Il morbo di Parkinson è una delle patologie più debilitanti oggi conosciute. Può colpire praticamente tutti. È seconda solo al morbo di Alzheimer come gravità.
Le cure a disposizione degli utenti sono sempre meno e chi ne è affetto oltre a lottare contro una burocrazia sempre più distante dalle esigenze di salute di chi soffre, deve combattere quotidianamente contro un male che logora il fisico e la mente. Chi ne soffre ha gravi deficit e non può condurre di fatto una vita normale. L’assistenza infermieristica a pazienti con tale morbo si rivela spesso indispensabile per il paziente e per i suoi familiari.
Assistere un utente affetto da Parkinson
Il morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa a carattere progressivo, seconda per presenza tra le malattie neurodegenerative soltanto al morbo di Alzheimer.
La fisiopatologia è riassumibile con la morte delle cellule della substantia nigra, regione dell'encefalo, con conseguente diminuizione del rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per il nostro organismo.
Essendo una patologia particolarmente diffusa e peculiare, l'assistenza al malato di parkinson desta molta attenzione da parte delle categorie di professionisti sanitari.
Gli effetti patologici
Sebbene la caratteristica più evidente degli effetti patologici del parkinsonismo sia rappresentata dai famosi "tremori", o come vennero definiti dal dottor James Parkinson "paralisi agitanti", sarebbe oltremodo riduttivo non tenere conto dell'insieme degli effetti globali patologici. Un'assistenza infermieristica completa deve infatti tenere conto e monitorare sia gli effetti motori che quelli non motori.
Gli effetti motori
Come abbiamo già detto, l'effetto motorio che in maniera incompleta e assolutamente non scientifica sintetizza la patologia di Parkinson è il tremore a riposo. E' sempre bene ricordare come questo sintomo non sia essenziale alla diagnosi, ovvero non si manifesta nella totalità dei pazienti.
Il tremore può essere esterno (con tremore in genere di mani, piedi o mandibola) o interno. Quest'ultimo è soventemente dichiarato dal paziente ma non osservabile dall'infermiere.
Altro effetto motorio è rappresentato da bradicinesi e acinesi: nel primo caso si osserverà una lentezza accentuata nei movimenti mentre nel secondo una difficoltà ad iniziare movimenti spontanei. L'acinesi in particolare genera una manifestazione tipica della deambulazione parkinsoniana, il freezing, che descrive una difficoltà a sollevare il piede con conseguente interruzione brusca della marcia. Deve il suo nome alla similitudine dello sforzo meccanico della gamba e caviglia, come se il paziente avesse le suole ghiacciate e incollate al pavimento.
Un altro effetto da considerare e particolarmente evidente riguarda lo spasmo muscolare, la rigidità del muscolo a riposo. Questo effetto aumenta di presenza con l'evolversi della patologia.
Disturbi dell'equilibrio, disturbi nella deglutizione e perdita di espressività sono altre conseguenza di un sistema muscolare la cui efficienza viene inficiata dalla fisiopatologia.
È inoltre sempre bene ricordare come questo panorama di disturbi motori generi un aumento del consumo calorico ed è opportuno da parte dell'infermiere suggerire un consulto dietologico in caso di assenza di dieta dedicata.
Gli effetti non motori: eliminazione e disturbi del sonno
Come dicevamo, non è possibile escludere gli effetti non motori dalla presa in carico.
Studi internazionali hanno stabilito che questa categoria di effetti può manifestarsi anche anni prima degli effetti motori e in futuro potrebbero essere usati come segnali d'allerta per una diagnosi precoce.
In questo elenco troviamo la stipsi, tipicamente dovuta a una peristalsi condizionata; i disturbi urinari che portano a minzioni frequenti. Questo effetto è causato da una vescica che non riesce più a svuotarsi completamente a causa del controllo inadeguato del muscolo detrusore ma anche alla tendenza ad avvertire lo stimolo molto prima che la vescica sia piena.
Altro effetto molto invalidante riguarda i disturbi del sonno. Nel parkinson essi sono espressi con insonnia notturna, eccessiva sonnolenza diurna e disturbi motori della fase rem.
Nel caso di insonnia e disturbi del sonno notturni, essi sono essenzialmente dovuti a nicturia frequente e spasmi muscola improvvisi. Nonostante questa condizione in essere, l'eccessiva sonnolenza diurna non sembra essere collegata strettamente a un'insonnia notturna, al contrario di cosa si possa pensare. Al contrario è il risultato di una disorganizzazione dell'equilibrio sonno-veglia dovuto alle attività ormonali encefaliche.
Gli effetti non motori: disturbi dell'umore e cognitivi
Nonostante il morbo di Parkinson non comporti particolari variazioni di personalità o caratteriali, sono invece tipici i disturbi dell'umore. In particolare, depressione, ansia, apatia sono frequenti e possono avere inizio anch'essi anni prima della diagnosi o delle manifestazioni motorie.
Dal punto di vista cognitivo è sempre opportuno ricordare come la demenza da corpi di Lewy abbia rapporti molto stretti ma non del tutto chiariti con il parkinsonismo. Il deficit cognitivo è comunque registrato nella fase intermedia/avanzata della malattia e non in pecentuali maggiori la metà dei casi. Unitamente alle difficoltà motorie del linguaggio, questo crea una barriera comunicativa importante e da non sottovalutare.
La qualità della vita
Risulta chiaro come il manifestarsi di questi effetti condizioni pesantemente lo stile e la qualità di vita del paziente.
IADL e BADL risulteranno fortemente compromesse e, unitamente all'impossibilità di piena guarigione ed alla terapia oraria fortemente impattante, questo ricade inesorabilmente anche sulla condizione di benessere psicologico del paziente.
Compito dell'infermiere è quindi anche il sostegno morale ed eventualmente l'attivazione di una consulenza psicologica in caso di necessità.
Il malato di Parkinson molto spesso ha piena coscienza del percorso degenerativo che lo aspetta, un'assistenza accurata e olistica che si prende cura della qualità di vita e del mantenimento delle autonomie rappresenta soltanto la base per un mantenimento dignitoso del concetto di sè e della percezione di salute in malattia da parte del paziente.
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