I dati disponibili in letteratura sul rischio trombotico dei pazienti con COVID-19 sono piuttosto limitati e in gran parte basati su serie di casi provenienti da Cina, Paesi Bassi e Francia. Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che questa evidenza di aumento del rischio trombotico sia sufficiente a raccomandare la profilassi farmacologica del tromboembolismo venoso (TEV) in tutti i pazienti ospedalizzati con COVID-19, purché non vi siano controindicazioni.
Aumentato rischio trombotico e di sanguinamento in COVID-19
Una delle maggiori difficoltà nel determinare la vera incidenza della trombosi è che l’esecuzione dei test diagnostici può essere limitato a causa dell’eccessiva instabilità del paziente oppure per un’indisponibilità dell'imaging.
In Cina, la profilassi routinaria per il TEV non viene somministrata ai pazienti ospedalizzati, il che potrebbe spiegare almeno in parte l'alto tasso di questa complicanza nella popolazione cinese. Nei Paesi Bassi, dove viene somministrata la profilassi del TEV di routine, sono stati rilevati alti tassi di TEV tra i pazienti in terapia intensiva; tuttavia, più di un terzo di questi pazienti presentava un'embolia polmonare limitata alle arterie sub-segmentali. Così come suggerito da uno studio di coorte francese, effettivamente potrebbe esserci un rischio più elevato tra i pazienti COVID-19 in terapia intensiva, ma mancano dati di alta qualità.
Per quanto riguarda il rischio di sanguinamento, non vi è una chiara propensione all'aumento del sanguinamento tra i pazienti con coagulopatia COVID-19. La coagulopatia riscontrata nel COVID-19 grave sembra essere associata a livelli normali o aumentati di fibrinogeno.
Ciò contrasta con la coagulopatia intravascolare disseminata (CID), caratterizzata da bassi livelli di fibrinogeno, consumo di fattori di coagulazione (e anticoagulanti naturali), grave trombocitopenia e sanguinamento con trombosi microvascolare.
Esami laboratoristici
Dato che i dati sulla natura della coagulopatia associata a COVID-19 sono ancora in fase di raccolta, è ragionevole testare nei pazienti ospedalizzati i livelli di D-dimero, PT, aPTT e fibrinogeno. Inoltre, è bene ricordare come l’INR non sia sufficientemente sensibile per la coagulopatia.
Il COVID-19 grave si è dimostrato associato ad alti livelli di D-dimero, che sembrano predirne la mortalità. Una relazione tra elevati livelli di D-dimero e mortalità, tuttavia, è stata dimostrata anche in precedenti coorti di pazienti critici: se questo è più significativo nel COVID-19 o più predittivo della mortalità per questa patologia è attualmente sconosciuto.
Non è inoltre noto se i trattamenti antitrombotici mirati alle soglie del D-dimero migliorino i risultati. Oltre a ciò, è attualmente altamente incerto quanto gli elevati livelli di D-dimero dovrebbero guidare la gestione di questi pazienti, ma queste informazioni possono essere utili per il monitoraggio clinico.
Basandosi solamente su elevati valori di D-dimero, l'anticoagulazione terapeutica non è obbligatoria per tutti i pazienti e non ci sono prove a supporto dell'uso dei valori del D-dimero per guidare l'intensità dell'anticoagulazione.
Imaging
La valutazione per la presenza di TEV dovrebbe includere più elementi inerenti la condizione del paziente, tra cui la storia dell’ospedalizzazione, l’esame fisico e i parametri vitali, i trattamenti attualmente somministrati e i valori laboratoristici. Considerato ciò, la decisione di effettuare un imaging per accertare la presenza di TEV non dovrebbe basarsi solo su un D-dimero elevato.
Quando possibile, è necessario ottenere la conferma di imaging di TEV per guidare le decisioni sulla terapia anticoagulante. Sebbene ciò possa non essere possibile in tutti i setting, l'utilizzo di ultrasuoni a compressione limitata può aiutare a ridurre al minimo il rischio di esposizione per il personale della sala vascolare. In altri contesti, le decisioni possono basarsi principalmente sulla valutazione clinica e sulla valutazione del rischio trombotico rispetto al sanguinamento.
Profilassi
Le evidenze attualmente disponibili indicano come tutti i pazienti con patologie cliniche ricoverati in ospedale devono essere sottoposti a screening per valutare la necessità della profilassi del TEV. Tuttavia, due risultati preliminari sembrano distinguere i pazienti con COVID-19 da altri pazienti ricoverati in ospedale, almeno sulla base delle prime segnalazioni provenienti dalla Cina e dall'Europa.
In primo luogo, i pazienti COVID-19 ricoverati in ospedale possono presentare uno stato procoagulante aggiuntivo rispetto ad altri pazienti ospedalizzati, inclusa l'attivazione della coagulazione attraverso vari meccanismi infettivi e infiammatori. In secondo luogo, molti degli eventi di TEV si verificano in pazienti sottoposti a profilassi a dose standard.
La profilassi post-ospedaliera deve essere presa in considerazione nei pazienti con COVID-19. L’esperienza derivante dagli studi MAGELLAN, APEX e MARINER suggerisce che in alcuni pazienti senza COVID-19, la tromboprofilassi post-dimissione (in particolare con un NAO può essere utile se il rischio di sanguinamento può essere ridotto al minimo.
Ciò può essere ancora più importante nei pazienti con esiti di COVID-19 a causa della lunga durata della malattia, che si caratterizza per un picco di sintomi intorno al giorno 8-10 seguito da una coda piuttosto lunga con una maggiore probabilità di immobilità e rischio di superinfezione. L'uso di un punteggio di rischio validato (ad es. IMPROVE or IMPROVEDD score con D-dimero) può essere particolarmente utile nel guidare il processo decisionale.
Utilizzo degli anticoagulanti a dose terapeutica
Esistono sostanziali controversie sull'utilizzo di dosi intensificate di anticoagulanti per prevenire eventi trombotici nei pazienti con COVID-19. Alcuni studi hanno sostenuto che gli anticoagulanti possono aiutare a prevenire altre complicazioni come il deterioramento respiratorio e la ventilazione meccanica a causa della trombosi microvascolare polmonare. Tuttavia, poiché l'anticoagulazione terapeutica è anche associata ad un aumentato rischio di sanguinamento, dovrebbe idealmente essere utilizzata nel contesto di uno studio randomizzato per la prevenzione della trombosi basato sull’attuale stato di conoscenza.
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