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Assistenza Infermieristica

Paziente fragile e tutela consenso alle cure, una riflessione

di Giuseppe Sasso

Amministrazione di sostegno o interdizione? Come può tutelarsi al meglio il consenso alle cure dei soggetti cognitivamente compromessi? Ancora troppo vasta la zona grigia di incertezza nella quale agiscono gli infermieri e gli operatori del mondo Sanità; da tempo giace in Senato una proposta di abrogazione dell'interdizione e dell'inabilitazione, motivata soprattutto dalla necessità di aderire ai principi della Convenzione ONU di New York del 13 dicembre 2006, ma la quotidianità assistenziale mostra chiaramente la necessità di ridisegnare l'Amministratore di Sostegno (o di crearne uno ad hoc) in modo efficace per le realtà socio-sanitarie che si occupano dell'anziano cognitivamente compromesso.

Amministrazione di sostegno o interdizione, tutela del consenso alle cure

Amministrazione di sostegno, la tutela del consenso alle cure del paziente congitivamente compromesso

Nella prassi gestionale delle realtà sanitarie deputate alla istituzionalizzazione dei soggetti anziani cognitivamente compromessi, da diversi anni si è consolidata l'adozione dell'Amministrazione di sostegno (Ads).

Giuridicamente questo istituto fu concepito per assistere soggetti temporaneamente o parzialmente incapaci di provvedere alle attività di vita quotidiana di carattere patrimoniale. La spontanea evoluzione sociale e culturale ha recentemente messo in evidenza alcune criticità derivanti dall'impiego di tale strumento in ambito sanitario.

Specificamente rispetto alla questione del consenso alle cure, la ormai ineluttabile visione del rapporto professionisti-utente in una dimensione paritaria di tipo civilistico, impone giuridicamente la concessione da parte del paziente del "permesso" ad accedere al di lui corpo fisico: l'alleanza tra chi attua e chi riceve le prestazioni sanitarie si fonda sul requisito irrinunciabile della corretta formazione e concessione di un consenso che non dovrebbe definirsi semplicemente informato, bensì consapevolmente prestato.

In merito il Tribunale di Torino - in funzione di giudice tutelare (decreto 22 maggio 2004) - si è pronunciato sfavorevolmente riguardo alla supposta validità del consenso/dissenso alle prestazioni sanitarie manifestato dall’amministratore di sostegno in luogo dell’amministrato. Ciò implica l’impossibilità di aderire validamente alle pratiche sanitarie e di opporsi a quelle che collidono con gli interessi, anche morali, della persona assistita.

Inoltre le recenti vicende di aggravamento della negatività di bilancio del sistema sanitario, correlate al fenomeno della medicina difensiva e dello spesso abusato ricorso al risarcimento del danno da errore terapeutico, diagnostico e/o assistenziale, hanno reso necessario un intervento normativo mirato al contenimento delle falle di uno scafo altrimenti destinato ad affondare miseramente.

Ma se da un lato si coglie la bontà di una tale manovra (vedi la riforma Gelli-Bianco), dall'altro risulta doverosa una riflessione riguardo il come potersi approcciare, professionalmente, in modo efficace rispetto a situazioni eufemisticamente definibili border-line.

In tal senso la presa in carico, nelle strutture socio-sanitarie, dei soggetti anziani cognitivamente non più integri è un punto dolente.

Emergono da queste realtà tematiche di forte implicazione etico-gestionale: su tutti gli esempi del fine vita, delle pratiche contenitive (quale misura di prevenzione delle cadute e dei danni conseguenti), nonché del “semplice” riconoscimento di eventuali situazioni di accanimento.

In molti casi la gestione di queste situazioni risulta gravosa sia dal punto di vista dell'utente, aprendosi scenari di sofferenza psico-fisica e violazione della dignità, che da quello degli operatori sanitari, richiamati sempre di più a garantire prestazioni qualitativamente elevate in condizioni quantitativamente risicate (nell'orbita delle risorse disponibili) e, soprattutto, alla luce di una dimensione di responsabilità professionale elevata.

Ne consegue la naturale curvatura verso l'alto del diagramma di rappresentazione del coefficiente di rischio professionale, in un palcoscenico dove gli esercenti sono stati recentemente (ri)qualificati come attori protagonisti della gestione del rischio clinico.

Con questo scritto non si ha la pretesa di proporre una panacea, ma piuttosto di farsi carico di una “petizione” rivolta sia alla comunità sanitaria che agli organi istituzionali, nella speranza di proporre una riflessione proattiva sul migliore sfruttamento delle risorse disponibili. Un punto di partenza, insomma.

Cos’è l’interdizione

A dispetto di quanto sia largamente percepito, l’interdizione, correttamente attuata, non consiste affatto nella morte civile di un soggetto, bensì nella civilistica presa in carico di una persona che non è più in grado di far coincidere la propria volontà con la relativa manifestazione, il proprio pensiero con le relative azioni e le conseguenze che da esse scaturiscono giuridicamente.

L’articolo 414 c.c. lascerebbe un margine di scarsa discrezionalità riguardo al ricorso a tale istituto: i soggetti che “si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.

E chi più di un anziano, fragile per definizione, inoltre compromesso nelle funzioni cognitive ha bisogno di protezione? Talvolta addirittura da sé stesso, talvolta dagli eccessi, talaltra dalle carenze derivanti dalla stessa assistenza sanitaria.

Il tutore, a norma degli artt. 357 e 424 c.c., ha in carico la cura dell’interdetto ed oltre ad amministrarne i beni, lo rappresenta in tutti gli atti civili. Nel concetto di cura rientrano anche l’individuazione delle modalità di assistenza e la vigilanza sull’operato degli enti preposti alle cure e all’assistenza.

In quello di rappresentanza è ricompresa la possibilità di proporre querela in luogo del soggetto tutelato (previsione chiaramente difensiva degli interessi personali costituzionalmente garantiti, comprese libertà e integrità fisica).

Da sottolineare che nella ratio legis vi fosse la volontà del legislatore di creare un parallelismo tra interdizione e tutela del minore.

Il giudice di legittimità (Cass. n.21748/2007) ha indicato quali siano i vincoli entro cui il tutore può legittimamente rappresentare l’incapace nell'esercizio del di lui diritto alla salute:

  • ricerca esclusiva del best interest della persona tutelata;
  • iter decisionale “con” l’incapace (né ‘per’ né ‘al posto di’), cioè “ricostruendo la presunta volontà del paziente…tenendo conto dei desideri da lui espressi prima…inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”.

In una società che invecchia, il mondo socio-sanitario, sia in ambito intra che extraospedaliero, nelle realtà pubbliche e private, si sta occupando di un numero sempre crescente di persone affette da patologie irreversibili ampiamente invalidanti (pazienti con Alzheimer, le numerose demenze senili, il morbo di Parkinson) .

Soffermandoci per esempio sulla gestione del rischio di caduta, di per sé matematicamente impossibile da annullare, sarebbe auspicabile un pragmatico allineamento delle ideologie degli operatori sanitari, giudiziari, burocratici e normativi.

E, a nostro sommesso avviso, un buon punto di partenza in questo non immediato processo sarebbe quello di utilizzare uno strumento, quello dell'interdizione, che (oltre ad essere già inserito nel tessuto normativo) in larga parte risponderebbe alle necessità di surrogazione nelle capacità di agire proprie di quei soggetti che, in quanto non in grado di autodeterminarsi correttamente, restano indifesi alla mercé delle assiologie e delle contingenze del momento.

Sopperendo altresì alla distonia esistente tra la politica della non contenzione e le prassi locali; tra il mondo sanitario globalmente inteso e quello giuridico-giudiziario. Situazioni che spesso ricadono su coloro i quali operano in concreto per garantire l’assistenza e le cure, ponendoli spesso tra l’incudine e il martello.

Non potremmo quindi concordemente individuare come urgente la necessità di rendere giuridicamente efficace l'adesione dell'assistito al piano terapeutico-assistenziale, allontanando gli esercenti le professioni sanitarie dalla zona grigia dell'incertezza d'azione e della paura di rispondere in prima persona?

Di contro, da tempo giace in Senato una proposta di abrogazione dell'interdizione e dell'inabilitazione, motivata soprattutto dalla necessità di aderire ai principi della Convenzione ONU di New York del 13 dicembre 2006, per buona parte in contrasto con taluni effetti di tali istituti.

Qualora venisse accolta chiediamo a gran voce che il lavoro del legislatore tenga conto del quadro sopra descritto e si occupi di ridisegnare l'Amministratore di Sostegno (o crearne uno ad hoc) in modo efficace per le realtà socio-sanitarie che si occupano dell'anziano cognitivamente compromesso.

Del resto le realtà europee più "avanzate" hanno sì abrogato da tempo l'interdizione (Austria dal 1983, Germania dal 1990), ma hanno all'uopo creato degli istituti che risultano malleabili e performanti in relazione al caso concreto (a differenza dell'A. di S.).

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