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Magistrali cliniche, Manzoni: rispondono alla domanda dei cittadini

di Monica Vaccaretti

In Italia abbiamo bisogno di politiche che partano molto più lontano per capire la crisi delle professioni sanitarie, soprattutto quella infermieristica. Credo che il tema del Paese sia quello di rimettere al centro la questione della cura, intesa come bellezza. Così Edoardo Manzoni, Direttore Generale presso Istituto Palazzolo di Bergamo, a margine del suo intervento nel corso del convegno “Professioni sanitarie: tempo di progettazione” a cura di Opi Pordenone.

Manzoni: Non è in crisi la motivazione infermieristica, lo è quella alla cura

Un vivere come quello nelle società occidentali, del cosiddetto homo tecnologicus - che non è tanto colui che usa la tecnologia, che è certamente un grande mezzo, ma colui che pensa come la tecnologia ossia pensa sempre ad un cosa e ad un come e non mette mai al centro il perché – ha bisogno che gli infermieri entrino nelle scuole, sin dalle primarie, per poter dire che occuparsi degli altri è certamente una forma in cui si può realizzare la propria vita, che è esattamente l'opposto di quello che oggi viene proposto ai ragazzi, illustra spiegando che la professione è di fronte ad una crisi molto più radicale di quella raccontata.

Non è in crisi la motivazione infermieristica. È in crisi piuttosto la motivazione alla cura, quello che ha tenuto insieme le nostre società nei millenni che ci hanno preceduto

Riconosce che c'è certamente assoluto bisogno di cambiare la formazione infermieristica, sia nei contenuti che nell'organizzazione: La formazione deve essere molto concentrata sul proprium, pertanto considero molto favorevolmente le lauree magistrali di tipo disciplinare in quanto è quel proprium lì che rimane imperituro nel tempo e che permette di rispondere alla domanda che ci fanno i cittadini da sempre e per sempre: Tu ti prenderai cura di me?

Secondo Manzoni anche le organizzazioni, che durante il periodo Covid hanno avuto l'apoteosi della loro crisi, devono saper cambiare. Negli ultimi 20 anni le nostre organizzazioni non vanno più bene ai nostri pazienti e oggi non vanno più bene neanche ai nostri operatori sanitari. Tutte le ricerche sui giovani nel mondo del lavoro dimostrano che essi cercano altro nelle organizzazioni, spiega. Non possono essere pedine spostate qua e là indipendentemente dalla loro storia e dalla loro valorizzazione.

I paradigmi, cioè i punti di riferimento e i pilastri che tengono su i ponti di una professione e quindi più largamente di una società, non reggono più, avverte spiegando che nella attuale realtà sociale, dove si dice che tutto sia più complesso e che continua a cambiare in modo continuo e spaventosamente accelerato, anche il concetto di salute cambia.

La concezione che abbiamo di salute come una meta o un punto fermo, che sono poi le definizioni che ci ha dato l'Oms seppur nell'ultima versione delle Nazioni Unite viene chiamato benessere, è mutata. I paradigmi che definiscono la salute come uno stato o un equilibrio omeostatico disarmonico non hanno forse più significato”.

Complesso non vuol dire difficile, vuol dire integrato

Riflettendo sui concetti di complessità e cambiamento, Manzoni afferma che qualsiasi fenomeno sociale, nel nostro caso il fenomeno salute e il fenomeno assistenza infermieristica, hanno molte più variabili rispetto al passato e queste variabili sono tra loro molto integrate.

Considerando che i professionisti della salute e dell'assistenza infermieristica affrontano temi, in scienza chiamati “fenomeni”, che presentano molti più fattori rispetto al passato, Manzoni ritiene che sia problematico nelle attuali organizzazioni sanitarie il persistere del desiderio di divisione di tali fattori complessi.

Non possiamo dimenticare che il sinonimo contrario di integrazione è disintegrazione, non è la semplificazione – sottolinea -. Allora questo tutto intero, definito dai greci olon, termine da cui deriva l'olismo che nella denaturazione del concetto americano è arrivato anche nella letteratura infermieristica, assume un valore molto più alto rispetto alle parti. Considerando poi che i fenomeni non sono soltanto più complessi ma anche in continuo cambiamento, succede che quando cerchiamo di afferrarli, ossia decodificarli, capirli, creare delle risposte prestazionali di presa in carico di qualità, il fenomeno è già cambiato.

Complessità e cambiamento ricadono pertanto su una concezione di salute che non ha più significato: Di fatto, nella civiltà della tecnica, noi oggi non riusciamo più a definire il concetto di salute. Ci interessa piuttosto un concetto di vivere. Non dobbiamo dimenticare che siamo nel secondo Paese più vecchio al mondo con una morbilità enormemente sbilanciata verso le malattie cronico degenerative nelle quali il paradigma prevenzione-cura-riabilitazione - cioè un tempo per star bene, un tempo per ammalarsi e un tempo per guarire - non esiste più.

Il non star bene coincide con il vivere delle persone, spiega sottolineando come ciò sia dimostrato anche dalla ricerca. Alla domanda “che cos'è la salute per te?” dalle risposte emerge chiaramente che ai cittadini italiani non interessa più un'etichetta, cioè una definizione, una patologia o una diagnosi, ma interessa lo star bene, l'autosufficienza e la possibilità di avere delle relazioni.

È un cambiamento radicale che sposta il concetto di salute oggettivamente inteso ad un concetto di vivere che ha dentro tutte le dimensioni e in cui il contenitore nel XXI° secolo che ha senso è solo la persona assistita, specifica Manzoni.

Questo spazza via una serie di problemi organizzativi che ancora esistono, come la divisione ospedale-territorio, i percorsi di continuità assistenziale, la visione di unità operative o magari la costruzione di dipartimenti che a volte sono muri per contenere altri muri ma che diventano muri. Allora dobbiamo entrare in una logica di salute che non è più una meta e in una logica dell'uomo non è più un viaggiatore ma piuttosto, come dice Galimberti, un viandante

Manzoni suggerisce tre interventi riconducibili ad atteggiamenti: Primo, bisogna passare dalle cosiddette teorie prescrittive dell'assistenza infermieristica, cioè penso e faccio, alle filosofie di assistenza infermieristica che si concentrano di più sulle identità delle persone.

Spiega che tutte le moderne teorie di assistenza infermieristica, come quella di Watson e quella più attuale di Rizopars, sono di fatto delle filosofie cioè creano una questione di pensiero. Consentono poi di usare l'evidenza scientifica, che noi teniamo ancora separata dall'etica, inserendola in un cammino di visione dell'uomo che è completamente diversa.

Secondo, è necessario passare da una concezione di benessere antropocentrico, cioè concentrata sull'uomo, ad una visione biocentrica ossia concentrata sulla vita. È l'attenzione all'ambiente, alle relazioni umane, al sistema sociale in cui l'uomo vive la città. L'uomo non è più centro della salute, la salute trova il suo centro nella vita perché questo è l'unico modo, di fronte ai problemi del nostro tempo che ben conosciamo, per migliorare il benessere delle persone.

Terzo, occorre archiviare il concetto di opposizione. Veniamo da una tradizione, dentro la nostra professione, di opposizioni: scienza o coscienza, ospedale o territorio, organizzazioni o non organizzazioni. Il XXI° secolo ci dice invece che è tempo delle “e”.

Insomma, la complessità e la semplificazione della complessità, necessaria per poter agire concretamente nella realtà, non sono antagoniste e si possono semplificare fenomeni tenendo altresì conto contemporaneamente che la complessità ha le sue esigenze.

Dobbiamo passare da una visione di salute come meta ad una salute come cammino, nonché da una visione dell'uomo inteso persona presa in carico e persone che prendono in carico, come viaggiatore che ha un obiettivo chiaro dentro a cui arrivare, ad una visione di viandante che guarda il suo cammino e cerca di vivere così come può

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