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Sentenza

Infermiera vittima di straining, Asl condannata a risarcirla

di Redazione

L'Asl di Sulmona è stata condannata dal Tribunale del Lavoro per “straining”, una forma attenuata di mobbing, nei confronti di una ex dipendente dell'ospedale e dovrà risarcirla con 150mila euro per il danno cagionatole. Il giudice ha riconosciuto il datore di lavoro responsabile, ai sensi dell'art.2087 c.c e dell'art.2043 c.c., del grado di conflittualità lavorativa, seppur di minor intensità rispetto al mobbing, per la sua condotta vessatoria caratterizzata da un'azione di molestia unica ed isolata che, per i suoi effetti negativi duraturi nell'ambiente lavorativo, ha fatto cadere la lavoratrice in una situazione di stress forzato.

Costretta a “oziare” sul lavoro: Asl condannata a pagare 150mila euro

medicina legale

L'Asl di Sulmona è stata condannata dal Tribunale del Lavoro per straining ai danni di una ex dipendente.

La vicenda riguarda un'infermiera che nel 2019, una volta andata in pensione, ha citato in giudizio la propria azienda per averla costretta suo malgrado ad “oziare” sul posto di lavoro per oltre un anno e mezzo.

La mia cliente è stata di fatto confinata su una sedia in ufficio senza svolgere nessuna mansione, spiega il legale accogliendo con soddisfazione la sentenza che ha dato ragione all'infermiera riconoscendole i danni per gli stipendi non presi, per quelli decurtati e per il demansionamento subito.

Affetta da una patologia che le impediva di svolgere l'attività di infermiera in corsia, la donna aveva chiesto nel 2015 al Collegio dei medici locale di essere ritenuta non idonea al suo ruolo, motivando di non sopportare i carichi di lavoro in turno e il peso delle notti e di essere trasferita in un ufficio.

La sua richiesta era stata rigettata e l'azienda l'aveva costretta a mettersi in malattia, dapprima con uno stipendio decurtato e poi con un'aspettativa non retribuita. L'infermiera si era allora rivolta alla Commissione medica interforze di Roma che, nel dicembre 2017, le ha riconosciuto la non idoneità a svolgere le mansioni di infermiera e ha obbligato l'Asl a reintegrarla assumendola come coadiutore amministrativo.

A gennaio 2018 la donna era tornata pertanto al lavoro ricevendo un nuovo incarico presso la Direzione sanitaria ma, di fatto, senza avere nessun compito. Il persistere di questo profondo disagio lavorativo le avrebbe altresì compromesso la salute mentale costringendola ad ulteriori cure per l'insorgere di una forma depressiva.

L'Azienda, che oltre al risarcimento dovrà provvedere anche al pagamento delle spese legali e processuali, è stata ritenuta responsabile di non aver messo a regime le sue risorse umane e di aver sottratto forza lavoro al servizio sanitario, arrecando così un duplice danno alle casse pubbliche.

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