Abuso di professione: il fatto non sussiste. Questa la motivazione con cui sono stati assolti 53 infermieri dipendenti dell’Ausl di Modena. La chiave di volta della sentenza? Sta tutta nella mancanza della legge delega alla legge 43/2006, quella che avrebbe dato seguito e mandato per la costituzione degli ordini.
Assolti dall’accusa di abuso di professione: Le motivazioni della sentenza
A distanza di 29 giorni dalla proclamazione della sentenza di assoluzione nel processo penale nei confronti di 53 infermieri accusati di abusivismo della professione arrivano le motivazioni a tale scelta.
I fatti
Ripercorriamo brevemente quanto è accaduto: il 16 settembre del 2011, il personale del NAS di Parma, nel corso di un servizio di accertamento relativo all’iscrizione al Collegio Ipasvi degli infermieri e assistenti sanitari, acquisiva l’elenco del personale occupato nella struttura sanitaria.
L’elenco in questione veniva poi sottoposto a verifica a cura del collegio Ipasvi della provincia di Modena. Gli indagati risultavano non essere mai stati iscritti all’albo degli infermieri professionali, o cancellati dall’albo professionale del Collegio Ipasvi per morosità
.
Si ipotizzava quindi l’abuso della professione infermieristica (art. 348 codice penale), in riferimento all’articolo 2 comma III della Legge 43/2006 (iscrizione obbligatoria all’albo, come requisito per l’esercizio della professione).
La chiave di volta nella sentenza di assoluzione per gli infermieri
La chiave di volta della sentenza di assoluzione ruota proprio attorno alla legge 43/2006. I suoi obiettivi erano chiari e definiti: valorizzare la professionalità infermieristica (e non solo) e classificare i professionisti in base alle competenze acquisite (professionisti coordinatori, specialisti e dirigenti).
Il punto focale, rispetto all’interpretazione dei giudici nel presente caso di assoluzione, è però rappresentato dagli articoli 3 e 4:
- Articolo 3: istituzione degli ordini delle professioni sanitarie
- Articolo 4: delega al Governo per l’istituzione degli ordini ed albi professionali.
Di fatto la legge 43/2006 ha istituito gli ordini professionali, stabilendo la loro costituzione, e quindi la relativa obbligatoria iscrizione (anche per i dipendenti pubblici), a seguito dell’emanazione dei decreti attuativi
.
Cosa significa in pratica? Significa che il Giudice, nella valutazione dei comportamenti attuati dagli infermieri, ha preso a riferimento la normativa previgente alla Legge 43/2006, in particolare l’articolo 8 e 10 del decreto legislativo 233 del 1946:
- Articolo 8: per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie è necessaria l’iscrizione al rispettivo Albo
- Articolo 10: i sanitari che siano impiegati in una Pubblica Amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’Albo. Essi sono soggetti alla disciplina dell’Ordine o Collegio, limitatamente all’esercizio della libera professione.
Ecco svelata la chiave di volta di cui poco sopra:
Non si ipotizza il reato di abusivo esercizio della professione di infermiere in possesso di regolare titolo abilitante, ma non iscritto al relativo albo professionale, in quanto l’obbligo di iscrizione è previsto solo per coloro che esercitano liberamente la loro attività professionale mediante contratti d’opera conclusi direttamente con il pubblico dei clienti
I 53 infermieri sono stati assolti perché il fatto non sussiste.
Questo è quanto ha scritto il Giudice, Dottor Luigi Tirone.
A questo punto mi faccio e faccio a voi qualche domanda. Siamo davvero felici di questa sentenza? Siamo davvero soddisfatti di avere una sentenza che farà sicuramente scuola, all’interno della quale è chiaro e manifesto l’intento di non punire il dipendente pubblico o privato che non versa la quota annuale al proprio collegio Ipasvi?
Mettendo un “pizzico” di me stesso in questo scritto, mi avvio a lanciare a tutti i professionisti infermieri una provocazione.
Forse sarà anche gratificante e appagante non pagare più “la tassa Ipasvi”, eppure le parole della sentenza a me non sembrano affatto appaganti e gratificanti: le prestazioni che erogano i dipendenti pubblici e privati a quanto pare non sono espressione di autonomia professionale, responsabilità assistenziale, ma adempimento di un dovere connesso al rapporto di lavoro, visto che percepiscono uno stipendio fisso, ragion per cui rispondono disciplinarmente al proprio datore di lavoro al quale sono legati da un rapporto gerarchico
Chiusa parentesi provocatoria.
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