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Editoriale

Silenzio, ospedale!

di Giordano Cotichelli

Fino a qualche anno fa poteva capitare di imbattersi, lungo il corridoio di un ospedale o nell’atrio di un ambulatorio, in un cartello che ricordava di mantenere il silenzio. In qualche caso la richiesta era veicolata attraverso l’immagine di una giovane infermiera, velata, con uno sguardo dolce e deciso allo stesso tempo che, con il dito indice portato all’altezza delle labbra serrate rafforzava il messaggio. “Silenzio, ospedale. A cura dell’Arcispedale di S. Maria Nuova di Firenze”, questa la dicitura che accompagnava il manifesto.

Sembra che tutto abbia avuto inizio da una foto scattata quasi 60 anni fa

La foto in bianco e nero, dal portato un po’ retrò (vintage si direbbe oggi) era destinata ad attirare più per le grazie dell’infermiera rappresentata, con tanto di velo di ordinanza indossato, che per l’obiettivo educativo, un po’ perentorio, che si prefiggeva.

Non mi risulta che ce ne siano versioni aggiornate ai tempi attuali, a colori, senza velo, o cos’altro. Vero è che, cercando un po’ in rete, si possono trovare varie versioni internazionali della foto descritta, con soggetti femminili e maschili, con medici o infermieri, con il velo, legato alle credenze religiose o anche con una versione del cap britannico inamidato.

Niente di strano del resto, il bisogno di un ambiente calmo e silenzioso per chi soffre, e per chi lavora con chi soffre, è una costante che travalica gli spazi dei confini nazionali e delle mode temporali.

Ciononostante sembra che tutto abbia avuto inizio da una foto scattata quasi sessanta anni fa al di là dell’Oceano Atlantico, in Argentina.

Correva l’anno 1953 e nell’ospedale della città di Rosario, a meno di trecento chilometri Nord-Ovest da Buenos Aires, Juan Craichik, un rappresentante di una ditta di materiali farmaceutici e sanitari (denominata Taranto), si trovò ad attendere per un po’ di tempo in una sala d’attesa ricolma di persone. Notò che molto spesso l’infermiera di un ambulatorio era costretta a chiedere, ai presenti, di fare silenzio.

L’episodio suggerì a Craichik di pensare ad un cartello in cui si chiedeva di fare silenzio, recante, a mò di pubblicità, il logo della ditta. L’idea fu ben accolta dalla direzione dell’azienda che incaricò il fotografo Francisco Pérez di realizzare il prodotto. La modella selezionata per riprodurre l’immagine, che doveva sovrastare la scritta: “Silencio, Hospitalario!”, fu trovata in Muriel Mercedes Wabney, una ragazza mora, con labbra un po’ carnose, le quali vennero opportunamente ritratte nell’atto di chiudersi, quasi suggerendo una promessa di bacio, verso chi avrebbe esaudito il suo desiderio.

Muriel raffigurava, a differenza della successiva immagine italiana, più un simbolo di bellezza femminile latinoamericana (più latino che americana) in linea con i modelli degli anni ’50. Non è dato sapere se a Rosario, e in Argentina, la trovata ebbe successo. Probabilmente la risposta è affermativa vista la diffusione dell’idea nei decenni successivi e oltre i confini argentini.

L’immagine, bella per quanto falsa, ha la capacità di impartire un ordine cui – data l’avvenenza della modella – è difficile sottrarsi, cedendo al riuscito mix di stereotipi femminili legati alla figura infermieristica; un po’ angelo custode (la cuffia indossata quasi come un’aureola) e un po’ madre protettrice (pronta a darti il bacio della buona notte) e molto bomba sexy, sempre presente nell’immaginario collettivo ed anche dei media.

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