Guadagna dieci volte di quanto prende un infermiere, chiede il bonus Inps

Il bonus Inps di 600 euro a favore dei lavoratori autonomi, sembra essere stato richiesto anche da circa 2.000 tra assessori regionali, consiglieri regionali e comunali, Presidenti di Regione e sindaci, più 5 parlamentari. Una brutta storia che ha dato il via al tradizionale teatrino delle schermaglie politiche, fra inviti a dimettersi, vergognarsi, andarsene, restituire tessera, mandato o, al contrario come ha fatto qualcuno, a inondare i social con l’affermazione che lui non c’entra niente, è bravo, meritorio e onesto.

Bonus ai parlamentari, è caccia ai "furbetti" della Camera

Furbetti che hanno chiesto il bonus inps

Il tutto mentre tornano a risalire – speriamo si fermino – i numeri del contagio. Con un quadro sociale e lavorativo prossimo, che si prospetta molto difficile, le reazioni alla genialata dei furbetti del bonus possono essere diverse.

Quella populista punta subito il dito sul fatto che un deputato guadagna dieci volte quanto prende un infermiere, e quindi quello che è successo è uno schifo. Condividi, condividi, condividi. Poi, alle prossime elezioni, ovviamente, riconferma la fiducia a chi ha sempre preso dieci volte più del tuo stipendio e non ha mai fatto neanche un decimo del tuo lavoro.

Segue c’è la risposta sovranista. Non ci sono i soldi per tutti perché garantiamo lo stipendio agli immigrati, che ci portano pure le malattie. L’ISS ha sottolineato che, i casi rilevati fra il 20 luglio e il 2 agosto, sono stati 3.508, di cui 408 d’importazione (14%) al cui interno la quota legata agli immigrati è ulteriormente bassa.

Come non aggiungere una visione prettamente giuridica che volge lo sguardo non tanto al furbetto, quanto alla norma che ha permesso l’esistenza di falle utili a legittimare la corsa al bonus. In questo si sono paragonati gli arraffoni parlamentari con i navigator del reddito di cittadinanza. Un po’ azzardato come accostamento. La legge ha sbagliato – non è una novità – ma il comportamento immorale è ancor più evidente. Entrambi afferiscono a legislatori e rappresentanti del popolo che dovrebbero agire con prudenza, trasparenza e senso civico.

...guadagna dieci volte quanto prende un infermiere, e quindi quello che è successo è uno schifo. Condividi, condividi, condividi.

Di rilievo l’autodenuncia della consigliera di Milano che ha detto che vive del suo lavoro e non del suo fare politica. Una coraggiosa in un mondo di pavidi, ma questo non toglie la sostanza al fatto in generale: molti si sono approfittati di una posizione di privilegio per avere un … privilegio ulteriore senza preoccuparsi di chi, invece non era in condizioni di farlo.

Di conseguenza, subentra la terza ed ultima posizione: quella riformatrice, che trova ennesimo spunto nell’accaduto per poter dire che lo strapotere della casta va ridotto, a partire in primis dalla riduzione dei parlamentari.

Una posizione riformista quasi algebrica, che si incunea con un pensiero fra semplici equazioni (o equazioni del pensiero semplice) che affermano: meno politici uguale riduzione della casta, uguale diminuzione e miglior controllo delle brutte azioni, uguale onestà diffusa. Il sistema è salvo. In realtà, fatto salvo il gesto deprecabile, se ci si ferma un attimo a pensare, sul piano logico-matematico, si sta parlando di circa 2.000 persone che si sono intascate 600 euro per un totale, approssimativo, di 1,2 miliardi. Sul piano del singolo cittadino una enormità, ma sul piano sostanziale quasi niente rispetto ai quotidiani malaffari – legali anch’essi – che attraversano il paese.

Manca una ultima chiave interpretativa: quella infermieristica della memoria. Come infermiere appartengo alla generazione che ha visto la nascita del Sistema sanitario nazionale, le 695 USL di allora, e i vari Comitati di gestione “lottizzati” dai partiti. Poi, venne l’aziendalizzazione, i partiti lottizzatori furono – apparentemente – mandati via e la gestione della salute pubblica passò all’uomo della provvidenza: il direttore generale. Come nelle aziende private anche nel pubblico il manager, avrebbe risolto tutto. Piano piano si accorparono le ASL, per razionalizzare la spesa, mentre parallelamente si spezzettava l’offerta in mille rivoli, di cui molti finivano in mano ai privati.

Risultato? La spesa sanitaria continua a crescere, il malaffare che prospera al suo interno difficilmente incontra ostacoli importanti, mentre i servizi, le prestazioni, la copertura dei bisogni sanitari collettivi e individuali si sono decisamente ridotti.

Oggi abbiamo circa 101 ASL, i posti letto dimezzati, ci tocca prendere il treno per andare a fare un ECG, e ci tocca, in qualche caso, quel treno, riprenderlo per andare fuori regione in cerca di cura o di assistenza. A fronte di dirigenti e assessori, a tutti i livelli, che ripetono instancabilmente che non ci sono soldi, che bisogna evitare gli sprechi, etc, etc. È giusto chiedersi dunque cosa realmente abbiano prodotto tutte le riforme fatte in questi anni, perché clientelismo, speculazioni e lottizzazioni che facevano capo alla partitocrazia che condizionava i Comitati di gestione delle vecchie USL, sembrano tutt’altro che scomparsi.

A scomparire sono stati gli istituti di partecipazione pubblica, di potenziale trasparenza amministrativa, di verifica istituzionale dell’amministrazione sanitaria, dato che se ne poteva chiedere conto al proprio rappresentante politico di riferimento. Fu scelto di gettare l’acqua sporca con il bambino dentro. Invece di migliorare lo strumento amministrativo lo si è reso – ideologicamente – più rigido, a favore solo degli interessi di pochi.

A questo punto se al posto del concetto di salute collettiva provate a sostituire quello di partecipazione democratica, rappresentanza proporzionale, lotta alla corruzione e al malaffare, sarà chiaro come le “buone intenzioni” della riduzione dei parlamentari per combattere la casta rischiano di produrre risultati già visti. Domani i furbetti del rimborsino saranno certamente di meno, ma con più potere e soldi a disposizione.