Irina era un'infermiera volontaria che guidava le ambulanze al fronte
Irina Tsybukh, infermiera uccisa il 29 maggio mentre viaggiava sul suo mezzo di soccorso verso Kharkiv.
Irina aveva 25 anni, la chiamavano Tcheka. È stata uccisa il 29 maggio mentre viaggiava con il suo mezzo di soccorso in direzione di Kharkiv. Mancavano pochi giorni al suo compleanno. Faceva parte del battaglione medico volontario degli ospedalieri.
L'hanno seppellita domenica scorsa, dopo un omaggio popolare nella piazza principale di Kiev dove le persone hanno cantato e suonato i canti della patria; Irina amava la musica e le sue radici come ogni giovane.
Davanti alla sua bara avvolta nella bandiera gialla ed azzurra hanno pianto circa mille ucraini, porgendole un fiore ed un ultimo saluto. Le hanno tributato onore, come si fa con gli eroi . Al suo funerale, celebrato presso il monastero di san Michele dalla Cupola d'Oro, centinaia di persone hanno indossato le vyshyvankas, le tipiche camicie nazionali ricamate.
Irina era una donna che esprimeva la sua identità, era orgogliosa delle sue origini. I suoi connazionali riconoscono che è morta per difendere libertà, vita e dignità .
Sono tre parole che mi ricordano le donne iraniane . Il cuore batte perché non sono solo ideali patriottici, ma l'essenza della vita.
È stata una di quelle persone che non solo hanno difeso il Paese, ma hanno anche lavorato instancabilmente per incoraggiare gli altri ad impegnarsi, a formarsi e ad imparare ad essere efficaci , dicono di lei.
Prima dello scoppio del conflitto Irina era una nota giornalista nella radiotelevisione pubblica , lavorava nell'emittente televisiva Suspilny. Dall'inizio dell'invasione russa su vasta scala aveva lasciato la redazione e si era arruolata nel battaglione sanitario prendendo posizione di membro senior dell'equipaggio di soccorso.
Si era distinta per il suo servizio sui campi di battaglia tanto da ricevere nel novembre 2023 l'ordine al merito. L'onorificenza le era stata consegnata dal presidente Zelenskyi, poi era tornata a fare il suo dovere.
Era stata assegnata nel nord est del Paese, laddove le forze russe da maggio hanno lanciato un'importante offensiva di terra per cercare di sfondare il fronte. È lì che sono ripresi in maniera devastante gli attacchi con la stessa intensità e brutalità che il nemico ha inflitto a sud. Irina operava ogni giorno in quei territori che subivano l'avanzata dei soldati del Cremlino , costringendo i civili ad evacuare.
Avrebbe potuto continuare a raccontare la guerra attraverso i suoi reportage dando testimonianza diretta al mondo attraverso la cronaca. Alle parole ha preferito i fatti. Ha voluto dare significato alla sua vita sconvolta dalla guerra andandoci dentro, salvando la vita alla sua gente
Evacuare e trasportare i feriti allontanandoli dalla furia dei combattimenti. Caricarli a bordi dei mezzi, dopo averli stabilizzati, e correre verso gli ospedali da campo o i posti medici avanzati sotto il fuoco nemico. Questo faceva.
Il lavoro di un soccorritore sanitario di prima linea è pericoloso come quello di un militare , si sa che purtroppo una croce rossa come distintivo di personale non combattente non è garanzia di non essere attaccati. Accanto a uomini addestrati a togliere la vita ad altri uomini, ve ne sono altri addestrati al compito differente di salvare loro la vita.
Anche Irina era addestrata al primo soccorso. In guerra significa occuparsi di ferite, spesso mortali, che provocano danni su ossa e tessuti incomparabilmente peggiori di qualsiasi altro evento traumatico, perché sono provocati da proiettili e schegge di bombe, senza contare i missili, armi che sono volontariamente studiate e costruite per offendere il corpo umano. Si tratta di vertebre che esplodono, femori che scoppiano, cute dilaniata, muscoli squarciati.
Parto perché i miei figli possano vivere nella mia Patria in libertà
La storia di Irina ricorda quella di un'altra infermiera ucraina caduta nel settembre 2022. Marianna Triasko , 37 anni, viveva in Italia da 14 anni, a Villorba, in provincia di Treviso.
Esercitava la professione in un ospedale veneto, ma quando è scoppiata la guerra ha pensato che la sua esperienza come infermiera potesse contare molto nelle retrovie. Parto perché i miei figli possano vivere nella mia Patria in libertà , aveva spiegato.
È stata impiegata nei reparti ausiliari, nella 102esima brigata delle forze di difesa territoriale nel fronte occidentale. Promossa a medico di campo, è stata spedita in un ospedale da campo a circa venti chilometri dalla centrale di Zaporizhia.
È lì che è morta per le gravissime lesioni, due giorni dopo il bombardamento dell'ospedale. Marianna ha passato la vita con i malati. Era consapevole del fatto che, come infermiera, avrebbe potuto offrire un aiuto al suo paese , la ricorda il marito. È stata sepolta in Ucraina e alle sue esequie ha partecipato una grande folla.
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La storia del 1944 ci racconta che sulla spiaggia insanguinata di Omaha Beach, sbarcarono, pur nelle retrovie, anche infermiere americane della Croce Rossa . Hanno partecipato al più grande sbarco militare della storia, che fu un bagno di sangue.
Come i soldati molte di loro riposano nel cimitero di Colleville-sur-mer e in altri camposanti dell'entroterra francese, dove persero la vita nei mesi successivi allo sbarco che diede inizio alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Ora che la guerra è tornata in Europa , seppur confinata nella terra del cielo e del grano, e venti di parole soffiano minacciosi tra gli Stati dell'Unione, ci sono ancora infermiere che lasciano lavoro ed affetti per andare al fronte ucraino.
Altre partono in missione con organizzazioni non governative, come Emergency e Medici senza frontiere, per raggiungere altri teatri di guerra sparsi per il mondo, il più noto è Gaza. Sono professioniste con competenze avanzate e con una marcia in più che, come Irina e Marianna, sentono un forte senso del dovere.
Del resto essere infermiere comporta, come per un medico, esserci laddove c'è bisogno e nessun altro può andare. Essere un sanitario quando, dopo decenni, la pace inaspettatamente finisce significa rispondere ad una chiamata, non alle armi, ma alla propria coscienza di fronte agli eventi.
Chi tra noi potrebbe davvero esimersi dalla propria mission di curare e salvare delle vite in guerra, che siano civili o militari, amici o nemici? Se davvero i due principali conflitti in corso si allargassero, come analisti e governanti grandemente temono, sul serio qualcuno pensa di tirarsi indietro e non fare, in qualche modo, la propria parte?
Pur ripudiando la guerra nella costituzione ed invocando tutti la pace, non si potrebbe reclamare l'obiezione. Morire, come Irina, per la patria sembra oggigiorno impensabile per gli occidentali. Perdere la vita in nome di un ideale e a causa di un'altra guerra è forse incomprensibile ai più. Eppure, c'è qualcosa che ha più valore della libertà di una persona che, nella moltitudine, si fa popolo? Se qualcuno la toglie brutalmente, davvero non vale più la pena di lottare per riaverla indietro tutta intera, senza compromesso?
La vita finisce bene, pur nella drammaticità del morire male, quando si rispetta il significato che si è scelto di darle vivendo fino all'ultimo, coerentemente. Così che, come Irina, la si lascia andare, alle spalle, con un senso non di perdita ed abbandono ma di compiutezza. E con la pace nel cuore, mentre fuori è ancora guerra, di essere stati un buon essere umano.
Se capitasse a noi, come agli ucraini agli ebrei e ai palestinesi, dovremmo ricordarci di donne infermiere come lei. Ce ne sono certamente tante altre, ovunque ci sia una guerra, anche se la cronaca giornalistica non ce ne riporta il nome.
Se ci capitasse di andare al fronte o di difendere i nostri ospedali, diventeremmo tutti, ne sono fiduciosa, ancora una volta, infermieri eroi per caso, seppur senza averlo voluto e pensato mai, in una storia più grande che non potremmo vivere se non con quel nobile coraggio che, naturalmente, trasforma l'animo in certe circostanze.
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