L’accuratezza della documentazione infermieristica migliora gli esiti di cura sui pazienti, ma quali sono le caratteristiche di una comunicazione strutturata ed efficace? Ad esplorare questo quesito è uno studio italiano, condotto su due aziende lombarde, che include 6 ospedali e ha analizzato complessivamente 430 cartelle infermieristiche, di specialità sia mediche che chirurgiche.
L’infermiere fa molto, ma spesso tende ancora a non documentarlo
Per la valutazione della qualità della documentazione infermieristica è stato adottato come riferimento lo strumento D-Catch, nato nei Paesi Bassi e poi tradotto e validato anche in Italia.
Il D-Catch prevede sei sezioni che misurano rispettivamente: la strutturazione della documentazione, la valutazione infermieristica dei pazienti all’atto del ricovero, le diagnosi infermieristiche, gli interventi, la valutazione dei risultati della pianificazione assistenziale ed infine la leggibilità della documentazione.
Da questo studio è emerso che la strutturazione delle cartelle è buona; ovvero sono presenti una sezione dedicata ai dati personali, una alla valutazione iniziale del paziente, una alla identificazione dei problemi assistenziali, una alla diaria giornaliera con esplicitazione dei risultati dell’assistenza.
Per quanto riguarda la valutazione infermieristica gli infermieri sono molto attenti nel registrare i dati anagrafici del paziente e il motivo del ricovero, (maggiormente l’area medica rispetto quella chirurgica), con però una netta prevalenza dell’utilizzo di diagnosi mediche e non di terminologia specifica infermieristica.
Sulla valutazione dell’accuratezza della presenza e della formulazione della diagnosi infermieristica è stato documentato un maggiore riguardo nelle aree mediche rispetto a quelle chirurgiche, ovvero laddove i procedimenti sono meno standardizzati gli infermieri appaiono spinti maggiormente all’utilizzo del ragionamento clinico, per descrivere lo stato e il decorso dei propri pazienti.
Il linguaggio adoperato per formulare le diagnosi/problemi assistenziali è spesso difforme e gli interventi documentati frequentemente non sono correlabili ad un’azione infermieristica autonoma, ma più ad una prescrizione medica. Il lessico utilizzato non è poi univoco, non viene utilizzata una terminologia scientifica, nonostante le aziende coinvolte si rifacciano, come riferimento, al modello delle prestazioni infermieristiche di Marisa Cantarelli, che si basa su tre elementi chiave del processo decisionale infermieristico: la diagnosi, gli interventi e gli outcome.
La documentazione dell’autonomia dell’intervento infermieristico è quindi ancora scarsa privilegiando le prestazioni su prescrizione. Anche sulla valutazione dei risultati ottenuti dagli interventi di assistenza infermieristica erogati c’è ancora molto da lavorare sia in termini quantitativi (ovvero manca spesso la trascrizione di tali interventi), sia in termini di forma che appare, purtroppo, scadente. Paiono esserci risultati migliori nell’area chirurgica, forse maggiormente correlabili alla documentazione della fase pre e post operatoria del paziente.
La tecnologia viene però a supporto degli infermieri, in quanto le cartelle informatizzate sono più accurate rispetto a quelle cartacee nella compilazione dei dati, nell’identificazione dei problemi assistenziali, nella descrizione degli esiti e nella leggibilità dei dati.
L’infermiere fa molto, ma spesso tende ancora a non documentarlo, nonostante la letteratura abbia già dimostrato, da anni, come l’accuratezza e la completezza della documentazione infermieristica possano migliorare gli esiti di cura e assistenza sul paziente. Ad oggi non esiste ancora un linguaggio infermieristico uniforme e questo provoca una mancata documentazione delle valutazioni ed attività svolte, rendendo ancor più difficile quantificare la mole di lavoro infermieristico svolto quotidianamente in tutte le realtà operative.
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