e rabbia. Difficile a questo punto ripetere buon 8 marzo, ma la forza del diritto di ogni donna di essere libera di… essere, induce a farlo.
8 marzo, che sia davvero la festa delle donne e dei loro diritti
Il settimanale L’Espresso qualche giorno fa ha pubblicato l’elenco delle donne che sono state vittime di femminicidio in Italia. I dati sono stati tratti dal sito Inquantodonna e mostrano un totale di 91 vittime negli ultimi 13 mesi.
Sette donne al mese. Probabilmente le società arcaiche, quelle “barbare”, in qualche loro rito pagano, ne sacrificavano molte meno. Se qualcuno pensa che la cifra non sia poi così elevata, forse è bene che si soffermi un attimo sul fatto che in genere le vittime di femminicidio rappresentano la punta di un iceberg che nasconde un abisso di crudeltà e morte molto più grande in termine di donne uccise.
Ciò nonostante qualcuno ha detto che il termine femminicidio è in realtà una forzatura. Che allora si dovrebbe parlare, per equità, anche di maschicidio.
Se il femminicidio esiste, è perché l’equità, l’uguaglianza, la libertà non sono così forti da impedirlo
E molto spesso, passato l’8 marzo, il comune senso del pudore (ipocrita) torna a dimenticarsi delle donne. Per questo - e per molte altre ragioni - l’8 marzo è stata dichiarata giornata internazionale di sciopero a favore dei diritti delle donne. E sarà così anche in Italia, grazie ad alcuni sindacati di base (USI, CUB, SGB, USB).
Al di là delle mobilitazioni e dei numeri forse per questo 8 marzo si potrebbe riflettere, volgendo lo sguardo in casa nostra – cioè nel campo sanitario – al fatto che l’Italia pur avendo una legge all’avanguardia nel mondo per la tutela della donna in tema di interruzione della gravidanza, ha dei tassi di obiezione di coscienza che in realtà impediscono la libera e partecipata applicazione della legge.
Caso unico in Europa. Testimonianza concreta del fatto che molti vorrebbero un ritorno al passato. Magari preferendo l’aborto clandestino come è stato in Argentina quando, ad un passo dalla legalizzazione dell’IVG, il Senato ha votato contro l’anno scorso.
Qui, come sempre, idee e sensibilità fanno la voce grossa sulla pelle dei più deboli, delle ultime, delle donne. Si dice tutto, e il suo contrario.
Crotone e quel manifesto che vuole la donna come infermiera naturale
In un manifesto fatto per questo 8 marzo, ad opera della Lega di Crotone, fra le tante asserzioni – degne di nota, dato che sono relative ad una forza di governo e di maggioranza relativa – si legge del “ruolo naturale della donna volto alla promozione e al sostegno della vita e della famiglia”.
Probabilmente in qualche zampa di proteina di Dna ci sarà qualcosa che determina questa “naturalità”, la stessa cui si ispira chi vuole la donna come “un’infermiera naturale”.
Come ovviare al vuoto di pensiero di tale panorama culturale e politico è un arduo compito, ma non bisogna arrendersi, perché stereotipi e pregiudizi vanno a braccetto con i sofismi che si ergono a scienza a favore solo di poteri e soprusi di ogni sorta.
Facile retorica pro-femminista dirà qualcuno, che acchiappa simpatie il giorno dell’8 marzo. In realtà di questi tempi è più facile acchiappare simpatie stando con chi vuole ricacciare la donna nella galera delle mura domestiche e della subordinazione al maschio.
Ed in merito è interessante, riguardo al mondo infermieristico, una campagna appoggiata dalla Fnopi dal titolo #RispettaChiTiAiuta, dove sono stati presi in esami i dati di una ricerca a campione, dell’Università di Tor Vergata.
Stando alle cifre esposte sembra che l’89,6% dei professionisti sanitari abbia subito una qualche forma di violenza. Cifra decisamente alta e al limite dell’allarme sociale che meriterebbe ulteriori approfondimenti.
Interessante però notare che fra gli indicatori considerati non ci sia nulla che possa far riferimento in maniera diretta, sul piano fisico o psicologico, alle molestie sessuali. Un problema che di certo esiste nel mondo della sanità. Forse non sempre correlato al comportamento degli utenti, di certo molto presente fra professionisti.
Infatti quello sanitario è un mondo gerarchico, potenzialmente violento – anche se molto spesso di una violenza legittimata e autorizzata – e maschilista. E sessista. Sarebbe interessante capire quante colleghe abbiano subito una molestia almeno una volta nella loro carriera.
Un commento, un’attenzione pesante, una sottolineatura greve fatta di quell’umorismo grasso di cui solo i maschietti sanno farsi portatori; credendo poi di essere simpatici. Molte colleghe sanno di cosa sto parlando. Molti colleghi fanno finta di non sapere di cosa sto parlando.
Ed allora all’iniziativa lodevole sulla sicurezza degli operatori in sanità è da augurarsi che ne potrà seguire una sulla sicurezza delle operatrici. E anche degli utenti stessi che non poche volte subiscono stando zitti. Ecco, forse il più grande nemico delle donne – e degli ultimi, dei deboli in generale – è proprio il silenzio, il non dire nulla.
Avere paura dello scherno e della derisione degli altri. Di non essere creduta. Di essere giudicata, specie dalle stesse donne, dalle stesse colleghe: Che vuoi? Te la sei cercata, a furia di fare la cretina con...
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